La storia, diceva Marx, si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Si è fatto un gran parlare, interpretando lo psicodramma che ha portato alla crisi del governo, di 25 luglio del berlusconismo. Silvio Berlusconi era deciso ad andare alla battaglia finale per battere i suoi nemici, scoperto che si era sfasciato il suo quartier generale, è stato obbligato ad una spettacolare, per certi versi patetica, marcia indietro, finendo per votare l’ordine del giorno Grandi e quindi firmare, come Badoglio l’8 settembre 1943, un armistizio coi suoi nemici.

Ma quali le conseguenze?

Berlusconi voleva far cadere il governo Napolitano-Letta, e questo ne esce invece rafforzato. Voleva le elezioni anticipate e queste sono rimandate sine die. Voleva ribadire il suo proprio padronale e carismatico comando sulle sue truppe, e si è dovuto piegare ai caporettisti. Voleva far uscire il berlusconismo dalla sua agonia ma ha dovuto invece sancire quella che potrebbe essere la sua fine.

Sgretolatosi il berlusconismo politico resta da vedere che accadrà al blocco sociale reazionario che ha finora rappresentato.

Dopo avere stravinto le elezioni del 2008 la destra si è trovata a governare mentre sopraggiungeva la più grande crisi economica dal dopoguerra. In Italia questa è diventata ancor più devastante a causa delle catene rappresentate dall’euro e dalle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea per conto della grande finanza predatoria. Il governo Berlusconi, incalzato dall’opposizione di centro-sinistra fedele all’ortodossia eurista, ha finito per ubbidire alle oligarchie, ai suoi dogmi liberisti, ai suoi crudeli dettami austeritari. Quando i berluscones han capito che così si stavano suicidando, che il loro blocco sociale si andava sfaldando, quando hanno timidamente cominciato a recalcitrare, non i “pubblici ministeri comunisti” ma gli oligarchi europei lo defenestrarono nel novembre 2011. Berlusconi si piegò già allora ai suoi nemici, diede la fiducia al nascente governo Monti. Le cose avrebbero preso una ben diversa piega se avesse deciso di ribellarsi allora come ha tentato di fare nelle ultime settimane.

Col senno di poi si può affermare che la resa di ieri è la fatale conseguenza di quella prima capitolazione del novembre 2011, che in effetti pose fine al sodalizio tra il berlusconismo e la gran parte del suo composito blocco sociale, imperniato attorno ad una borghesia e a classi medie furibonde e decise alla disobbedienza ai diktat europei. Le elezioni del febbraio scorso fotografarono in modo spettacolare la frattura tra blocco sociale berlusconiano e la sua rappresentazione politica. Il Pdl ha perso più di sei milioni di voti rispetto al 2008, voti andati sia al M5S che dispersi nell’astensione.

Difficile a questo punto, dopo la seconda capitolazione, che esso possa rialzare la testa, come avvenne per almeno quattro volte, nel 1994, nel 1996, nel 2001 e nel 2008. Sarebbe davvero come la leggenda dell’araba fenice, che risorse dalle sue ceneri.

Il dietrofront di Berlusconi lascia ora, sul fianco destro dello schieramento politico, spazi enormi. Altri cercheranno di occuparli, nel tentativo di dare una testa e incanalare la incipiente rivolta della borghesia e delle classi medie. Quanto veloce sarà questo processo di conformazione di una destra politica non lo sappiamo. Dipenderà se la crisi economica si incrudirà o meno, se le cricche euriste vorranno continuare imperterrite nelle politiche austeritarie o se invece vorranno addolcirle, magari derogando al Fiscal compact, al pareggio di bilancio, ecc.

Due le varianti possibili: un lepenismo all’italiana, ovvero un sovranismo antieurista ma reazionario, oppure un sovranismo in salsa berlusconide, ovvero liberista — sganciamento dall’eurozona ma poi tagli feroci ai salari, draconiane misure di riduzione della spesa pubblica, nuova ondata di privatizzazioni.

Il secondo dato che emerge dalle vicende politiche delle ultime settimane è che le oligarchie di Francoforte e Bruxelles, che temevano come la peste che il Paese precipitasse in una crisi al buio, hanno ottenuto una preziosa vittoria. Hanno nuovamente guadagnato tempo, ma non possono dormire sonni tranquilli, sanno bene che le nubi di tempeste finanziarie e sociali continuano a stagliarsi all’orizzonte.

Riusciranno ad allontanarle definitivamente? Noi pensiamo di no. Potrebbero quantomeno rallentare la velocità dell’uragano che si approssima, decidendo di dare una boccata d’ossigeno alle economie, anzitutto dei paesi del Sud Europa, sospendendo insomma le politiche d’austerità e concedendo deroghe sostanziali a questi paesi per ciò che riguarda il rispetto dei patti di ferro sottoscritti. Tutto dipende dunque dal governo tedesco, dalla possibilità che la Merkel venga meno, anzi violi, quanto ha sino ad oggi assicurato alla maggioranza del suo stesso popolo, che non vuole saperne di sacrificare i suoi miserabili benefici sull’altare dell’europeismo.

A questo esile filo sono appesi i destini del governo Napolitano-Letta e quindi quelli della poliforme e pur sempre instabile coalizione che lo sostiene. Se le classi dominanti tedesche non recedono dalle loro politiche mercantilistiche, egemoniste e revanchiste, chiunque governi in Italia e voglia al contempo restare fedele ai dogmi e ai culti euristi, non avrà margini, non disporrà di alcuna leva efficace per far uscire il nostro Paese dal marasma e quindi non potrà evitare di andare a sbattere, in barba a tutte le bubbole sulla “svolta di portata storica” che sarebbe stata determinata dalla sconfitta di Berlusconi.

Nonostante fosse stato Berlusconi ad aver innescato la crisi di governo, noi abbiamo sperato che il blocco degli euristi-di-ferro capeggiati da Napolitano e i suoi scudieri uscisse sconfitto da questa battaglia. Non è stato così.

Resta la drammatica urgenza di costruire un’opposizione sociale di massa per rendere la vita impossibile al governo dei Quisling e ai suoi mandanti europei. Ripetiamo l’allarme: questa opposizione di massa rischia di disperdersi nei mille rivoli di una rivolta cieca, senza né capo né coda. Se questi rivoli confluiranno invece in un unico grande fiume, allora avremo una piena, la sollevazione che potrebbe seppellire i becchini del nostro Paese.

Per questo serve, attorno ad un programma d’alternativa, unire qui e ora le forze politiche antisistemiche, un’unione che potrebbe essere l’embrione di un ampio fronte popolare.
Lorsignori hanno ottenuto tempo, sfruttiamolo a nostro vantaggio.

da sollevAzione