Brevi note sul congresso del Prc
A seguire l’intervento di Ugo Boghetta, presentatore degli emendamenti sull’euro

Il congresso di Rifondazione Comunista si è chiuso pochi giorni fa, e niente meglio della «settimana dei Forconi» che ne è seguita poteva mostrare il gap tra il dibattito che lì si è svolto e le concrete dinamiche sociali in atto nel paese.

E’ vero che, se non altro, il Prc non si è associato alla «scomunica» di certa sinistra istericamente identitaria pur in assenza di vera identità. E’ vero anche, però, che la scelta di starsene alla finestra, l’assenza di una qualsiasi iniziativa verso il popolo che è sceso in strada, non ha certo favorito un’evoluzione positiva del movimento.   

Ma torniamo al congresso. Per certi aspetti un congresso di sopravvivenza. Ed anche, come sempre avviene, di conta interna. Un congresso che ha visto, dunque, un partito avvitato su se stesso. Presente nei movimenti sociali, ma incapace di elaborare una proposta all’altezza dei tempi, della gravità della situazione sociale e politica. Era questa l’aria che si respirava a Perugia, dove i rimpianti sul passato prevalevano sulla riflessione sulle potenzialità del futuro.

Avremmo potuto comprendere un simile atteggiamento psicologico in tempi ordinari, non nella straordinaria fase che stiamo attraversando. Ma tant’è. I prossimi mesi saranno però decisivi. Vedremo se la rottura con il centrosinistra, non con il solo Pd, orienterà davvero il partito a tutti i livelli. Vedremo a gennaio quale sarà il nuovo gruppo dirigente. Vedremo quale sarà il profilo con il quale verranno affrontate le elezioni europee.

Una questione, quest’ultima, davvero dirimente, perché chiama in causa il nodo dell’appartenenza all’UE e la permanenza nell’euro. La posizione espressa da Ferrero è quella della cosiddetta «disobbedienza ai trattati». Una linea più che astratta, monca. Unione, trattati e moneta sono un tutt’uno. Dunque, dato che anche Ferrero riconosce che l’UE non è riformabile, disobbedire ai trattati vuol dire uscire dalla gabbia europea, di cui la moneta unica è il simbolo e l’arma decisiva per lo sterminio di ogni diritto sociale.

Perché, allora, non trarne le dovute conseguenze? Molti i motivi, tra i quali certo pesano gli equilibri interni al partito, ma anche quelli nella Sinistra Europea. Vi sono poi motivi più profondi, che attengono ad una certa visione «progressista» del globalismo, una malintesa concezione di un internazionalismo senza nazioni, una diffusa pigrizia intellettuale nel corpo del partito.

Sta di fatto che i due interventi che hanno posto lucidamente la questione dell’euro – quelli di Dino Greco ed Ugo Boghetta – non hanno avuto il seguito che meritavano nel dibattito congressuale. E’ vero, però, che il documento conclusivo lascia aperta (vedremo quanto) la discussione. Questa la formulazione sul punto: «Il PRC è inoltre chiamato ad approfondire il dibattito sulla possibile implosione dell’area euro e della moneta unica, come possibile conseguenza delle politiche di austerità, e sulle possibili proposte alternative e eventuali strategie di uscita, in difesa dei lavoratori e della sovranità popolare e democratica».

E’ poco, è tanto? Rispetto alle urgenze della politica è decisamente poco. Ma i fatti hanno la testa maledettamente dura, e notiamo con piacere che nelle recentissime «Note sul movimento dei Forconi» – per altri versi ricchissime di imprecisioni sulla realtà di questo movimento –  Paolo Ferrero esplicita per la prima volta il tema della sovranità nazionale.

Ecco cosa scrive: «Per costruire una Europa dei popoli occorre rompere questa Europa neoliberista ed autoritaria e rimettere al centro la democrazia e la sovranità popolare, a partire dai livelli nazionali in cui questa sovranità può essere esercitata. Il tema della sovranità nazionale è quindi un tema che dobbiamo agire, a partire da una impostazione di classe e internazionalista che contrasta con l’impostazione nazionalista e razzista».

Che dire, meglio tardi che mai! Vedremo se a queste riflessioni seguirà il necessario aggiustamento di linea politica. Perché se Rifondazione Comunista vorrà avere un futuro è su questi nodi che se lo giocherà. Il che significa che la linea politica, che ancora di fatto non c’è, dovrà definirsi a breve nelle prossime settimane. Senza questa svolta il Prc resterebbe in mezzo al guado, con la certezza di venire così travolto da una corrente che si annuncia impetuosa.

