Super-porcellum e presidenzialismo muovono i primi passi grazie ai nominati di Letta

Eh, quando si dice la saggezza! Da anni si discute sul taglio dei parlamentari ma, benché siano tutti d’accordo nel dire che sono in eccesso, evidentemente sono ancora troppo pochi. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di affidare le riforme costituzionali ad una commissione extra-parlamentare, nominata dal presidente del consiglio e benedetta da quello della repubblica.

Lorsignori, insediatisi a giugno, starebbero per chiudere in anticipo il loro lavoro. Si vede che la loro saggezza li rende molto attenti alla tempistica della crisi politica in corso. Sta di fatto che, da domani, si incontreranno per tre giorni in Abruzzo, esattamente a Francavilla, da dove si prevede che invieranno il loro lavoretto a governo e parlamento.

Un lavoro decisamente sporco. Talmente sporco che costringono Letta a gridare che le «le riforme non sfasciano la Carta». Quando si dice la coda di paglia… Le controriforme in gestazione sfasciano eccome la Costituzione, anche se Benigni continuerà certamente ad assicurarci sul fatto che avremo anche in futuro la «costituzione più bella del mondo».

Cosa stanno dunque preparandoci i 35 controriformatori riuniti in provincia di Chieti? Le anticipazioni affidate alla stampa non lasciano dubbi: una legge elettorale ultra-maggioritaria e un sistema di governo presidenzialista. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.

Prima di entrare nel merito, giova senz’altro ricordare da chi è composta la commissione, un impasto di «studiosi» ben targati politicamente, calibrati con la logica del manuale Cencelli, e tenuti assieme dalla comune visione liberista della società. Tra i personaggi politici di lungo corso ricordiamo la presenza di Luciano Violante (Pd, e presidente del comitato dei relatori che presenterà la proposta), Franco Frattini (Pdl) e Francesco D’Onofrio (Udc). Per il resto è da notare la nutritissima presenza di editorialisti del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, giusto per ricordarci i luoghi dove si annida la «saggezza».

Ma veniamo al dunque. La Carta di Francavilla parlerà anche di procedimento legislativo, bicameralismo, rapporti Stato-Regioni, ma i passaggi veramente decisivi sono i due che abbiamo già anticipato: legge elettorale e poteri del premier.

Perché siano questi i due aspetti principali è presto detto. Non solo perché si tratta di questioni davvero sostanziali, ma anche perché si tratta dei due elementi che vanno da subito ad incardinarsi nello svolgimento della crisi politica. Più esattamente, sarà la legge elettorale super-maggioritaria il vero grimaldello per superare la crisi politica, mentre i nuovi poteri al capo del governo saranno la logica conseguenza di un sistema elettorale implicitamente presidenzialista.

Sul dettaglio della legge elettorale in preparazione rimando ancora una volta all’articolo Presidenzialismo via Violantum?, che mi pare abbastanza esauriente. In sintesi, i controriformatori stanno lavorando ad una legge fortemente maggioritaria, il cui snodo decisivo è rappresentato dal ballottaggio tra i due partiti (o coalizioni) con il maggior numero di voti, sempre che nessuno di questi partiti (o coalizioni) abbia raggiunto il 40% dei suffragi, nel qual caso il premio di maggioranza scatterebbe già al primo turno.

Vi sono poi altri aspetti tesi a rafforzare l’impronta maggioritaria, e dunque a colpire il principio democratico della rappresentanza: uno sbarramento esplicito al 5% e – a quel che si dice – uno sbarramento implicito ancora più elevato, da ottenersi con l’eliminazione del riporto dei resti nel collegio unico nazionale.

Ma concentriamoci sugli effetti del maggioritario a doppio turno, che già basta ed avanza.
Con questa mossa si vogliono ottenere tre risultati. Tutti e tre da tempo nel programma della classe dominante, da decenni ripetuti a pappagallo dai think tank di lorsignori, quei pensatoi nazionali ed internazionali così frequentati tanto dai «saggi» in questione, quanto dagli ultimi due presidenti del consiglio.

