Di quanto si sono impoveriti i greci per restare nell’eurozona?
Ecco una bella domanda. Di quelle che bisognerebbe farsi ogni volta che si avvia una discussione su “euro sì, euro no”. Discussioni a volte astratte, e spesso dominate dal terrore dell’ignoto: quel ritorno alla valuta nazionale che secondo alcuni provocherebbe solo disastri senza fine.

Ora, abbiamo scritto tante volte che l’uscita dalla moneta unica non sarà certo indolore, che essa dovrà essere accompagnata da una serie di altre misure – in primis la nazionalizzazione del sistema bancario, un rigido controllo sul movimento dei capitali, una robusta ristrutturazione del debito pubblico – e tuttavia non ne possiamo più dei profeti di sventura che vedono solo le disgrazie future, mentre poco hanno da dire su quelle già in corso.

Prendiamo allora il caso della Grecia. Caso estremo, si dirà con qualche ragione, dato che la Grecia è il paese che ha maggiormente subito i diktat austeritari dell’Unione Europea e della troika. Ma il suo caso, pur essendo il più grave, non è certo l’unico. Gli stessi fenomeni di impoverimento, caduta del reddito, aumento della disoccupazione, depauperamento dell’apparato industriale, li ritroviamo in tutti i paesi della periferia sud del continente, a partire dall’Italia.

Vediamo gli ultimi dati sulla Grecia. Numeri ufficiali dell’istituto di statistica ellenico, riportati da un articolo di Ettore Livini su la Repubblica del 23 ottobre scorso. Leggiamo i dati essenziali:

«L’istituto nazionale di statistica ha calcolato che il reddito disponibile delle famiglie greche è calato dal 2008, anno dell’inizio della bufera dei debiti sovrani, ad oggi del 40%. Cifra tonda frutto del -29,5% di ricchezza calcolata e dell’effetto inflazione. Gli stipendi dei cittadini ellenici sono crollati dal secondo trimestre del 2009 del 34%, mentre il governo nello stesso periodo ha tagliato i servizi e i benefit sociali del 26%».

Quaranta per cento! C’è qualcuno in giro che osa sostenere che i greci avrebbero subito la stessa sorte se avessero potuto disporre di una propria moneta e della conseguente sovranità monetaria e nazionale? Se c’è qualcuno si faccia avanti, magari spiegandoci come mai in nessun paese del mondo, ma proprio in nessuno, l’attuale crisi economica ha prodotto un disastro lontanamente paragonabile a quello greco.

Quaranta per cento! C’è qualcuno che ancora vuol parlare dei perniciosi effetti inflattivi della svalutazione conseguente al ritorno alla moneta nazionale? Giustissimo, lo faccia. Il problema ha da essere affrontato, soprattutto per salvaguardare salari e pensioni. Ma va fatto sapendo (e dicendo) come stanno le cose, e cioè che nessuna svalutazione potrà mai fare più danni di quanti ne ha fatti, ne sta facendo e ne farà la moneta unica. Il caso greco è lì a dimostrarlo.

Certo, l’euro non è stato la causa della crisi sistemica scoppiata nel 2008. Ma continuare a non vederne l’effetto moltiplicatore che esso ha prodotto in Europa, e specificatamente nell’area mediterranea, non è più tollerabile.

Ora, tornando alla Grecia, la Troika si dice molto soddisfatta della situazione, perché vi sarebbero «incoraggianti segni di stabilizzazione». Sai che bello “stabilizzarsi” dopo aver perso il 40% del reddito e della ricchezza!

Secondo Ue-Bce-Fmi quest’anno i conti pubblici faranno registrare un avanzo primario – peccato che, esattamente come in Italia, ci penseranno poi gli interessi sul debito a ripristinare un bel segno meno. Il Pil calerà “solo” del 4%. Ma la Troika è felice perché temeva peggio…  Felice anche l’impagabile Olli Rehn che, dopo 6 anni di recessione, vede per il 2014 l’inizio della ripresa…

Lo stesso Livini ammette che «non si vede ancora la fine del tunnel». Del resto: «Solo tra giugno 2012 e giugno 2013 sono andati in fumo 3,1 miliardi di risparmi, pari a un’altra flessione del 9,3%. Colpa dell’ennesima sforbiciata del 13,9% alle busta paga e del 12,4% al welfare». Cifre da brivido, relative solo all’ultimo anno. Un anno in cui i consumi sono calati di un altro 7,6%.

C’è dunque da dubitare che la Grecia abbia toccato il fondo. Tant’è vero che tutti sanno che una nuova ristrutturazione del debito (haircut, “sforbiciata” come dicono gli strozzini-barbieri della Troika) si renderà necessaria. Lo sanno talmente bene che hanno già deciso la data. Sarà subito dopo le elezioni europee, ed il perché è presto detto. Siccome questa volta saranno chiamati a pagare la Bce ed il “fondo salvastati”, e siccome ciò produrrà una perdita secca ai paesi che vi contribuiscono (tra i quali ovviamente l’Italia) è meglio non far sapere niente di tutto ciò ai cittadini che nel maggio prossimo saranno chiamati ad eleggere il nuovo parlamento di Strasburgo.

Ricapitolando: i greci si sono impoveriti del 40%; la “fine del tunnel”, al di là di una possibile ripresina fisiologica, è di là da venire; il debito pubblico, nonostante le misure draconiane imposte, è tutt’altro che stabilizzato.

Ripetiamo allora la domanda: c’è qualcuno in giro che vuole sostenere che un simile disastro sarebbe avvenuto se i greci avessero potuto disporre di una propria moneta e della conseguente sovranità monetaria e nazionale?

Nessuna persona onesta potrebbe sostenere una simile castroneria. Ecco perché ci siamo abbastanza stufati delle sottili disquisizioni sul rapporto costo/benefici di un’uscita dall’euro. Discussione utilissima, beninteso, ma solo a condizione che prima si faccia un raffronto non sulle due ipotesi future, ma con il disastro ben misurabile del presente. E ciò vale per la Grecia, ma anche – mutatis mutandis – per il nostro paese.

A meno che non si voglia sostenere la tesi secondo cui non si possono negare i danni dell’euro (hai a provare!), ma siccome ormai ci siamo conviene rimanervi per non produrne di ulteriori. Ma con una simile ignavia, di sicuro non estranea ad una sorta di conservatorismo inconscio di una certa intellettualità di “sinistra”, sarebbe davvero inutile discutere.