Nonostante l’ampia vittoria elettorale del 22 settembre, la Merkel dovrà governare assieme ai socialdemocratici. Dopo un negoziato durato settimane l’accordo per la terza edizione della “grande coalizione” è stato siglato il 27 novembre.
I tedeschi, si sa, sono puntigliosi: il protocollo d’intesa consiste in ben 177 pagine! Ora questo accordo sarà sottoposto ad un referendun tra i 470mila iscritti alla Spd. L’insediamento del nuovo governo — che sarà presieduto dalla Merkel e vedrà 6 ministri della Spd, sei della Cdu e tre della Csu, col falco Wolfang Schäuble al suo posto —, è rimandato al 14 dicembre.
I socialdemocratici, scottati dalla pesante sconfitta elettorale del 2009 (dopo appunto quattro anni di politiche austeritarie e di alleanza coi democristiani), hanno ottenuto tre concessioni principali a tutela dei lavoratori dipendenti: un salario minimo di 8,50 euro l’ora, la riduzione dell’età pensionabile a 63 anni con 45 anni di contributi, il tetto alla crescita degli affitti nelle grandi città. Contrariamente alle speranze degli euristi di sinistra nostrani, quest’accordo è una nuova pericolosa mina per il futuro dell’eurozona.
Lo spiega bene la Cerretelli su Il Sole 24 Ore del 28 novembre
La ritirata d’Europa
di Adriana Cerretelli
Sono anni che lo spirito europeo ha preso una brutta piega in Europa. Un quinquennio di crisi dell’euro poi, se non l’ha distrutto, ci è andato molto vicino. Quella pericolosa deriva ora però fa un salto di qualità ulteriore e spudorato: da stato d’animo diffuso si sostanzia in azioni, politiche e leggi nazionali. Tutte anti-europee e anti-mercato unico.
La disgregazione esce dalle parole per entrare nei fatti concreti. Paradossalmente, tra l’altro, mentre anche la retorica ufficiale tedesca celebra l’uscita della moneta comune dalla “terra incognita” per approdare su lidi più sicuri. L’involuzione colpisce in Germania come in Gran Bretagna ma il contagio lambisce anche Austria, Olanda e Paesi scandinavi, il pianeta dei ricchi dove nazionalismi ed estremismi sgomitano più che altrove.
Mentre si sgrana senza fare scalpore, c’è poco da stupirsi se l’Europa da tempo ha smesso di essere la calamita del continente. Al punto da ritrovarsi snobbata, sul fronte Nord, dalla piccola Islanda già impegnata nei negoziati di adesione e, su quello orientale, dalla minuscola Armenia nonché dalla grande Ucraina dopo ben sei anni di trattative per arrivare a un accordo di associazione e libero scambio.
Colpa dei ricatti di Vladimir Putin? Certo. Anche negli anni ’90 però la Russia aveva disperatamente remato contro un altro partenariato orientale della Ue e della Nato senza però riuscire a fermare l’allargamento a Est di entrambe. Altri tempi, altri leader, altra Europa (e altra America), altri investimenti politici e finanziari nell’avventura della riunificazione europea.
Se oggi l’Europa perde sempre più consensi, seduce sempre meno in casa i propri cittadini, figuriamoci fuori. Ma il sentimento non è ingiustificati. Gli schiaffi non sono per caso. La cronaca di queste ore accumula nuovi segnali di sgretolamento dell’edificio europeo, eroso nelle sue fondamenta da egoismi nazionali e logiche di arroccamento.
Che dire infatti della patto costitutivo della grande coalizione in Germania che finalmente sblocca oltre sei mesi di paralisi della vita europea ma al tempo stesso annuncia l’imposizione di un pedaggio sulle autostrade tedesche applicabile ai soli stranieri che le percorrono? Misura discriminatoria, quasi certamente alla fine verrà bocciata da Bruxelles ma il fatto stesso che sia stata concepita e blindata nel patto di coalizione in barba al mercato unico e ai suoi principi di libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi, la dice lunga sul modo in cui oggi a Berlino si guardano e gestiscono macchina e responsabilità europee.
I nuovi mini-standard ecologici per l’auto Ue, le resistenze all’uso dell’anti-dumping contro i cinesi, quelle per impedire la tutela del “made in”, il bilancio pluriennale Ue ridotto in termini reali sono alcune delle altre facce degli egoismi industriali e/o dello strisciante disimpegno tedesco in Europa. Del resto chi si illudeva che il ritorno dei socialdemocratici al governo avrebbe ammorbidito le politiche di rigore di Angela Merkel si ritrova smentito su tutta la linea: niente allentamenti, né mutualizzazione dei debiti né solidarietà finanziaria Ue nell’unione bancaria se non come ultimissima spiaggia. Silenzio sulla crescita europea (che non c’è). Invece contratti Ue vincolanti sulle riforme degli altri.
Forse la ritirata inglese è meno scandalosa perché in fondo da anni ampiamente mitridatizzata dal tessuto europeo. Però fa ancora un certo effetto sentire David Cameron annunciare futura libertà di movimento “ponderata” per gli immigrati Ue – non extra-comunitari – a poche settimane dalla fine delle restrizioni in vigore per rumeni e bulgari. Dal 2014 flussi e test di eligibilità più regolamentati per gli aiuti pubblici a alloggi e disoccupati. Per i nuovi arrivati niente sussidi di disoccupazione per tre mesi. Superato il test, sussidi solo per sei mesi, a meno che non dimostrino di avere serie prospettive di lavoro. Espulsione per senza tetto e mendicanti con divieto di reingresso per un anno. Idee analoghe, secondo il premier inglese, sono in gestazione in Germania, Olanda e Austria.
Europa, se ancora ci sei, batti un colpo, verrebbe da dire. Già, ma quale Europa? E poi a chi rivolgere l’appello?
da sollevAzione