Quali sono questi tre obiettivi?

In primo luogo, il raggiungimento di un sistema istituzionale in grado di garantire la famosa «governabilità». In grado cioè di assicurare il governo del dominio di classe, con il minor disturbo possibile per governanti e dominanti. Anche la più flebile eco della questione sociale dovrà essere bandita, qualora la si ritenga in qualche modo incompatibile con gli imperativi sistemici che costituiscono la rigida gabbia di un sistema così concepito. Probabilmente un simile obiettivo non sarà mai raggiunto del tutto, ma di certo, con la legge truffa in preparazione, il governo potrà blindarsi per cinque anni dietro una maggioranza parlamentare ben difficilmente incrinabile. E quel che ne conseguirà in termini di politica economica e sociale è facilmente immaginabile.

Da notare che un simile governo iper-blindato potrebbe toccare anche ad una coalizione con meno del 30% dei voti espressi, cioè con circa il 20% dei consensi calcolati sull’intero corpo elettorale.  E’ quel che accade già oggi in Francia, dove chi vince piglia tutto e dove anche forze superiori al 10% possono restare senza rappresentanza parlamentare. E’ quel che sarebbe successo in Italia, nel febbraio scorso, qualora fosse stato in vigore un simile sistema.

In secondo luogo, una forma italiana di presidenzialismo di fatto. Come ci è già capitato di scrivere, esistono evidentemente varie forme di presidenzialismo. Quel che conta, per i presidenzialisti, è il principio e la pratica dell’accentramento del potere. Per costoro, il governo deve essere sufficientemente impermeabile al parlamento, reso a sua volta sufficientemente impermeabile alla società. Ma tutto ciò può essere rafforzato da un presidenzialismo che renda il presidente sufficientemente impermeabile anche rispetto agli altri membri del suo stesso governo. Il presidenzialismo, inoltre, rappresenta l’espressione massima della personalizzazione e dell’americanizzazione della politica. E con questo le èlite dominanti farebbero bingo.

Abbiamo però parlato di presidenzialismo all’italiana, vediamo subito il perché. Il fatto è che nel nostro disgraziato Paese le cose non devono mai essere del tutto chiare. Ed il presidenzialismo non fa eccezione. Ecco allora che si preferiscono termini equivoci, come ad esempio «semi-presidenzialismo», una specie di presidenzialismo un po’ moscio che non si capisce bene cosa sia.

E’ ovvio che di sistemi presidenziali ne esistono di diversi tipi, così come i sistemi detti «parlamentari» presentano anch’essi al proprio interno una discreta varietà di forme e di equilibrio dei poteri. Non è che laddove esiste il presidenzialismo non vi sia il parlamento, e neppure viceversa. Quello che definisce veramente un sistema sono appunto i rapporti, concreti ancor prima che formali, di potere.

Ma allora, il sistema che si va preparando è presidenzialista oppure no? A questo proposito diamo la parola alla costituzionalista Lorenza Carlassare, che della commissione dei «saggi» ha fatto parte fino a luglio, quando si è dimessa per protesta contro i cedimenti del Pd di fronte alle continue pretese di immunità da parte di Silvio Berrlusconi. Ben prima delle sue dimissioni, esattamente il 6 giugno scorso, la Carlassare così si esprimeva a Radio Radicale:

«Cambi alla forma di governo assolutamente no: non si possono scaricare sulla Costituzione le incapacità della classe politica. Io vorrei che la Costituzione venisse attuata. Il presidenzialismo all’americana non lo vogliono perché lì i poteri del presidente sono davvero limitati dal Parlamento e dal potere giurisdizionale, e allora c’è l’idea del semipresidenzialismo che vedono come un filone che può portare la concentrazione dei poteri in una persona sola, questa è l’aspirazione».

Brava Carlassare, che fin dal principio aveva ben chiaro il compito affidato ai «saggi»: realizzare il passaggio al presidenzialismo senza dichiararlo, per giunta un presidenzialismo assai infido ed addirittura privo dei controbilanciamenti esistenti ad esempio nel sistema americano. Altro che «semi», l’idea è quella di una concentrazione dei poteri assolutamente sconosciuta nell’Italia repubblicana.

