A proposito di alcune discussioni sul debito e sull’euro

Ripudiare il debito ed uscire dall’euro: per noi due facce della stessa medaglia, i primi due punti del programma per la riconquista della sovranità nazionale e popolare; per altri, invece, due strade alternative fra loro. Ecco un nodo degno di essere affrontato.

Prima di entrare nel merito è bene però fare alcune osservazioni. La prima, è che le forze che hanno maturato la consapevolezza dell’assoluta centralità di queste due questioni (debito e moneta unica) sono ancora troppo deboli. La seconda, è che saranno invece i fatti a mettere questi due temi al centro della scena. La terza è che, come conseguenza di tutto ciò, quando verrà il momento il grosso delle realtà potenzialmente anticapitaliste ed alternative si troverà del tutto impreparato.

Un’impreparazione che, sommata alla profonda spoliticizzazione di massa figlia di un trentennio letargico, non potrà che favorire la gestione oligarchica di questi decisivi passaggi.

Sia chiaro, il blocco dominante non intende rinunciare all’euro. E, data la sua compenetrazione e subalternità al sistema di dominio della finanza euro-atlantica, esso non ha alcuna intenzione di intervenire, ristrutturandolo, sul debito. Il dogma di queste sanguisughe è che il debito va pagato. E, considerato anche che loro sono dalla parte dei creditori, va pagato in euro.

Questa è, ancora oggi, la linea prevalente. Quella che ha imposto il Napolitano bis al Quirinale e Letta il giovane a Palazzo Chigi. E’ la linea che prevede nuovi e devastanti sacrifici per la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Ma è anche una linea che fa acqua da tutte le parti e che, dunque, ad un certo punto potrebbe essere parzialmente abbandonata almeno da un settore della classe dominante.

Come avverrà questo cambio non possiamo ancora saperlo. Quel che è certo è che le forze sistemiche faranno di tutto per poterlo gestire, con il minimo di contraccolpi sociali e politici e con il massimo dei vantaggi per se stesse.  

Che una cancellazione parziale del debito sia possibile all’interno di precisi vincoli sistemici ce lo ha dimostrato il caso greco. Lì, sotto l’egida della Troika, una significativa ristrutturazione è già avvenuta, ed un’altra sembra ormai all’orizzonte. Ma tutto ciò è stato possibile solo in cambio di nuove misure draconiane e della riduzione del Paese ad uno stato di dipendenza assoluta dalle direttive del trio Ue-Bce-Fmi.

Perché ciò sia avvenuto è abbastanza chiaro: il debito era comunque inesigibile, ma mentre un default incontrollato avrebbe messo in discussione l’euro, una «sforbiciata» controllata ha consentito di salvare, per ora, la moneta unica. Che tutto questo sia servito a ben poco, dal punto di vista dei fondamentali dell’economia greca, è un altro discorso. Quel che qui giova rilevare è invece lo stretto legame tra le questioni del debito e dell’euro.

Nel caso greco si è intervenuti sul debito per mantenere in vita l’euro. Una scelta che potrebbe ripetersi anche in altri paesi. Ma niente esclude, almeno in linea di principio, che in altri casi le stesse forze sistemiche possano optare per una temporanea uscita dall’euro, magari all’interno di un sistema di cambi flessibili, onde garantirsi il pagamento del debito e (almeno questo è il loro obiettivo) il futuro rientro nella gabbia della moneta unica.

Quel che vogliamo dire, in sostanza, è che il blocco dominante è certamente ostinato nella difesa della moneta unica e dei vincoli che ne discendono, ma ben presto gli interessi sistemici potrebbero imporre delle «soluzioni» meno rigide e meno ortodosse. L’attuale ostinazione infatti non determina soltanto una macelleria sociale senza sosta, produce anche una recessione (o quantomeno una stagnazione) senza sbocchi.

Ma un capitalismo senza crescita è come un ciclista che non è più in grado di pedalare: alla fine cade. Per salvarsi le forze sistemiche potranno dunque rinunciare – almeno temporaneamente, almeno parzialmente – ai loro dogmi attuali. Il compito delle forze anti-sistemiche – sia che si verifichi l’ipotesi di cui sopra, sia che prevalga la linea dell’ostinata difesa dello status quo –  dovrà essere invece quello della costruzione di un blocco e di un fronte politico-sociale capace di travolgere integralmente quei dogmi e quelle forze, per avviare un processo di sganciamento dal sistema che abbiamo definito capitalismo-casinò.

Uno sganciamento che implica sia il ripudio del debito, che l’uscita dalla moneta unica. Avendo chiaro che l’obiettivo di fondo è proprio lo sganciamento, mentre le scelte su debito e moneta sono «solo» due strumenti per perseguire questo obiettivo. Al tempo stesso, repetita iuvant, nel cuore di una crisi epocale come quella che viviamo, nello specifico delle odierne condizioni dell’Italia e dell’Europa, non esiste alcuna ipotesi di sganciamento che non affronti con decisione entrambi i nodi del debito e dell’euro.   

