E ora l’Egitto è veramente in fiamme
A quando una mobilitazione contro i golpisti del Cairo?
Questa volta l’Egitto è veramente in fiamme. L’esercito è passato alla repressione più dura, e quella sinistra che, poco più di un mese fa, lo aveva applaudito come il «male minore» avrebbe davvero molto su cui riflettere. Perché se la presidenza Morsi non corrispondeva alle istanze del movimento, il che è certo, un golpe è pur sempre un golpe. Ed averlo avallato non ha davvero giustificazione alcuna.
Ora se ne vedono i frutti. Abbiamo parlato di repressione, ma sarebbe più corretto dire che siamo di fronte ad un autentico massacro. Una strage pianificata dai militari al potere dopo il colpo di stato del 3 luglio, ed eseguita dalla polizia con l’appoggio dell’esercito. Le cariche selvagge sono state condotte contro i manifestanti dei due presidi organizzati dalla Fratellanza Musulmana per protestare contro il golpe, quelli di piazza el Nahda e di piazza Rabaa al Adawiyeh.
Enorme il numero delle vittime, sicuramente alcune centinaia. La Fratellanza è giunta a parlare addirittura di 2mila morti e 10mila feriti. Il ministero della salute, nel tentativo di minimizzare, ha comunque ammesso 149 morti e 1.403 feriti.
In risposta al massacro il movimento islamico ha chiamato alla mobilitazione, che in effetti si è allargata a molte altre città tra le quali Alessandria, Suez, Assiut ed Assuan, mentre al Cairo è in fiamme il ministero delle finanze.
In questo momento nella capitale vige il coprifuoco, che sarà in vigore addirittura per un mese in almeno 14 provincie: Cairo, Giza, Alessandria, Beni Sueif, Minya, Assiut, Sohag, Sinai del Nord, Sinai del Sud, Suez, Ismailia e Beheira, Qena e Fayoum.
Chi aveva immaginato una facile stabilizzazione ad opera del generale Al-Sisi è servito. Quell’esercito che tanto piace ad americani, sauditi ed israeliani non è riuscito a far fronte all’opposizione islamica. E per cercare di venirne a capo ha dovuto ricorrere ad una delle stragi più barbare della storia recente.
Ora, tra chi lo aveva appoggiato, è il momento dei distinguo. Il vicepresidente ad interim Mohamed El Baradei si è dimesso. Insieme a lui anche i vice premier Hossam Eissa e Ziad Bahaa El-Din. Sintomi di una crisi assai evidente. Ma la strage di oggi, se è certamente la più grave, non è certo la prima da quando il potere è ritornato nelle mani dell’esercito. Basti ricordare il “venerdì di sangue” del 26 luglio scorso.
Abbiamo già scritto (vedi Egitto: i tre livelli del conflitto) che lo scontro in atto ha tre livelli: nazionale, regionale, geopolitico. Ognuno di questi livelli si intreccia con gli altri due. Ma oggi è il livello nazionale che ha prevalso, mettendo in luce l’incapacità dell’esercito di assumere sul serio il controllo del paese. L’Egitto è davvero spaccato in due, e la sensazione è che quello in corso sia uno scontro difficilmente ricomponibile.
Ogni realtà nazionale ha certamente le sue specificità, ma l’esperienza insegna quanto sia in genere difficile ricomporre una situazione dopo aver raggiunto livelli di violenza così elevati. Di certo, dopo quanto avvenuto, il rischio di una guerra civile si è fatto assai più serio.
Intanto non possiamo non rilevare la solita politica dei due pesi e delle due misure da parte dei governi e della stampa occidentale. Senza andare troppo lontani, si provi a fare un paragone fra l’enfasi dei commenti sui recenti fatti turchi e l’imbarazzo con il quale viene invece trattata ora la vicenda egiziana.
Due esempi tra i tanti. Il ministro degli esteri Bonino non ha trovato di meglio che fare appello a tutte le parti perché cessino le violenze, mettendo così sullo stesso piano massacrati e massacratori, laddove i primi hanno avuto la sola colpa di manifestare pacificamente. Il secondo è quello del premier inglese Cameron, che ha detto che bisogna garantire “una vera transizione democratica”, laddove i protagonisti della “transizione” altri non potranno essere, per lui, che i militari golpisti che hanno dato il via al massacro di questa mattina.
Ipocrisie e doppiopesismo occidentale, che se non stupisce quando è praticato dai governi, diventa ben più insopportabile quando tocca le stesse forze della sinistra. A quando una mobilitazione a sostegno della lotta contro il golpe degli eredi di Mubarak?