Le cose dovrebbero essere a questo punto sufficientemente chiare. Chiare nella sostanza, perché nella forma si vorrebbe continuare a nascondere l’evidenza. Sapete qual è la definizione della nuova forma di governo che i «saggi» si appresterebbero a proporre? «Governo parlamentare del premier». Questo almeno stando alla stampa di oggi (vedi ad es. il Sole 24 Ore, 14 settembre). Mai formulazione più bislacca era uscita dalla penna di un costituzionalista. Ma la «saggezza» a volte non ha limiti.

Il terzo obiettivo è quello del rilancio forzato del bipolarismo. Certo, non è questa una novità. Il bipolarismo italiano ha ormai vent’anni. Il blocco dominante che lo volle, lo concepiva come la condizione preliminare per ottenere gli altri due obiettivi di cui sopra. Condizione evidentemente necessaria, e tuttavia non sufficiente come i fatti hanno dimostrato.

Sta di fatto che arrivato ai vent’anni anche il bipolarismo è andato in crisi, e per certi aspetti (vedi il voto di febbraio) non esiste proprio più. Che fare allora? – si sono chiesti ai piani alti dei palazzi romani. Prendere atto della realtà della crisi del sistema politico, tornando al proporzionale, o far risorgere forzatamente un bipolarismo ormai privo di consenso? Per tutta una serie di ragioni, che qui diamo per scontate, la scelta è stata quella di provare (provare, perché l’esito è tutt’altro che certo) a rilanciare un bipolarismo assai spompato.

Il ballottaggio è lo strumento fondamentale di questa operazione. I carenti consensi raccolti al primo turno verrebbero così rimpolpati con quelli risucchiati al secondo. E se anche questo recupero dovesse dimostrarsi modesto, il vincitore (anche per un solo voto) avrebbe la maggioranza sufficiente per governare. Dal punto di vista del blocco dominante, questo schema funziona finché si riesce ad eliminare l’eventuale «terzo incomodo», nel concreto caso italiano il M5S. Un obiettivo al quale verrà certamente dedicata una specifica campagna mediatica, il cui raggiungimento non è però affatto certo. Molto dipenderà dalla capacità del movimento di Grillo di adeguarsi a questo livello dello scontro.

Quali effetti sulla crisi politica?

Giunti a questo punto bisogna chiedersi quali saranno gli effetti, e quali gli intrecci, con l’attuale crisi politica. Una crisi che non ha ancora mandato a casa il governo Letta, ma che potrebbe farlo presto.

Che la lunga agonia dell’esecutivo attuale prosegua, o che essa abbia invece fine per aprire la strada ad una sorta di governicchio bis, la questione della legge elettorale rimarrà comunque centrale. Proprio per questo i «saggi» hanno saggiamente accelerato. Così vuole, del resto, il despota del Quirinale, vero regista di queste ultime mosse.

Qualora con il governo saltasse anche la legge elettorale, egli dovrebbe essere il primo ad andare a casa, chiudendo così la sua lunghissima carriera politica con una sconfitta senza appello.

E’ per questi motivi che verrà fatto di tutto per mandare in porto il Super-porcellum di Violante e dei «saggi».

Presto vedremo chi darà il proprio sostegno, ed il proprio voto, a tutta questa «saggezza» anti-costituzionale.

Mentre il disastro sociale provocato dalle politiche dettate dall’Europa, ed eseguite dai governi Monti e Letta, va avanti; eccoci arrivati ad un altro snodo decisivo della crisi politico-istituzionale. Il processo di cancellazione della democrazia rappresentativa accelera.

Il Quirinale, Palazzo Chigi, i «saggi», i media: vanno tutti nella stessa direzione. Non per questo hanno ancora vinto. Acquisire la consapevolezza necessaria di quel che è in gioco è il primo passo per cercare di sbarrargli la strada.