Come le oligarchie, in un modo o nell’altro, vogliono imbrogliare

«Legge elettorale, la paralisi del Parlamento – bloccata in Senato proposta Pd doppio turno». Questo l’addolorato commento dell’impagabile Repubblica al voto in commissione “Affari costituzionali” del Senato sul doppio turno.

Un dolore talmente forte che porta il quotidiano a prendersela con Grillo, reo di aver affossato la proposta del partito (?) di Epifani (??). Il M5S si è infatti astenuto, un voto che a Palazzo Madama vale come contrario. Un dolore in verità assai immotivato, dato che l’esito del voto era scontato. Ma perché poi prendersela con un gruppo di opposizione come M5S (che, per chiarezza politica, avrebbe fatto molto meglio a votare no), piuttosto che con l’alleato Pdl che regge in piedi l’amato governo delle “larghe intese”? Misteri della politica italiana di questo strano frangente.

Che dopo la farsa del voto di fiducia del 2 ottobre, l’accordo sulla legge elettorale sarebbe stato più difficile di prima, lo avevamo previsto in tempi non sospetti, mentre la stampa mainstream inneggiava raggiante alla “stabilità”. Una bufala che qualcuno ha creduto anche a sinistra.

Ora, dopo che i doppioturnisti (Pd, Sc e l’immancabile Sel) sono stati battuti, tutto è rinviato alla prossima settimana, in attesa di vedere cosa porteranno nel week end i venti di tempesta che spirano nel Pdl, dove ormai una scissione sembra difficilmente evitabile.

Ecco un altro elemento di “stabilità” piuttosto interessante, ma che qui considereremo solo per i suoi possibili effetti sulla legge elettorale. Ora, i casi sono tre: nel primo il Pdl/Forza Italia si scinde già al Consiglio nazionale di sabato prossimo, nel secondo la resa dei conti viene rimandata a dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi, nel terzo (che riteniamo altamente improbabile) il partito si ricompatta in qualche modo.

Inutile dire che nel terzo caso una eventuale riproposizione del doppio turno, magari nella versione che Renzi si appresta ad annunciare, sarebbe semplicemente irricevibile per il partito di Berlusconi. Dunque, semaforo rosso. Ma che forse una simile ipotesi sarebbe invece accettabile per i transfughi alfaniani dopo la scissione, immediata o rinviata che sia? Difficile crederlo. Forse poteva esserlo prima di ieri, ma adesso come rimangiarsi un voto contrario da anch’essi condiviso?

Come previsto, la situazione si va dunque impantanando. Ma incombe la Corte Costituzionale, che nella riunione del 3 dicembre potrebbe (il condizionale è d’obbligo) dichiarare la parziale incostituzionalità del Porcellum. Ma anche su questo le incertezze sono molte.

Tante sono infatti le ipotesi in campo. La Corte, silente finora in materia, dato l’imperativo di “non disturbare il manovratore”, si ritrova adesso tra le mani una vera e propria patata bollente. Teoricamente, essa potrebbe fermarsi ad una valutazione negativa sul premio di maggioranza, più esattamente sull’assenza di una soglia minima che lo faccia scattare, limitandosi tuttavia ad una esortazione al parlamento affinché rimuova una simile mostruosità.

L’alternativa è invece quella di un intervento diretto sulla legge attualmente in vigore. Questa ipotesi, però, non solo equivarrebbe ad un’espropriazione del ruolo del parlamento, ma porrebbe problemi di non facile soluzione. Sia dal punto di vista giuridico, che da quello politico.

Comunque, da quel che si dice, questa possibilità non sembra affatto esclusa. E se davvero sarà questa la scelta, due sono le tesi che vanno per la maggiore: la prima prevede la semplice cancellazione del solo premio di maggioranza, dato che la Corte non può certo arrogarsi il diritto di indicare quella soglia percentuale assente nel Porcellum. La seconda prevede invece la cancellazione integrale della legge calderoliana e la sua sostituzione con quella precedentemente in vigore, ossia il Mattarellum.

