Il 4 ottobre, a 102 anni, è morto il generale Giáp, combattente antimperialista e vincitore di Dien Bien Phu e dell’imperialismo americano e francese

L’associazione nazionale Italia Vietnam e il Centro di studi vietnamiti lo ricordano con queste parole, già edite sul Numero 2/Autunno-Inverno 2008 di Mekong.

Il leggendario generale Võ Nguyên Giáp si è spento il 4 ottobre

«Il problema che dovevamo risolvere era questo:
come un paese contadino e semifeudale potesse ribellarsi
e battere l’aggressione, come potesse arrivare a liberarsi.
Le invasioni precedenti venivano da un mondo
che, dal punto di vista culturale e di livello tecnologico, era simile a noi.
Adesso, invece, il problema si poneva in modo diverso,
era necessario battersi contro un paese industrializzato…
»
Võ Nguyên Giáp

Il 16 agosto 1945, prima di marciare verso la città di Tây Nguyên, per combattere i giapponesi, il comandante Võ Nguyên Giáp, officiò una sorta di cerimonia rivolta all’unità dell’esercito di liberazione, posta sotto il suo comando: “Poiché il tempo è maturo – disse -, a qualsiasi costo dobbiamo vincere per affermare l’indipendenza nazionale”. Era la consegna di Ho Chí Minh. La cerimonia avvenne sotto un vecchio banyan e probabilmente, fu per caso. O forse, come a noi piace credere, non lo fu.

Il Banyan o Ficus benghalensis è infatti la denominazione comune di una grande pianta arborea, appartenente alla famiglia delle moracee. Peculiarità di questo albero sono le sue numerose radici avventizie – che scendono dai rami e si impiantano nel terreno, fornendo alla pianta sostegno – e una serie di fusti secondari che permettono una larga espansione ad ombrello del fogliame cuoriforme. Con il passare degli anni il fusto originario muore e l’albero si suddivide in tante parti, quanti sono i fusti secondari… Charles Fourniau ci ha fornito un’immagine assai evocativa di questo albero, paragonandolo all’essenza stessa della nazione vietnamita: contrariamente al concetto di nazione abitualmente in uso in Francia o in Italia, che metaforicamente potrebbero essere raffigurate da una quercia, con il tronco che porta i rami delle varie province, la nazione vietnamita sembra piuttosto evocare il banyan, i cui rami cadono a terra, mettono le radici e formano un enorme massa di alberi magnifici…

Percorrendo il territorio vietnamita, da Hà Noi all’estrema punta Sud di Cà Mau, lungo la strada n°1, di pianura in pianura, si riscontrano accenti, canzoni e cibi che hanno ciascuno carattere particolare; nondimeno, è sorprendente constatare l’omogeneità del popolo vietnamita che, lungo i 3.000 chilometri di coste, parla la stessa lingua, con qualche variante dialettale, condivide una storia millenaria e può risalire ad antenati comuni. Un’omogeneità rara, fatta di diversità e di un insieme di contraddizioni che pur tuttavia sono alla base dell’identità vietnamita e che niente, nel corso del tempo, ha potuto incrinare.

Perciò ci piace pensare che, per il generale, la scelta di officiare la cerimonia sotto il banyan non sia stata casuale. Giàp parlava le lingue delle minoranze del luogo, conosceva la diversità e al tempo stesso l’unità, delle genti del Viet Nam. Sulla base di quell’unità di popolo, si accingeva a realizzare, nel quadro della strategia della lotta per l’indipendenza nazionale delineata da Ho Chí Minh, l’unità territoriale del Viet Nam.

Niente, meglio di un banyan, poteva incarnare quell’intento.

