Con l’ultima loro spettacolare mossa delle dimissioni in blocco di parlamentari e ministri, i berluscones hanno questa volta sancito il divorzio irrevocabile con il gotha delle classi dominanti.

Si badi, non astratte “classi dominanti”, bensì quella setta plutocratica venutasi formando in decenni di melting pot globalista, Questa cosca, grazie a funzionari piazzati per tempo nei gangli dei diversi apparati statali nazionali, li ha alla fine espugnati, eviscerati, trasformandoli in proprie protesi.

Questa metamorfosi, qui da noi, non fu indolore, avvenne grazie alla frattura di “Mani pulite”, ovvero la rottamazione di quei settori tradizionalmente dominanti delle classi dominanti che rifiutavano di obbedire e inchinarsi ai nuovi sovrani globalisti. Questi ultimi, avendo bisogno di nuovo personale politico, furono costretti a reclutarlo tra le file di quella che era stata l’opposizione del regime democristiano. Il vecchio Partito comunista divenne il principale braccio politico dell’operazione e un fondamentale serbatoio di cervelli e funzionari al regime della “Seconda Repubblica”.

Di qui la scesa in campo di Silvio Berlusconi. A nome e per conto del vecchio regime egli si mise di traverso, con inatteso successo, alla marcia trionfale dei nuovi sovrani. Questi tentarono subito di toglierlo di mezzo. Non essendoci riusciti cercarono, pur tenendolo sempre sotto tiro, di adescarlo per piegarlo ai loro disegni.

Quando sembrava che ce l’avessero fatta, che Berlusconi si fosse sottomesso, è sopraggiunta nel 2008 la grande crisi mondiale. Una crisi la cui prima vittima è stata quella artificiale costruzione dell’Unione europea e dell’eurozona in particolare. Sotto le mentite spoglie del “debito sovrano” l’Italia, mentre i berluscones erano al governo, è diventata un succulento bersaglio della finanza predatoria globale. L’eurozona, con la Germania oramai saldamente al comando, lungi dal costituire una barriera difensiva, amplificava l’attacco e ne accentuava i danni. Eravamo nel cruciale biennio 2010-2011, che culminava nella defenestrazione del governo Berlusconi del novembre 2011.

Ora ne sappiamo le ragioni vere. Berlusconi e i suoi non solo si opponevano alle draconiane misure d’austerità che erano richieste dall’alto, ma nelle segrete stanze lasciarono trasparire che l’opzione dell’uscita dall’eurozona era seriamente presa in considerazione.

Berlusconi, assediato, lasciò il campo a Monti, il che fece pensare alla cosca eurista ad una definitiva resipiscenza del Cavaliere. Errore. Non passerà un anno che Berlusconi, per non soccombere, staccherà la spina al governo dei tecnici e determinerà le elezioni anticipate del febbraio scorso.

Per bocca di Stefano Folli la cupola eurista manifestava a quel punto la sua vera e più intima preoccupazione:
«Non è tanto Berlusconi a far paura ai suoi avversari, quanto la minaccia di una campagna tutta costruita contro l’Europa, la Germania, l’austerità e quant’altro. (..) Del resto, l’attacco a tutto campo di Berlusconi ha cambiato il quadro. La campagna elettorale si delinea come uno scontro pro o contro l’Europa». [Stefano Folli, Il Sole 24 Ore del 9 dicembre]

Questi timori non si avverarono. I Berluscones, non ebbero il coraggio di alzare il tiro, di rappresentare il profondo e generalizzato malessere contro le politiche di macelleria sociale (che premierà le liste di M5S). Non seppero chiamare borghesia e classi medie a quella rivolta populista che è nelle loro corde. E davanti al fatto che le urne consegnarono un paese in stallo, accettarono addirittura di contribuire alla nascita del governo di Enrico Letta.

Quindi giungerà la condanna del primo agosto da parte della Corte di cassazione. A caldo noi scrivevamo:
«La sorte del governo Letta è oramai appesa ad un filo, un filo destinato a spezzarsi se, come noi riteniamo, il blocco berlusconiano gli toglierà il sostegno per andare a tappe forzate verso nuove elezioni anticipate. La surreale prudenza pidiellina di queste prime ore non deve quindi trarre in inganno. In guerra, se decideranno di dichiararla, non andranno in prima battuta con le insegne logore della lotta contro i “magistrati rossi” (sarebbe un suicidio) ma risfoderando le armi consuete: fine delle politiche d’austerità, riduzione delle tasse, meno Stato e più mercato. Queste sono le cose su cui il berlusconismo ha costruito il suo blocco sociale, e sono le cose che questo blocco vuole sentirsi dire per uscire dal sonno in cui è precipitato».