E qui torniamo al punto da cui siamo partiti. Mentre infatti buona parte della sinistra pare ancora in tutt’altre faccende affaccendata, anche tra chi ha compreso la centralità di queste questioni regna una certa confusione. Abbiamo chi pone da tempo la necessità di ripudiare il debito, ma guardandosi bene da affrontare il nodo dell’euro (chiameremo questa posizione linea 1). Abbiamo, viceversa, chi mette al centro l’uscita dall’euro, pensando che sia sufficiente da sola a far rientrare in limiti fisiologici (e dunque gestibili) il problema del debito (la chiameremo linea 2).

Cosa hanno in comune, e in cosa differiscono, queste due posizioni?
Certo, al loro interno possono esservi – ed in effetti vi sono – tante sfaccettature, ma volendo andare al sodo la differenza sta nel fatto che la linea 1 piace di più negli ambienti della sinistra che ha il terrore del concetto stesso di sovranità, mentre la linea 2 può catturare consensi anche in un’area liberista ma non eurista. Mentre i primi provano una sorta di sacro terrore nel mettere seriamente in discussione il processo di globalizzazione, i secondi intendono sì collocarvisi, ma in posizione meno subalterna. Se i primi si proclamano anti-liberisti, rifiutandosi però di rompere davvero con gli strumenti decisivi della politica liberista; i secondi quegli strumenti li vorrebbero mettere in discussione, ma solo per riaffermare a modo loro il liberismo e tutto quel che ne consegue.

Fin qui le differenze. Ma quali sono, invece, le comunanze?
Anche in questo caso, andando all’essenziale, la comunanza è una. Ed essa consiste nel fatto che nessuna delle due linee punta davvero ad uno sganciamento dal capitalismo-casinò, cioè dalla forma concreta assunta dal sistema capitalistico nella nostra epoca. Che sia così per chi persegue un’uscita dall’euro solo per ridare competitività alle imprese attraverso la svalutazione è scontato. Ma è così anche per chi, su posizioni anti-capitaliste, vorrebbe affrontare la questione del debito solo per riconquistare qualche margine al welfare, senza andare alla radice del problema, e cioè al fatto che l’euro non è solo una moneta ma anche un preciso sistema di dominio di classe. Ed è così anche per chi sostiene che non si possono fare le due cose insieme perché altrimenti «i mercati si arrabbiano».

Certo che si «arrabbierebbero». Che pensiamo, di imporre una svolta radicale alla politica del paese, senza che l’attuale classe dominante e le oligarchie internazionali reagiscano? Ovvio che nessuno può pensarlo. Ma credere di poter uscire dalla catastrofe in corso senza un programma di misure urgenti, incentrato sull’uscita dall’euro e l’abbattimento del debito, sarebbe altrettanto irresponsabile. Dunque non c’è altro da fare che prepararsi a sostenere uno scontro senza esclusione di colpi.

Qui, a costo di ripetersi, si impone una precisazione. Il ragionamento che stiamo svolgendo riguarda un percorso di sganciamento dal capitalismo-casinò, frutto di una sollevazione popolare. Naturalmente tutto ciò richiede almeno tre cose: un vero risveglio del popolo lavoratore, un fronte in grado di guidare la sollevazione, un programma d’emergenza forte e condiviso tra le masse. Tre condizioni oggi assenti, tre condizioni da costruire se non si vuol continuare a subire passivamente il massacro sociale in atto.

Abbiamo già detto che lo stesso blocco dominante potrebbe, ad un certo punto, essere costretto ad intervenire sul debito o sulla moneta, ma non è di questo che qui parliamo. Casomai, il fatto che questa eventualità non sia da scartare è un’altra conferma di quanto questi temi siano quelli oggi decisivi e centrali. Ma mentre il blocco dominante opererebbe quelle scelte solo per necessità, con la precisa volontà di restare dentro la cornice del capitalismo-casinò, il nostro obiettivo dovrà essere proprio quello di sganciarsi da questo sistema.

Che questa nostra impostazione sia del tutto alternativa a quella delle forze sistemiche è naturalmente un’ovvietà. Un’ovvietà che merita però di essere segnalata, dato che anche i settori dichiaratamente anti-sistemici che non colgono la centralità ed il nesso indissolubile tra debito e moneta finiscono – più o meno consapevolmente – per escludere un vero progetto di sganciamento.

Giunti a questo punto è doveroso precisare cosa intendiamo per sganciamento.
Abbiamo già visto che la mera uscita dall’euro, se non accompagnata da un programma di politica economica alternativa (includente l’intervento sul debito, ma non solo), non configura da sola un percorso di sganciamento. Idem per una ristrutturazione del debito alla «greca», teleguidata dalla Troika dentro precisi vincoli sistemici.