Volendo ripercorrere le origini e le vicende legate a questo grande protagonista della prima guerra del Viet Nam, occorre ricordare che tutto aveva preso avvio nell’aprile del 1940, quando il “compagno Tran”, era arrivato a Kunming, capitale dello Yunnan e subito era entrato in contatto con i quadri di quella che era una base segreta del partito comunista indocinese; tra questi – come ricorda Enrico Lobina in un suo recente lavoro che fa luce su di un periodo poco indagato dalla storiografia italiana sull’ex-Indocina – v’erano Võ Nguyên Giáp e Pham Van Dong. Il “compagno Tran” altri non era che Ho Chí Minh, che aveva assunto uno dei vari pseudonimi che, lo identificheranno nel corso degli anni. “Quel gruppo ristretto di militanti riuniti attorno allo ‘zio Ho'[i], in quei mesi, puntava a creare le condizioni per una lotta di liberazione in Viet Nam. Di lì a poco [i quadri] si ritrovarono tutti nella grotta di Pác-Bó, nella provincia vietnamita di Cao Bang, in pieno territorio della minoranza nùng, in mezzo alle montagne e ad un chilometro soltanto dalla frontiera con la Cina.”[ii] “Quella grotta – racconterà Giáp[iii] – “era nascosta da una folta vegetazione e si affacciava su di un limpido ruscello le cui acque formavano, a breve distanza, un bacino abbastanza grande, un lago in miniatura. Il ruscello correva attraverso un groviglio di strane rocce in cui grosse stalattiti cadevano su blocchi enormi e levigati dall’ erosione. Era là che, ogni giorno, Ho Chí Minh scendeva per lavorare”. A suo fianco, oltre a Giàp e Dong, pochi altri quadri: Phùng Chí Kiên, Vu Anh, Hoàng Van Hoan, già tutti in contatto con il Partito comunista indocinese che aveva le sue sedi clandestine nel delta del fiume Rosso, tra Hà Noi e Hai Phòng. Durante l’ultimo soggiorno di Ho Chí Minh in Francia, nell’ottobre del 1946, Võ Nguyên Giáp assumerà di fatto la direzione del paese[iv].

Nel corso del primo anno di governo della Repubblica democratica, il generale veniva dipinto come un uomo energico, freddo e determinato, fatto che gli varrà il soprannome di Núi lùa,”vulcano sotto la neve”. La maggior parte dei suoi avversari, i francesi dapprima e gli americani in seguito, confermeranno questa immagine. Qualcuno identifica nel suo contegno glaciale il segno di una lunga sofferenza dovuta ai drammi familiari: la sua prima moglie, Quang Thái, era stata arrestata nel maggio 1941, condannata a vita e non è chiaro se si uccise in cella o fu uccisa dalle torture; sua cognata – una partigiana che si era formata in Unione sovietica – era stata fucilata.

Prima della battaglia di Diên Biên Phu, il comandante Giáp non faceva che ripetere che sarebbe stato necessario poter disporre di un numero di soldati tre volte superiore a quello dei nemici e di una potenza di fuoco cinque volte maggiore. Questo era anche quanto i suoi consiglieri cinesi gli suggerivano. Nel corso della prima e poi della seconda guerra del Viet Nam, tuttavia, Núi lùa rivedrà le sue posizioni, talvolta addirittura le capovolgerà, nella convinzione sempre più ferma che una lotta rivoluzionaria può e deve impegnarsi contro un nemico superiore per numero di combattenti e che sia imprescindibile sconfiggere l’avversario dal punto di vista morale, piuttosto che militare. Sin dall’inizio del conflitto, la guerra del Viet Minh, enunciata sull’elaborazione teorica di Truong Chinh, fu messa in opera da Giàp: era una guerra di movimento continuo che raggiungeva anche gli spazi più angusti, fondata sul concorso di tre sostanziali forze insurrezionali, l’esercito regolare, le forze regionali – incaricate di incalzare il nemico nelle retrovie quando si combatteva sulla linea di fuoco – e le forze locali di autodifesa che rispondevano alle necessità contingenti e logistiche e si occupavano della protezione sanitaria dei combattenti.

Nei nove lunghi anni della guerra di resistenza che aveva preso avvio all’indomani della rivoluzione d’agosto, l’esercito del popolo vietnamita era cresciuto giorno dopo giorno, sino a divenire, sotto la guida di questo “generale del popolo”, un esercito regolare e moderno; “fulminanti attacchi e fulminanti vittorie”, come ricordava la stampa locale dell’epoca, avevano scandito il cammino di tutta una nazione in lotta. La storica campagna di Dien Biên Phu dell’inverno-estate 1953-54, contribuì a rovesciare le roccaforti del colonialismo nel mondo, ma lui, il generale che ne fu l’artefice, si schermisce: “Coniugando la cultura tradizionale con un risoluto esprit de combat e con l’arte creativa della guerra, i vietnamiti hanno dato vita ad una originale dottrina militare. Fu una vittoria della dottrina militare del Viet Nam e di tutto un popolo in lotta”.