In entrambi i casi la Corte Costituzionale finirebbe per assumere una funzione legislativa tutt’altro che imparziale. Evidenti sono infatti le ricadute di simili scelte. Nel primo caso (permanenza del Porcellum ma senza premio di maggioranza) sarebbero felici i sostenitori delle «larghe intese» sempre e comunque; nel secondo (ripristino del Mattarellum) lo sarebbero i maggioritaristi a prescindere, specie quelli del centrosinistra.

Sulle decisioni della Corte è difficile fare previsioni, anche perché è forte la spinta affinché il governo assuma una propria iniziativa prima del 3 dicembre. Addirittura c’è chi come Michele Ainis (Le amanti del porcellum – Corriere della Sera del 10 novembre) chiede all’esecutivo di sbrigarsi con un decreto legge in materia.

Una nuova forzatura istituzionale è dunque alle porte? Vedremo, ma quale sarebbe l’eventuale contenuto di un simile decreto? Perché, alla fine, anche un decreto diventa legge solo se ha una maggioranza. Su quale ipotesi potrebbe dunque determinarsi questa maggioranza?

Paradossalmente la risposta è venuta proprio dal noto legislatore di Bergamo, quel Roberto Calderoli che del Porcellum è stato il padre, ed ora vorrebbe esserne il becchino. Per sostituirlo con un redivivo Mattarellum – che diamine! – cioè proprio con quella legge che il leghista aveva affossato nel 2005 per le specifiche esigenze del Berluska. E poi si dice che i politici italiani non sappiano cambiare opinione!

Potrebbe essere davvero questo lo sbocco dell’attuale stallo parlamentare? Molti sono gli indizi. Sul Mattarellum potrebbe convergere senz’altro Pd, Scelta Civica, Sel e Lega, tentando perfino qualche frangia del M5S. Potrebbero arrivare alla fine anche i voti dei transfughi del Pdl? Questo è più difficile a dirsi, dato che forse neppure loro capiscono bene cosa vorranno fare da grandi, oltre che conservare gli attuali scranni il più a lungo possibile.

E, tuttavia, non è che le loro difficoltà di collocazione si modificheranno troppo in virtù di questo o quel sistema elettorale. Vista la loro pochezza cercheranno spazio in un nuovo aggregato “centrista”, dove alla fine finiranno per contare ben poco. La famosa Fine di Fini, insomma.

Ma perché il Mattarellum dovrebbe piacere di più al blocco dominante, ed al ceto politico attuale, rispetto ad altre soluzioni? Per diversi motivi.

Il primo è che si tratta di un sistema ultra-maggioritario e fortemente bipolare, e questo di fronte all’evidente fallimento delle “larghe intese” è un “pregio” certamente apprezzato in tanti palazzi (non solo politico-istituzionali) del potere.

Il secondo è che con i collegi uninominali il Mattarellum, esaltando ancor di più la personalizzazione della competizione elettorale, favorirebbe al massimo quel processo di lobbizzazione della politica che è poi uno degli effetti più concreti della destrutturazione dei partiti.

Il terzo è che con questa legge le segreterie manterrebbero, esattamente come oggi, il potere di “nomina” dei futuri parlamentari. Anzi, in questo modo esse prenderebbero due piccioni con una fava. Da un lato potrebbero dire di aver superato le liste bloccate; dall’altro spetterebbe sempre e comunque ai vertici nazionali la decisione su chi candidare in questo o quel collegio, collocando i protetti nei collegi ritenuti sicuri e i candidati da non eleggere in quelli sicuramente persi. Che è esattamente quel che hanno fatto dal 1994 al 2001.

Ma c’è una quarta ragione. Ed è che il Mattarellum si può tranquillamente peggiorare senza troppe difficoltà. Come? Ad esempio cancellando gli effetti dello “scorporo” sulla quota proporzionale, per rendere la legge ancor più maggioritaria. Ed innalzando la soglia del proporzionale dal 4 al 5%, per escludere più facilmente dal parlamento eventuali nuove formazioni politiche. Che poi queste modifiche peggiorative riescano a passare è da vedere. Ma se di Mattarellum si riparlerà seriamente si può star certi che ci proveranno.

