Il loro piano e quello nostro

Consiglio la lettura del fondo di Ernesto Galli Della Loggia apparso sul Corriere della Sera del 20 ottobre Il potere vuoto di un paese fermo. Il fatto che negli anni egli abbia preso numerose cantonate e scritto varie amenità nulla toglie al valore del suo intervento. Per una volta non ci si arresta alle soloniche invettive contro la “casta politica”, si mostra anzi che esse sono il precipitato della putrefazione (aggettivo mio) del capitalismo italiano, nonché delle deformità, oramai trapassate nel suo Dna, della classe dominante e delle sue consorterie:

«Di coloro che negli ultimi vent’anni hanno avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Quale capacità imprenditoriale, che coraggio nell’innovare, che fiuto per gli investimenti, hanno in complesso mostrato di possedere? La risposta sta nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, dei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi a opera della concorrenza internazionale, nel numero delle aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio. Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi, troppo spesso collusi con il sottobosco politico e pronti a dare quattrini solo agli amici degli amici».

Della Loggia segnala come serpeggi lo “scoraggiamento generale”, l’idea diffusa che «per l’Italia non ci sia più speranza… la sensazione di una nostra segreta incapacità di reggere sulla distanza alle prove della storia».

La tesi è che:
«L’Italia non sta precipitando nell’abisso. Più semplicemente si sta perdendo, sta lentamente disfacendosi. (…) Si tira a campare, con le “larghe intese”, questo sì: ma a forza di tirare a campare alla fine si può anche morire». Che dunque: «Mai come oggi abbiamo bisogno di segni coraggiosi di discontinuità, di scommesse audaci sul cambiamento, di gesti di mutamento radicale».

Analisi spietata ma vera quant’altre mai, con la doverosa precisazione che il disfacimento del paese — dei suoi tessuti economico-sociali come del suo ordito etico-morale — deve appunto, prima o poi, condurre al crollo, all’abisso; a meno che non intervenga prima, appunto, l’anelato “mutamento radicale”.

Ma di quale mutamento si sta parlando? E quale sarà il blocco sociale, e entro di esso la classe sociale, che ne saranno artefici?

Dall’analisi di Della Loggia (che potremmo corroborare con ben più solidi e macroscopici dati sulla struttura del capitalismo nostrano) se ne deduce: che la borghesia italiana non è capace di produrre questa svolta; che non possiede gli anticorpi contro il disfacimento; che non porta in grembo il drago della rinascita.

Per questo i settori egemoni delle élite dominanti si affidarono al processo che portò all’Unione europea e alla moneta unica. Essi sperarono che il famigerato “vincolo esterno” avrebbe avuto l’effetto di raddrizzare il legno storto del capitalismo italiota, di rimuovere il carattere patriziale della sua cupola finanziario-industriale, di mettere in riga la schiera di microimprese che tiravano a campare grazie alle svalutazioni competitive e ad un corporativismo paternalistico, di rimuovere il vecchio ceto politico. Per realizzare questo disegno strategico nacque la “Seconda Repubblica” di cui il centro-sinistra doveva essere l’architrave.

Questo disegno ha fatto fiasco per due ragioni fondamentali. La prima, evidente, è che il processo di unificazione europea culminato nell’euro, alla prima prova seria (la crisi finanziaria venuta dagli Usa), si è inceppato e non riesce a riprendere slancio. La seconda è che (pur sempre in nome della nuova religione civile eurista) le forze sociali recalcitranti al processo di disinfestazione, una volta individuato nel berlusconismo uno scudo difensivo, hanno opposto una resistenza inattesa e tenace.

Visto questo doppio fallimento incosa sperano, quale potrebbe essere il “piano di mutamento radicale” di quelle stesse élite che parlano per bocca di Della Loggia? La risposta è semplice, almeno io ritengo, ed è quella che invocano un grosso e risolutivo shock esterno, più profondo e devastante di quello dell’estate-autunno 2011 e che portò al defenestramento di Berlusconi e all’arrivo di Monti. L’Italia è too big to fail, il suo disfacimento farebbe saltare non solo la moneta unica ma seppellirebbe la stessa Unione. Ecco quindi, a maggior ragione visto che le “larghe intese” non producono alcun effetto davvero risolutivo, che una catastrofe preventiva pilotata potrebbe sortire l’effetto sperato. La tecnica per causare un collasso che giustifichi un grande shock è collaudata, un attacco concertato al debito pubblico italiano — con l’effetto collaterale di fare saltare il sistema bancario italiano.