La battaglia di Dien Biên Phu viene ricordata come lo scontro più furioso che il corpo di spedizione francese dovette affrontare in terra vietnamita. Quei drammatici centosettanta giorni, segnarono l’acme di un percorso storico che attraversa tutta la storia coloniale ed è marcato dal “grande tornante” del 1945, con la rivoluzione d’agosto. Fu una guerra “asimmetrica” – e il comandante francese Navarre lo constatò, sottolineando che era condotta da due forze contrapposte anche per mentalità, formazione ideologica, concezione del modo di combattimento. Inoltre, dirà Navarre, “come già ci aveva imposto la sua forma di guerra, il Viet Minh impose la sua strategia, (…) un piano d’insieme che dava ampio spazio all’aspetto politico e psicologico della guerra”[v]. Il campo trincerato dei francesi – il più forte di tutta la guerra – si componeva di otto settori; tutti chiamati con nomi femminili: Gabrielle, Béatrice, Anne Marie, Huguette, Dominique, Eliane, Claudine, Isabelle. Il 13 marzo 1954, il giorno in cui cominciò la battaglia – ci dice Pino Tagliazucchi, autore di una corposa ricostruzione storica, apparsa sulle pagine dei Quaderni vietnamiti – “il GONO (Groupe Opérationnel du Nord-Ouest) che, agli ordini del colonnello De Castries, dirigeva il campo, disponeva di circa 11.000 uomini ed altri 4.000 furono in seguito paracadutati (…). La composizione etnica della guarnigione dà un’idea di quel miscuglio di etnie che era il corpo di spedizione, tutto di mestiere. Prima della battaglia, i francesi de souche erano circa il 13% del totale; i legionari (in larghissima parte tedeschi) erano circa il 27%; i nord-africani (algerini e marocchini) il 26% circa; i vietnamiti, tra regolari ed ausiliari, il 32.5%; i rinforzi paracadutati furono poi in larga misura francesi e vietnamiti”. Queste percentuali sono eloquenti e permettono di comprendere la ragione per cui buona parte della guarnigione (anzi, stando alle scarse indicazioni in proposito, la maggior parte), disertò la battaglia – e non era certo nelle previsioni dell’alto comando che solo una minoranza vi partecipasse.

Uno degli aspetti più singolari della battaglia di Dienn Biên Phu fu rivestito dal poderoso sforzo logistico del Viet Minh. Scrive Bernard Fall: “Per i francesi, la vera sorpresa non fu che i comunisti disponessero di artiglieria; in effetti, da almeno un anno questo era noto. Ciò che sorprese i francesi fu la capacità del Viet Minh di trasportare una massa considerevole di artiglieria pesante per montagne senza strade, sino a Dien Biên Phu e di mantenere quella massa fornita di una quantità di munizioni sufficiente. Gli specialisti francesi di artiglieria calcolarono più tardi che erano stati sparati circa 30.000 colpi da 105 e probabilmente oltre 100.000 colpi di cannone di altro calibro”.[vi]

Oltre al coraggio, i “petits tonkinois de la rizière” dimostrarono di sapere condurre una battaglia di posizione intelligente, pervicace e compatta. Decine di migliaia di dân công (i portatori) avevano assicurato i rifornimenti e issato pezzi d’artiglieria pesante sulle vette per piazzarli in rifugi scavati sul fianco della montagna, mascherando così bene le postazioni che l’aviazione e l’artiglieria francesi non riuscirono mai a scoprirli; i battaglioni Viet Minh inoltre, non attaccarono mai allo scoperto, se non all’ultimo momento: avevano dapprima scavato una fitta rete di trincee zigzaganti che dalle colline percorrevano tutta la vallata, sino alle postazioni francesi e, talvolta, sotto a quelle stesse postazioni, per sbucare d’improvviso alle loro spalle…

L’attacco risolutivo fu condotto ai primi di maggio, quando già la stagione delle piogge affogava difensori ed attaccanti nell’acqua e nel fango. Il 7 maggio 1954, verso sera, il GONO si arrese. Tra morti, feriti e prigionieri, stando alle cifre fornite dallo stesso Navarre, il corpo di spedizione perse sui 16.000 uomini. Il Viet Minh aveva perduto, tra morti e feriti, almeno 20.000 uomini. Ma la sua delegazione alla conferenza di Ginevra poté presentarsi con una vittoria indiscutibile, in una situazione militare insostenibile per la Francia.

