Possiamo già tirare un primo bilancio di questa giornata di lotta, partita in sordina, autorganizzata, prima silenziata e poi sputtanata e additata al pubblico ludibrio come “mafiosa”, “golpista”, ed infine “fascista” (la Repubblica in prima fila). Nelle cento e passa mobilitazioni sono scesi in strada non meno di 20-30mila cittadini. Un fatto enorme se si considera che queste non avevano alle spalle apparati di alcun tipo, che sono state autorganizzate in poche settimane e con l’aperto boicottaggio dei mezzi di comunicazione. (nella foto la manifestazione di Torino)

Mafiosi, golpisti e fascisti non si sono visti. Ecco quindi che i trombettieri di regime tacciono, limitandosi a scarni dispacci, ovviamente stile cronaca nera. Il loro lavoro sporco l’avevano già fatto. Sono pagati per questo.

Che dire di certa sinistra che per giorni, in perfetta sintonia con i media di regime, ha vomitato merda pur di far fallire la giornata di lotta che si è appena conclusa? Quelli di sinistra con un minimo di onestà intellettuale stanno zitti. Forse gli frulla per la testa il dubbio che è stato demenziale condannarla a priori, prendendo a preteso il tentativo disperato di Forza Nuova di parassitare la mobilitazione. Un giorno non lontano capiranno l’errore, quello di aver rischiato di servire ai demagoghi fascisti, su un piatto d’argento, la possibilità di mettersi alla testa della protesta.

Milano, 9 dicembre 2013

Questo non è avvenuto. Ed è, in sede di bilancio, il primo dato che emerge e che occorre gridare forte in faccia ai sinistrati che, pur di confermare il loro demenziale rifiuto a gettarsi nella mischia, stanno facendo le pulci alla protesta e, dopo accurata e sbirresca indagine, hanno scoperto che qua e là (un presidio a Roma in particolare) c’erano in piazza esponenti fascisti. E perché non c’eravate a sbarrargli la strada? Che razza di antifascismo è il vostro se, invece di contrastare le pulsioni reazionarie, ve ne state a casa a scrutarvi il naso impotenti?

E questo è il secondo elemento di bilancio.
Dalla separazione consensuale tra la sinistra organizzata e la sua base sociale si registra il definitivo divorzio tra quella e la protesta popolare che monta. Una sinistra che non sa più ragionare, che non sa più leggere la realtà sociale, che parla di crisi sistemica ma si rifiuta, prigioniera di consunti miti operaisti, di organizzare e dare voce ai milioni di cittadini che dalle diverse classi sociali sono stati precipitati nella miseria e nella disperazione. Questa sinistra ha deciso per la propria eutanasia, di suicidarsi pur di non farsi “contaminare” da una ribellione che sfugge ai suoi schemi. Lenin si rivolta nella tomba.

Terzo elemento di bilancio. I giovani sono stati la prima linea della giornata in molti dei cento e passa presidi e cortei. Non i figli di papà che spesso animano le liturgiche sfilate di sinistra, piuttosto disoccupati, precari, esclusi. I figli di un ceto medio che la crisi sistemica ha proletarizzato. Giovani destinati a mendicare per ottenere un reddito per tirare a campare, ma giovani che hanno deciso di opporsi a questo destino di morte. Giovani che si sono svegliati dal letargo, che han capito che con un potere golpista non ci può più essere alcuna mediazione, che han compreso l’inganno della narrazione europeista. Figuratevi se noi potevamo voltare le spalle a questa nuova generazione!

Quarto elemento di bilancio. I giovani sono stati la prima linea, ma la forza motrice della mobilitazione sono stati i settori della piccola imprenditoria e degli artigiani che l’austerità ha colpito crudelmente. Si poteva in effetti temere che in questo tipo di umanità, cascami politici del berlusconismo e del leghismo avrebbero più facilmente abboccato ai discorsi demagogici, reazionari e xenofobi. Inutile negare che queste pulsioni esistono. Ma non sono state queste ultime a dare il segno della protesta, che anche con nostra sorpresa si è svolta all’insegna (come del resto era nei proclami dei promotori) della democrazia e della Costituzione, calpestati da un regime di zombi che oramai obbedisce al più predatorio dei capitalismi globali, quello finanziario e bancario.

Perugia, 9 dicembre 2013

Quinto elemento di bilancio. Lo si può esprimere in poche parole: è stata la prima protesta pubblica, di massa, che ha rivendicato apertamente l’uscita dall’euro e la riconquista della sovranità monetaria. Fino ad ora questa rivendicazione era avanzata solo da alcuni cenacoli internettari, discussa in convegni per addetti ai lavori. La richiesta fuori dall’euro ma anche quella della cancellazione del debito, quelle del rifiuto del pareggio di bilancio e del Fiscal compact,  sono finalmente uscite dalle catacombe, stanno iniziando a circolare in mezzo ai cittadini, che le stanno facendo proprie. Un passo avanti di grande importanza, la cui portata si capirà nel prossimo futuro.

Per concludere. Non ci aspettavamo più di quanto è avvenuto. Non ci illudevamo che sarebbe scattata la “rivoluzione”. E’ ancora troppo presto. Nessuna “rivoluzione” potrà esserci fino a quando il lavoro dipendente non dissotterrerà l’ascia di guerra. Il momento non è ancora venuto. Verrà. Verrà quando oltre il tunnel ci sarà solo il baratro, quando in osservanza del Fiscal compact si dovranno tagliare gli stipendi di milioni di lavoratori pubblici, e poi di nuovo le pensioni. La sollevazione è inevitabile. Oggi c’è stato solo un primo, timido sussulto. Diamogli continuità.

da sollevAzione