A quel punto l’Italia dovrebbe, non differentemente dall’Irlanda, dalla Grecia e dal Portogallo (quindi in misura ben maggiore che la Spagna) chiedere aiuto non solo all’Unione (col ricorso ai fondi di Esm/Mes) ma pure alla Bce, ed il che significa, dato che le Ltro si sono dimostrate solo un palliativo, far scattare le annunciate da Draghi Omt, operazioni monetarie definitive. Note sono le condizioni draconiane affinché la Bce possa ottenere il lasciapassare tedesco per giungere in soccorso delle finanze pubbliche e delle banche italiane.

Chi gestirebbe questo economicidio? Un nuovo governo di “larghe intese” è escluso, com’è escluso che il Pd, coi suoi ammennicoli possa farlo. Qui l’inquietante prospettiva del “podestà forestiero”, non a caso adombrata dal Gaulaiter Mario Monti nell’agosto 2011. L’Italia, che è già paese ad amministrazione controllata, verrebbe a quel punto governato da un direttorio emanazione della troika.

La minaccia di un nuovo crollo finanziario globale, come fu quello del 2008, che molti analisti ritengono probabile dopo anni di sbronza monetaria e di bolla dei valori borsistici, renderebbe cogente questa drammatica eventualità.

Il “piano” opposto non potrebbe essere che una sollevazione popolare. Che questa possa sopraggiungere prima, come noi ci auguriamo, è possibile ma altamente improbabile. E’ molto probabile invece che lo shock colpisca il paese tra capo e collo, che avremo solo a quel punto, oramai precipitati nell’abisso, una sollevazione generale.

Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva. Il paese entrerà in un periodo di acutissime convulsioni sociali e politiche, la sollevazione procederà per fiammate, non seguirà una linea retta ascendente. Occorre rassegnarsi ad una sinfonia caotica e sconnessa, poiché mancano sia lo spartito che una direzione d’orchestra. Detto altrimenti avremo un conflitto coriandolare, policentrico, poiché, mentre la borghesia italiota è oramai una classe parassitaria e al tramonto, non abbiamo nemmeno, perché oramai spappolato, imborghesito, eviscerato, un proletariato che possa candidarsi a ruolo guida di un blocco sociale in grado di sovvertire l’ordine delle cose e prendere in mano le redini del paese.

E’ dentro questo marasma disordinato che le forze democratiche e sovraniste saranno chiamate e portare ordine e introdurre senso. Un blocco sociale e politico antagonista prenderà forma nel mezzo dello sconquasso. L’egemonia l’avrà chi saprà gettarsi nel conflitto trasformando la disperazione in rabbia consapevole; di chi saprà fare, di coloro a cui è stato tolto tutto, la forza motrice di un blocco ampio con i molti che vorranno difendere il poco che gli resta; di chi, portatore di un’idea nuova di società, saprà indicare la via e i mezzi per aprirgli una strada.

Se, su questo d’accordo col Della Loggia, ho ragione nel sostenere che da questa crisi si esce solo con soluzioni radicali; se sono nel giusto nel ritenere che la borghesia italiana non ha né la volontà né la forza per rompere la gabbia eurista e liberista; se, come ritengo, per questo abdicherà e accetterà di fare del Paese una semi-colonia; se, come penso, la forza motrice della sollevazione saranno i settori sociali dilaniati dalla crisi sistemica; non solo lo scontro si farà durissimo, ma la società subirà un processo di polarizzazione sociale, politica e ideologica violento che divaricherà lo stesso campo delle forze sovraniste.

Con buona pace degli azzeccabarbugli che dai loggioni strillano lo stesso mantra del pensiero unico mainstraeam, quello della “morte delle ideologie” e della “fine della dicotomia tra destra e sinistra”.