La storia del generale Giàp, il cui pensiero politico-militare affonda le radici nella storia delle rivolte del XV secolo e nei classici del pensiero militare vietnamita, si confonde non solo con questa battaglia, ma con tutta la storia dell’esercito popolare di liberazione e della nascita della repubblica socialista del Viet Nam. Il “vulcano sotto la neve” oggi è ancora attivo; studia, legge, ama la poesia, la musica classica e suona il pianoforte. Nel 2001 ha celebrato i suoi 90 anni; presidente del consiglio delle scienze e della tecnologia, così come della commissione per la demografia, contro le previsioni delle cassandre che ne annunciavano il definitivo ritiro dalla scena politica, di tanto in tanto ancora indossa la sua uniforme bianca ed interviene vigorosamente: nel 2007, durante il X Congresso del partito con un discorso rigoroso e toccante ha denunciato la corruzione del paese. Un paese di tradizione confuciana, dove, lo ricordiamo, la debolezza morale coincide con l’illegittimità politica…

Se qui, inevitabilmente si parla di guerra, non per questo dobbiamo pensare al Viet Nam come esclusivo apparato politico-militare-strategico, stereotipo con il quale il paese è stato dipinto fino al 1975 ed oltre. Nessuna delle massime odi poetiche del Viet Nam, ha mai esaltato la guerra e il celebre Chinh Phu Ngâm[vii], il “Lamento della moglie di un soldato”, é un’autentica “epopea della pace” in cui si stigmatizza l’avversione per la guerra, cagione di lutti e separazioni. Sui versi del Chinh Phu Ngâm sono state cullate generazioni di pargoli e, si racconta che nel corso della guerra di resistenza contro i francesi, per dimenticare la fatica delle lunghe marce nella jungla, lo stesso Hô Chi Minh ne recitasse a voce alta interi versi. Se ne accorse e ne fu sorpreso Nguyên Van Huyên, insigne studioso e ministro dell’istruzione, nel corso di un sopralluogo alle truppe; così, volle imitare il leader e, dopo aver assistito alla lezione di letteratura in una delle tante scuole improvvisate nella boscaglia, tenne una conferenza estemporanea sul celebre “Lamento”…

Note:

[i] In vietnamita Bác (zio), è il fratello maggiore del padre ed ancor più del padre, nella cultura tradizionale, merita rispetto.

[ii] Sin dagli anni Trenta il P.C.I. aveva creato delle cellule tra la popolazione nung, e quando, a metà del 1940, le truppe giapponesi attaccarono la piazzaforte francese di Lang Son, nella regione, vi fu un tentativo di insurrezione. Inoltre, nel 1938 e 1939, Ho Chí Minh era stato a Yenan ed aveva operato come quadro politico nell’Armata rossa di Mao; è molto probabile che l’idea di creare una “zona liberata” a ridosso della frontiera cinese, gli fosse venuta da quella esperienza. Si veda su questo punto LOBINA ENRICO, Organizzazione del consenso e strategia militare del Partito Comunista Indocinese nel nord Viet Nam dalla conferenza di Pac Bo al 2 settembre 1945, La Città del Sole, Milano, in corso di stampa.

[iii] VÕ NGUYEN GIÁP, “Naissance d’une armée”, in Récits de la résistance vietnamienne, Maspero, Parigi 1966.

[iv] LOBINA ENRICO, Organizzazione del consenso e strategia militare del Partito Comunista Indocinese nel nord Viet Nam (…),op. cit.

[v] NAVARRE HENRI, Agonie de l’Indochine“, Plon, Parigi 1956, pag. 39.

[vi] FALL BERNARD, Hell in a very small place. The siege of Dien Bien Phu, Lippincott Co., Philadelphia 1967, pag. 127.

[vii] “Il lamento della moglie di un soldato”, è in realtà la traduzione in vietnamita nôm, di un lungo poema scritto in cinese classico da Dang Trân Côn, ad opera di Doàn Thi Diem (1705-1748), insigne letterata; la traduzione tuttavia era assai più bella dell’originale e a ciò si deve la sua grande diffusione in Viet Nam.

 

da www.resistenze.org