Lo sganciamento richiede anzitutto analisi, volontà e lucidità politica. La crisi non è solo crisi europea. Essa ha anzi preso le mosse dagli USA. La crisi non è semplicemente crisi del sistema capitalistico, essa è innanzitutto crisi della specifica forma che il sistema ha assunto in epoca più recente, ed in misura più accentuata nell’area occidentale.

E’ qui che il sistema ha fatto crac, ed è qui che può essere attaccato. Oggi, a causa dell’intreccio tra l’iper-finanziarizzazione e le contraddizioni prodotte dalla folle costruzione europea (moneta unica in primis) il cuore della crisi è  in Europa, ed in particolare nella sua periferia sud.

Sganciarsi da questo sistema (il capitalismo-casinò), e dalla forma concreta che ha assunto nell’Unione Europea, non è dunque solo un obiettivo razionale, ma anche un progetto potenzialmente condivisibile da un blocco sociale assai ampio. Un blocco sociale guidato da forze anticapitaliste, includente però anche settori non immediatamente anticapitalistici ma giunti alla consapevolezza dell’insostenibilità del sistema attuale.

Ma da che cosa bisogna concretamente sganciarsi? Ed in che misura sarà possibile farlo?
La nostra è l’epoca del dominio dell’economia su ogni altra dimensione del vivere associato. Da qui la crisi della politica e la morte (altro che crisi!) della democrazia. Da qui bisogna partire, dalla necessità di sganciarsi da un sistema che è arrivato a determinare il valore delle pensioni (cioè la qualità della vita degli anziani) come variabile dipendente dall’andamento dei mercati finanziari. Il primo passo dovrà essere dunque quello di uscire dalla schiavitù imposta dal dominio della finanza.

A questo serve la riconquista della sovranità monetaria, conditio sine qua non per impostare una qualsiasi politica economica, condizione imprescindibile per qualsiasi politica orientata alla difesa degli interessi delle classi popolari. A questo serve l’abbattimento del debito pubblico, senza il quale i piranha della finanza internazionale continuerebbero a strangolare il Paese. A questo serve la nazionalizzazione dell’intero sistema bancario, da sottrarre integralmente ai meccanismi della speculazione. A questo serve la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia (energia, trasporti, telecomunicazioni), che devono essere chiamati a rispondere alle esigenze sociali, non agli appetiti degli azionisti. A questo serve un Piano del lavoro, a generare un’offerta di occupazione svincolata dai meri criteri di competitività.

Questo è lo sganciamento. A questo serve l’uscita dall’Unione Europea. Mentre, su un altro piano, solo con l’uscita dalla Nato si potrà infine parlare di riconquista della sovranità nazionale, condizione imprescindibile affinché possa darsi una concreta sovranità popolare.

Attenzione! Sganciamento non è isolamento. Così come si dovranno recidere gli attuali legami, nuove relazioni solidaristiche si potranno creare con i paesi ed i popoli che si incammineranno sulla  stessa strada della liberazione da un sistema opprimente. Non solo. Siccome oltre che la strategia esiste anche la tattica, sarà assolutamente necessario giocare sulle tipiche contraddizioni intercapitalistiche. Giusto per fare un esempio, non è affatto detto che eventuali ritorsioni economiche decretate dal duo UE-USA debbano essere appoggiate da altre potenze come i Brics. E si potrebbe continuare.

Ma, ci siamo già chiesti, in quale misura sarà possibile sganciarsi?
Prima di rispondere a questa domanda è opportuna una precisazione: lo sganciamento è una politica che, come tale, non può prescindere da un sano realismo. Non immaginiamo dunque uno sganciamento totale. Esso sarebbe possibile solo con il trasferimento su un altro pianeta. Ma tra un viaggio nel cosmo e l’accettazione della schiavitù della cosiddetta «globalizzazione» c’è evidentemente tutto uno spazio da disegnare.

Un disegno frutto dell’azione cosciente di una soggettività ancora da costruire. E che dovrà tenere conto dei concreti rapporti di forza, interni ed esterni. Un disegno, dunque, che potrà assumere una forma precisa solo nel vivo della lotta. Ma un disegno possibile. Anzi, l’unico realistico. Perché francamente non abbiamo ancora capito cosa propongano gli altri.

Non è più tempo di limitarsi ad obiettivi giusti, senza misurarsi sul percorso per raggiungerli. E non è tempo (non lo è mai stato) di illudersi sui limiti alla capacità distruttiva delle oligarchie dominanti. Non è tempo per le mezze misure, nell’incoffessata speranza di limitare i danni.

E’ tempo di immaginare, prefigurare, costruire un’alternativa. Sganciamento è in questo senso il concetto decisivo. Un concetto che contiene i singoli obiettivi, compresi quelli per noi decisivi – e non separabili l’uno dall’altro – dell’uscita dall’euro e del ripudio del debito.