Domanda: i biscazzieri dell’alta finanza lasceranno che la campagna elettorale tedesca si svolga in un clima tranquillo o vorranno condizionarla, ad esempio portando un attacco (sullo stesso stile di quello dell’estate-autunno 2011) all’Italia? La prima ipotesi è la più probabile, ma la seconda non è impossibile.
Certamente la Merkel non desidera eventi traumatici che potrebbero mettere in forse la sua data per certa vittoria elettorale — non vuole quindi nemmeno che cada a settembre il governo Letta.
Malgrado la recessione sia giunta anche in Germania, il capitalismo tedesco gode ancora di ottima salute.
L’inchiesta che pubblichiamo qui sotto, numeri alla mano, è una conferma clamorosa di come e quanto la Germania abbia lucrato e continui a lucrare con l’euro e addirittura sulla crisi dell’Eurozona. I capitali in fuga dai “periferici”, Italia in primis, hanno foraggiato e continuano a foraggiare sia lo Stato tedesco, che le sue banche che la sua industria. Le politiche di rigore fiscale e di macelleria sociale imposte a paesi come il nostro, avendo approfondito la recessione, hanno infatti determinato un colossale spostamento di capitali finanziari dal sud verso il nord. In parole povere, i nostri sacrifici, hanno impoverito noi e ingrassato il capitalismo tedesco.
Rispetto a questi numeri vanno in frantumi tutti i discorsi degli euristi estremisti, coloro che non vogliono vedere che la moneta unica è concausa della catastrofe sociale che soffre il nostro Paese. Vanno a farsi friggere infine i discorsi di certi euristi moderati — ricordate il Manifesto per la solidarietà europea sottoscritto da Borghi e Bagnai? —, quelli che pur di salvare l’Unione europea e monetaria chiedono che sia la Germania a tirarsi fuori dalla moneta unica.
Strategia Merkel passa dai Bund
di Guido Salerno Aletta*
«La Banca dei Regolamenti internazionali ha appena diffuso i dati, relativi al primo trimestre del 2013, sull’esposizione estera delle banche. Si conferma ancora una volta la tendenza già rilevata da tempo: le banche tedesche proseguono nella loro ritirata dall’area dell’euro. In termini di ultimate risk basis, la loro esposizione si è ridotta ancora, passando dai 996,3 miliardi di dollari di fine 2012 ai 983,1 miliardi di fine marzo scorso.
Sono 13 miliardi di dollari in meno, così come erano diminuiti di 15,6 miliardi nel raffronto tra il terzo e il quarto trimestre del 2012.
Per quanto riguarda l’Italia, la contrazione è identica a quella registrata in precedenza: -3,2 miliardi. Nei confronti di tutta l’Eurozona, e considerando che questa serie statistica risale all’inizio del 2005, le banche tedesche sono scese all’esposizione più bassa in assoluto, con un calo di ben 791,5 miliardi di dollari (-44,5%) rispetto al picco registrato nel secondo trimestre del 2008, in cui si riportavano crediti per ben 1.774,6 miliardi.
La riduzione del credito bancario all’estero da parte delle banche tedesche fa parte di una più ampia strategia. Lo schema è il seguente: il sistema bancario tedesco riduce la propria esposizione diretta verso l’estero, lasciando invece alla Bundesbank il ruolo di creditore nei confronti delle altre banche centrali europee. A giugno scorso, infatti, la Bundesbank vantava crediti verso “non residenti” per lo stratosferico ammontare di 748,1 miliardi di euro: è praticamente la stessa cifra che la Bri registra come ritirata dalle banche tedesche dal resto dell’Eurozona a partire dal terzo trimestre del 2008.
Gli aspetti debitori sono ancora più rilevanti: la Germania si è finanziata ampiamente sull’estero, aumentando il debito pubblico tedesco detenuto dagli stranieri. Questi i numeri: mentre nel 2010 erano in mani estere titoli per 1.092,6 miliardi di euro, a fine 2012 l’ammontare è stato di 1.352,4 miliardi. In due anni, l’estero ha quindi aumentato la sottoscrizione di debito pubblico tedesco per 260 miliardi di euro. Un gran bel risultato, quindi, ottenuto soffiando sul fuoco del break-up della moneta unica e del pericolo del default dei Paesi periferici.
Va considerato poi che, nel medesimo periodo 2010-2012, il debito pubblico tedesco è cresciuto di 108 miliardi di euro, passando da 2.059 miliardi a 2.167 miliardi. Considerando che nel 2009 il debito pubblico tedesco era ancora di 1.769 miliardi di euro, e che quindi l’incremento rispetto alla fine 2012 è stato di 398 miliardi, ne deriva che gli stranieri (fra cui non pochi italiani) non solo hanno completamente finanziato il maggior debito pubblico tedesco registrato nel periodo 2010-2012, ma in pratica hanno sovvenzionato l’intero costo degli aiuti pubblici decisi dal governo tedesco a sostegno del sistema bancario della Germania.
Per dare il senso di quanto avvenuto, basta mettere a raffronto due dati. Se infatti nell’intero periodo 2008-2012 il sistema bancario tedesco ha utilizzato aiuti pubblici per 252,2 miliardi di euro (rispetto ai 620,3 miliardi complessivamente autorizzati), nel solo biennio 2010-2012 gli investitori esteri hanno aumentato complessivamente la sottoscrizione di debito pubblico tedesco di 261,1 miliardi, addirittura compensando minori titoli a breve per 33,2 miliardi di euro con maggiori consistenze di titoli a medio-lungo per 295,3 miliardi.
E’ già successo nel 1980, quando in America si decise di combattere la stagflazione imponendo alti tassi di interesse reale, che sono costati all’Italia il raddoppio del debito pubblico in pochi anni. E’ successo nel 1992, quando la Bundesbank dovette aumentare il tasso di sconto per frenare l’inflazione determinata dalla conversione dei marchi dell’Est con il rapporto 1:1. Anche stavolta, i capitali italiani, hanno seguito il pifferaio magico di Berlino. Quelli fuggiti arrivati nel 1992 hanno finanziato la ricostruzione della Germania dell’est, quali accorsi negli ultimi due anni sono serviti a coprire le perdite del sistema bancario tedesco.
I ritardi nel salvataggio della Grecia, le cure drastiche quanto inutili che hanno portato ad una recessione che nell’Eurozona ormai dura da più di 18 mesi, la paura del default del debito sovrano dei Paesi periferici, la messa sotto scacco dell’Italia sin dal 5 agosto del 2011 con la famosa lettera a duplice firma dei Governatori della Bce e della banca d’Italia, sono stati eventi casuali, alcuni compiuti in buona fede [del che dubitiamo fortemente, Ndr]. Ma hanno portato a un solo risultato finanziario concreto, che abbiamo da sempre sostenuto: spostare i capitali verso altri lidi: Berlino e Londra, non per caso.
Non sono disinteressate, quindi, le ragioni dello scherno con cui sono narrate da anni le vicende italiane. Con sciocca soggezione, ancora una volta, in tanti guardano al solito ditino alzato di chi ci fa la predica: mentre ci parla tanto del nostro bene, in realtà guarda solo ai nostri soldi».
Fonte: Milano Finanza del 6 agosto 2013