Ovviamente non abbiamo la sfera di cristallo. E dunque non possiamo escludere che avanzino altre ipotesi. E neppure che la paralisi si riveli totale, lasciando (Corte Costituzionale permettendo) la legge così com’è. Ma una cosa va comunque detta: che l’eventuale passaggio dal Porcellum al Mattarellum equivarrebbe al famoso transito dalla padella alla brace.

Se il fondamentale vizio di costituzionalità della legge calderoliana è rappresentato dall’assenza di soglie per l’attribuzione del premio di maggioranza, c’è forse qualcuno che si chiede quale sia tale soglia nel meccanismo escogitato da Mattarella nel 1993? Essa è semplicemente inesistente, e nessuno ne ha mai reclamato la fissazione, dato che con il Mattarellum – a differenza del Porcellum – determinare una soglia è semplicemente impossibile, dato che il premio di maggioranza è in questo caso implicito e non esplicito come nella legge in vigore.

La resurrezione del Mattarellum aggiungerebbe dunque la beffa al danno. Vediamo il perché. Quel che non viene considerato, ma che i vertici dei partiti ben sanno, è l’effetto che avrebbe la nuova legge in presenza di un sistema che, di fatto, non è più bipolare.

Finché il bipolarismo è stato una realtà, gli effetti distorsivi in senso maggioritario del Mattarellum furono (1994, 1996, 2001) relativi. Maggioranze un po’ sotto il 50% di voti andarono sopra questa soglia in termini di seggi, trasformandosi così da relative ad assolute. Tuttavia, in virtù di una strutturazione effettivamente bipolare, il premio di maggioranza implicito – pur essendo per noi inaccettabile – non era enorme.  Ma un’analoga osservazione la possiamo fare per il Porcellum. Nel 2006 e nel 2008 chi ha vinto (aggiudicandosi così la maggioranza assoluta alla Camera, mentre al Senato – come ben noto – c’è la famosa attribuzione su base regionale) ha sfiorato il 50% dei consensi. Dunque, anche in questo caso, premio di maggioranza per noi inaccettabile, ma non enorme.

La situazione è cambiata con le elezioni del febbraio scorso. Ed il cambiamento è stato determinato dalla nuova ripartizione dei voti, non più bipolare, ma almeno tripolare. E’ avvenuto così che il premio di maggioranza del 54% dei seggi è toccato ad uno schieramento (quello del centrosinistra) che aveva ottenuto poco più del 29% dei voti. Il premio di maggioranza è stato in questo caso davvero esorbitante, pari ad un quarto dei componenti della Camera, determinando così una maggiorazione artificiale di oltre 150 seggi.

Cosa succederebbe, restando l’attuale ripartizione come minimo tripolare, con l’eventuale (ri)passaggio al Mattarellum? Con esattezza nessuno può dirlo. Basti pensare che con quel meccanismo non è neppure escluso che ottenga la maggioranza dei seggi chi non ha ottenuto quella dei voti. Ma, a parte questi aspetti più degni di una lotteria che di una competizione elettorale, resta il fatto che con questa legge l’effetto distorsivo – ovviamente in senso maggioritario – è potenzialmente equivalente se non addirittura più forte di quello determinato dal Porcellum. L’unica differenza è che, diversamente dalla legge attuale, questo effetto non è certo, dato che la ripartizione dei seggi è affidata (al 75%) all’esito del voto collegio per collegio, dove chi vince, vince anche per un solo voto; mentre chi perde, perde tutto, in barba al principio “una testa, un voto”.

Che per una ragione “costituzionale” si voglia passare da una mostruosità (il Porcellum) ad un’altra (il neo-Mattarellum) è una cosa che si commenta da sola. Si hanno a cuore i principi democratici e costituzionali? Bene, c’è una sola cosa da fare: tornare ad una legge integralmente proporzionale, senza soglie di sbarramento, né altri trucchi volti ad alterare il principio della rappresentanza.

Ma è proprio questo che non vogliono né gli oligarchi nostrani, né quelli che dettano la linea al governo dai loro uffici di Bruxelles. Sono loro il cancro della democrazia che, in un modo o nell’altro, vogliono comunque manipolare.

Un cancro che, in un modo o nell’altro, dovremo un giorno asportare.