Quindi l’epilogo, le sbalorditive dimissioni in blocco di parlamentari e ministri e del divorzio di cui sopra. Ciò che i berluscones avrebbero potuto fare già nel novembre 2011 si son decisi a farlo adesso, scatenando la battaglia finale. A meno di una nuova e improbabile inversione ad U di Berlusconi, assisteremo quindi al redde rationem. Nemmeno le cosche dominanti vedono margini di negoziazione, esse son decise a farlo fuori una volta per tutte, portando così finalmente a termine l’incompiuta della “Seconda repubblica”.

Per spiegarsi il berlusconismo si è ricorsi spesso al concetto gramsciano di “sovversivismo delle classi dominanti”, quello che, in buona sostanza, alimentò il mussolinismo e sfociò nel fascismo.

E’ forse un’analogia fuorviante. Allora la borghesia si decise a scardinare le istituzioni liberali perché queste non riuscivano più a contenere l’avanzata del movimento rivoluzionario delle masse proletarie. Oggi non c’è nemmeno l’ombra di questa avanzata.

Oggi la lotta avviene tutta nel campo borghese, tra opposte fazioni capitaliste. Il berlusconismo rappresenta quelle frazioni di borghesia e classi medie fatte a pezzi dalla globalizzazione e dal regime eurista. Il pur eterogeneo fronte avversario s’incardina invece attorno ai settori usciti vincenti e dominanti negli ultimi decenni, e che stanno facendo affari d’oro con la grande crisi. Il nocciolo duro di questo blocco consiste in quella plutocrazia predatoria che tiene saldamente in mano finanza, banche, grande industria, e apparati statali.

Questo blocco dominante in Italia nella sfera economica non lo è tuttavia sul piano politico, poiché privo di quel consenso sociale che gli permetta di governare indisturbato. Non fa appello al “vincolo esterno” europeo per caso, è infatti nel sostegno delle aristocrazie euro-atlantiche che trae la sua reale forza. Senza queste retrovie sarebbe già andato in frantumi né potrebbe sperare di vincere la battaglia finale a cui si appresta. Una battaglia decisiva perché Lorsignori vorrebbero finalmente prendere due piccioni con una fava: far fuori il berlusconismo a destra e il grillismo a sinistra.

Per farlo han bisogno di tempo, vorranno quindi evitare che tutto precipiti e gli italiani siano chiamati a votare adesso. Hanno bisogno di organizzare le loro truppe, di truccare nuovamente le carte e cucirsi addosso una nuova legge elettorale che gli consenta, appunto, di vincere con ampi margini. Ma hanno anche bisogno, in nome della governance — termine intraducibile ma che sta per “governing without government”, ove quindi, soppressa ogni sovranità nazionale, il potere appartiene alle tecnocrazie globali — di scassare ulteriormente la Costituzione per abolire il sistema parlamentare rimpiazzandolo con un regime neo-assolutista.

Hanno insomma assolutamente bisogno che questo Parlamento sforni ad ogni costo un altro governo — che sarebbe a tutti gli effetti un pericolosissimo Governo costituente. Napolitano è demone e garante di questa strategia.

Noi invece di che bisogno abbiamo? Noi che siamo le forze dell’opposizione antisistemica che dobbiamo augurarci? Che dobbiamo fare?

Non abbiamo certo bisogno di concedere tempo alle plutocrazie dominanti affinché si compia il loro disegno strategico. Non possiamo augurarci che sotto la regia di Napolitano si formi un governo qualsivoglia — che Napolitano se ne vada piuttosto! Davanti a dei Quisling che hanno portato il paese allo sfascio, che ben venga lo sfascio loro e dei loro piani. Che ben vengano elezioni subito per dargli una nuova e pià devastante batosta!

Non abbiamo né aspirazioni né interessi comuni a nessuna delle due frazioni capitalistiche che si stanno combattendo, ma questa loro battaglia è preferibile al sodalizio che ha soffocato il paese in questi ultimi vent’anni. E se Berlusconi avesse davvero deciso di dare fiato alla rivolta della borghesia, nulla da perdere ce ne viene, poiché l’instabilità è meglio della loro stabilità, perché solo il disordine apre spazi alla lotta sociale e solo da esso è sempre sorto un ordine nuovo.

Quindi diamoci da fare, usciamo allo scoperto, mobilitiamoci, entriamo nel campo di gioco. Per quanto ciò sia arduo conflitto occorre creare, duro conflitto, intelligente conflitto, non fine a se stesso, bensì ancorato ad una visione strategica. C’è una terza via, antagonistica ad entrambi i due blocchi capitalistici che si stanno dando battaglia, quella di dare voce agli interessi e alla rabbia del popolo lavoratore, chiamarlo alla sollevazione. Le forze antisistemiche, se non vogliono schiattare sotto le macerie della lotta in seno alla borghesia, sono obbligate ad unirsi in un fronte ampio che dichiari apertamente che suo scopo è un governo popolare d’emergenza che spezzi la gabbia europea e adotti tutte le dure misure necessarie per evitare che il paese precipiti nell’abisso.