La propaganda mediatica sulla “luce in fondo al tunnel” non è un’esclusiva italiana

La stampa, soprattutto quella social-liberista, è piena di ottimismo e di commenti lusinghieri per il nostro Presidente a causa degli ultimi dati INSEE. Nella seconda metà del 2013 la Francia sarebbe cresciuta dello 0,5%, Alleluia! Torniamo a crescere, dunque … Tuttavia, i commentatori farebbero meglio a stare più attenti e a leggere con più attenzione i documenti dell’INSEE [1].

Infatti, il dato dello 0,5% è dovuto a due fattori: a un aumento dei consumi dello 0,3% e ad un aumento delle scorte dello 0,2%. Tuttavia, nel 2012 le scorte delle imprese erano diminuite dello 0,8%. Una correzione era attesa, ma rimane al di sotto del calo precedente. Un confronto tra i primi due trimestri del 2013 e quelli del 2011 e del 2012, mostra che questa crescita non sarà duratura.

Grafico 1

Del resto, da questo grafico si può vedere la permanenza dei fattori che provocano il ristagno del PIL francese, ed in particolare l’evoluzione degli investimenti e della bilancia commerciale.

Il secondo punto che spiega la crescita del PIL nel secondo trimestre è l’aumento dei consumi delle famiglie. Tuttavia, questo aumento sembra essere dovuto principalmente a dei fattori congiunturali.

(i) I consumi energetici sono stati insolitamente alti nella primavera del 2013, a causa del cattivo tempo.

(ii) I consumi correnti (alimentari e abbigliamento) continuano a diminuire (-2,2% per l’abbigliamento e -1,2% per gli alimentari). Questo è preoccupante e dimostra che il livello di vita dei francesi si deteriora, o almeno che il potere d’acquisto mediano (e non medio) continua a scendere. Del resto l’indice del potere d’acquisto per unità di consumo registra un decremento dello -0,2% nel primo semestre di quest’anno.

(iii) Solo le spese relative all’automobile aumentano, ma sono ben lontane (con il 2,2%) dal compensare la precedente flessione (-5,5%).

Infatti, come si vede nel grafico 2, il consumo di beni durevoli delle famiglie francesi è in panne ormai da diversi anni. La crisi del 2008 ha infatti interrotto la tendenza che si poteva osservare dal 2001. Si prevede quindi che l’aumento attuale dei consumi non è destinato a durare.

Grafico 2

Inoltre, va notato che l’aumento delle imposte si farà sentire dalla fine del terzo trimestre (settembre). La maggior pressione fiscale dovrebbe causare una contrazione dei consumi significativa.

Il fatto più inquietante, tuttavia, non è questo. E’ il calo continuo degli investimenti (FBCF o Investimenti fissi lordi). Nel secondo trimestre, il calo degli investimenti fissi lordi è di -0,5%, e per quanto riguarda gli investimenti delle famiglie (che per convenzione investono solo nelle abitazioni), è del -1,7%. In un anno, il calo degli investimenti fissi lordi delle imprese non finanziarie è importante, del -2,1%. Si mantengono solo gli investimenti pubblici, ma attualmente sono ad un livello relativamente basso. Ciò significa che l’apparato produttivo francese continua a deteriorarsi, soprattutto in relazione alla Germania, che è certamente il nostro principale partner, ma a causa dell’euro è anche il nostro più grande concorrente. Il calo degli investimenti fissi nel medio termine implica una minor crescita della produttività e di conseguenza un aumento relativo, rispetto ad altri Paesi, del costo unitario reale del lavoro, che è uno degli indicatori più certi della competitività relativa dell’industria francese.

Possiamo notare ancora meglio questa tendenza se facciamo un passo indietro, come nel grafico 3, che mostra la quota di investimenti francese e italiana in percentuale del PIL.

Grafico 3

Ciò invalida anche l’idea, spesso avanzata negli ambienti vicini a François Hollande, secondo cui la Francia si troverebbe ora in un “ciclo”, di cui avrebbe conosciuto la fase discendente durante l’inverno, e che alla fine di quest’anno dovrebbe portare automaticamente alla fase di crescita . Il “ciclo economico”, per riprendere un’espressione che ha avuto il suo momento di gloria negli anni ’20, non è che il prodotto di una economia largamente deregolamentata. Non c’era nessun “ciclo” negli anni ’50 e ’60 … Per poter stabilire l’esistenza di un “ciclo” occorre che ci siano delle oscillazioni regolari. Tuttavia, tutti gli indicatori economici strutturali suggeriscono invece un indebolimento del sistema economico francese.

Nulla quindi, nel quadro disegnato dall’INSEE, è motivo di ottimismo. Solo una forte crescita globale, assumendo che la Francia possa beneficiarne, cosa dubbia dato il tasso di cambio dell’euro (attualmente 1,32 dollari per 1 euro), potrebbe guidare la crescita. Ma la crisi nei paesi emergenti (Cina e India) e la crescita debole negli Stati Uniti non permettono di poter contare su un tale scenario. La crescita globale resterà debole nel 2013 e nel 2014.

L’economia francese è dunque condannata alla stagnazione nel breve termine e, a causa della perdita di competitività del sistema produttivo, al deterioramento nel medio termine. Questa è la diretta conseguenza dell’Euro, come abbiamo più volte avuto occasione di dire e dimostrare in queste pagine. L’unica soluzione che consentirebbe di intraprendere una strada radicalmente diversa e dare speranza alle imprese e ai lavoratori francesi (i quali si rendono conto, loro, di come la disoccupazione continui ad aumentare) sarebbe di uscire dall’Euro e poter svalutare, non solo verso il dollaro (e l’area del dollaro), ma anche e soprattutto nei confronti della Germania.

[1] INSEE-Conjoncture, Informations Rapides, 14 août 2013 n°186.

da Voci dall’estero
Fonte RussEurope