
Lunedì prossimo è giorno fatidico. Il Congresso USA deciderà l’attacco alla Siria, mentre alle ore 15 si riunirà a Roma la Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato.
Verrà esaminata la questione della decadenza da Senatore di Silvio Berlusconi. Da questo sembrano dipendere le sorti del governicchio Letta-Napolitano. Formalmente la Giunta deve solo calendarizzare la sua agenda, visto che l’Ufficio di Presidenza non ha raggiunto un accordo. La manfrina potrebbe quindi andare per le lunghe.
I berluscones, compresi i “falchi” che minacciano sfracelli, sono aggrappati alla speranza, sempre più vana, che il Pd, col beneplacito di Napolitano, si decida a conservare il titolo di Senatore per il Cavaliere.
In ballo c’è l’interpretazione della legge 190 del 6/11/2012 (nota come Legge Severino) che disciplina l’incandidabilità di coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione. Questo è appunto il caso di Berlusconi. Il Pdl solleva l’incostituzionalità della legge.
Lana caprina? Non proprio. Sotto almeno due profili — quello se la Legge Severino possa avere validità retroattiva e se spetti ancora alla Camere decidere dell’incompatibilità di un condannato con la sua funzione di parlamentare —, ed entrambi chiamano in causa la Costituzione.
Come hanno ben spiegato Marcello Gallo e Gaetano Insolera sul Corriere della Sera del 3 settembre in base alle norme nessuna legge può avere una validità reotroattiva: «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Si capisce che essendo questa legge ordinaria [la Severino, NdR] può essere derogata da altra legge ordinaria. Purché derogata non sia una legge penale. Quest’ultima è assistita dalla riserva dettata dall’articolo 25, comma 2, della Costituzione: l’eccezione può essere posta unicamente da norma prodotta secondo le modalità che caratterizzano la produzione di norme costituzionali»).
I Nostri osservano quindi:
«Ciò posto, pare opportuno chiarire che cosa significhi «retroattività» di una norma. Non sembri pedanteria, ma riteniamo che certi termini non vadano usati ad orecchio. Per venire al dunque, c’è retroattività se la norma si applica anche a vicende costituite, in tutto o in parte, da elementi, di fatto o di diritto, necessari ad una determinata conseguenza giuridica, verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma stessa. Verificatisi prima, cioè quando il soggetto destinatario delle conseguenze giuridiche non poteva calcolare tali elementi in quanto condizionanti determinati effetti, sì da regolarsi a ragion veduta. Anche a superare tutte le perplessità di cui sopra si è fatto cenno, c’è un limite che non può essere superato senza attento, approfondito esame: la legge Severino deve essere letta come se disponesse la propria retroattività? Senza dubbio non lo fa in modo immediato e diretto. Può darsi che ad una conclusione affermativa si arrivi dalle pieghe dei suoi commi. Se così stessero le cose questo sarebbe il vero, assai serio, appunto da muovere alla legge stessa. L’eccezione, così importante, ad una regola così importante, come quella della irretroattività della legge, non dovrebbe essere enunciata in maniera criptica, per allusioni ed ammiccamenti, ma proclamata in tutta chiarezza, in modo immediato e diretto.
A tacer d’altro, teniamo presente che qui si tratta di una posizione giuridica che interesserebbe non soltanto il destinatario della cosiddetta decadenza, ma, verrebbe da dire, in primo luogo, la massa dei soggetti titolari del diritto di elettorato attivo che hanno espresso la loro volontà. Ed è riflessione questa che investe tutte le misure interdittive dell’agire politico: corriamo il rischio di guardare all’albero e di perdere di vista il bosco».
L’antiberlusconismo acceca. State svegli!
Immaginiamo infatti che una forza anticapitalista presenti le sue liste, e che uno o più candidati abbiamo subito condanne a più di due anni, magari per reati di tipo politico afferenti alla loro battaglia sociale e politica. In base alla Legge Severino le autorità, d’imperio, li casserebbero dalle liste.
Sorge poi l’altra questione, non meno controversa, non più solo l’incandidabilità, ma la decadenza da parlamentare nel caso la condanna penale sopraggiunga dopo che un candidato sia stato eletto.
Il problema (si fa presto a parlare di Stato di Diritto) è dunque se il potere giudiziario possa di sua sponte mandare in galera un deputato del popolo. Non dimentichiamo che l’immunità parlamentare (garanzia d’impunibilità) venne adottata illo tempore appunto per difendere i diritti delle opposizioni rispetto ai sovrani assoluti e agli Stati di polizia.
Ricordiamo quindi che l’immunità venne abrogata, da una maggioranza giustizialista (Pds, Prc, Lega Nord, Msi, radicali) il 12 ottobre 1993 sull’onda di Mani Pulite. Al tempo, noi di Mpl, pur diversamente collocati, condannammo quella decisione come nefasta e anticostituzionale.
La Costituzione italiana, già stuprata, recita all’articolo 66 che spetta comunque a ciascuna delle due Camere il giudizio sulle cause di sopraggiunta incompatibilità dei suoi componenti. Né la legge che abolì l’immunità né la Severino hanno cancellato l’articolo 66.
Per cui non è vero, come dicono i giustizialisti che la Giunta del Senato, deve solo passare le carte, limitarsi a prendere atto della sentenza della Cassazione su Mediaset. Ed ha torto chi dice che in base allo Stato di diritto Berlusconi dovrebbe “decadere” — che poi si sarebbe dovuto dimettere siccome è un furfante, questa è un’altra questione. La legge deve sì essere certo uguale per tutti (e sappiamo che non lo è), ma la Legge è subordinata a quella suprema, al dettato costituzionale, e al principio che il Parlamento (non la magistratura) esprime la sovranità popolare, e quindi ogni singolo deputato, espressione diretta dei cittadini.
Se nel Parlamento fosse esistita una forza politica anticapitalista e socialista avrebbe dovuto, proprio in difesa dello Stato di Diritto e della democrazia, votare contro l’abrogazione dell’immunità ed a maggior ragione contro la anticostituzionale Legge Severino. E se questa forza fosse in Parlamento adesso, se avesse dei membri nella Giunta che si riunisce lunedì prossimo, essi, così almeno io la penso, dovrebbero, senza con ciò mischiarsi con la feccia dei berluscones, opporsi alla cosiddetta “decadenza” e sì, inviare la Legge Severino alla Corte Costituzionale.
In gioco non ci sono in questo caso solo le sorti di Silvio Berlusconi, ma quelle di basilari principi democratici sanciti dalla Costituzione. Sorvoliamo sul Pd, che essendo un pilastro della Seconda Repubblica non ha perso occasione per sbudellare Costituzione, repubblica parlamentare e Stato di diritto. E’ tristissimo che il M5S, che fa della difesa della Carta uno dei suoi punti qualificanti, sacrifichi i principi della Costituzione in nome dell’antiberlusconismo e sull’altare della guerra per bande che dilania il potere.
Grillo e i suoi stanno giocando una partita tutta tattica. Sperano in elezioni subito e sperano che i berluscones facciano cadere il governo subito. Essi ritengono che il manettarismo giustizialista porti loro tanti voti. Forse, forse sarà così. Resta che per un piatto di lenticchie si sono resi corresponsabili di un’altra lesione allo Stato di Diritto.
da sollevAzione