Di seguito l’intervento congressuale di Ugo Boghetta, presentatore degli emendamenti sull’euro. Emendamenti che hanno ottenuto circa il 20% dei voti congressuali, ai quali vanno sommati i voti della mozione 3, arrivando così ad un dato complessivo superiore al 30%.

L’intervento di Ugo Boghetta

Avevamo detto di aver bisogno di uno straordinario congresso. E questo perché siamo ai minimi storici di influenza, credibilità, identità. Perché siamo al massimo di divaricazione fra l’opportunità della crisi e la possibilità di coglierla.

Hanno pesato su di noi le scissioni, gli errori che ne sono seguiti, la crisi del soggetto antagonista frammentato in mille rivoli, la crisi della sinistra e dunque non solo la nostra.

Il tempo lungo congressuale è stato giusto ma non è stato utilizzato a dovere. I documenti non hanno aiutato. Il risultato è che le analisi e proposte dei tre documenti sono le solite: mute per le grandi masse, e non mobilitano il partito.

Non possiamo fare più congressi così, dove non è chiaro quali sono gli oggetti veri della discussione. Volenti o nolenti L’unica proposta innovativa è la centralità dell’euro, l’uscita dall’euro.

Questa proposta è la coerente conseguenza del documento 1 che afferma che abbiamo sbagliato sulla moneta unica e che l’Europa può saltare. In effetti è l’euro ed il suo cane da guardia BCE a far saltare l’Europa. Una moneta unica per economie tanto diverse non è stata in effetti la scelta migliore come afferma un premio nobel per l’economia.

Le economie forti, la Germania in primis, hanno una moneta sottovaluta. Per le deboli è il contrario. Rigida la moneta, inevitabile è la riduzione di salari, pensioni, occupazione. La recessione che ne segue avvita i bilanci su se stessi e prepara tagli continui al welfare. Nell’incertezza la Finanza imperversa.

La causa della crisi dell’Europa sta anche nell’aver ritenuto gli Stati un limite. Ciò per favorire una sovrannazionalità tecnocratica, mentre le decisioni che contano sono comunque prese sempre più dalla sola Germania.

Per questi errori l’ideale europeista è stato travolto. L’Europa divide popoli e proletariati. L’euro funziona come gli Orazi e i Curiazi. Le destre vanno a nozze in nome di beceri e mai sopiti nazionalismi. Per questo pensare a movimenti sincronici di contestazione su tutto il continente è tanto idealistico quanto irrealistico.

Ma la politica va veloce. Le larghe intese fra Markel e SPD tolgono qualsiasi speranza per cambiare questa Europa, e l’utilità di disobbedire o rompere i trattati. L’Europa è irriformabile. Si è detto che non si può rimettere il dentifricio nel tubetto, ma la storia più volte, dall’impero di Alessandro Magno in poi, ha cambiato dentifricio e tubetto. Accadrà anche questa volta.

L’Europa va dunque ripensata. É il ritorno allo SME come dice Lafontaine, è un’Europa confederale, è lo spazio euro-mediterraneo? La discussione è aperta. Il tema è sempre più all’attenzione anche in Italia e nei nostri partiti fratelli: Linke, Portoghesi, la stessa Syryza. Il PCE.

Dobbiamo cambiare approccio. Rischiamo di essere comunisti senza Marx poiché non studiamo la struttura vera dell’Europa attuale, altro che critica dell’economia politica. L’analisi è istituzionale, le proposte politiciste. Rischiamo di essere comunisti senza Lenin perché non analizziamo la situazione concreta.

I comunisti del catechismo denunciano che l’uscita dall’euro non è l’attacco al cuore del capitalismo! È vero. Ma quasi sempre è accaduto che l’attacco venisse portato ad una contraddizione secondaria o all’anello debole. E lo scontro contro l’euro è oggi possibile proprio utilizzando le energie negative, le contraddizioni, le fratture che esso stesso produce.

Rischiamo di essere comunisti senza Gramsci poiché, incapaci di affrontare la questione nazionale, non elaboriamo analisi e proposte adeguate alla composizione di classe del nostro paese: per la costruzione di un blocco sociale e storico alternativo; per l’egemonia ideologica e culturale; per innestare il cambiamento dei rapporti sociali verso il Socialismo del XXI secolo; per dare alla Rifondazione un oggetto concreto: l’elaborazione di un socialismo dinamico, plurale, a democrazia partecipata.

Solo cambiando, e solo così, potremo tentare di affrontare i nodi storici del paese: uno Stato volutamente inefficiente, il familismo amorale, la mafia, la cultura italberlusconiana, l’ipocrisia del centro-sinistra, soprattutto la marginalità dei lavoratori, senza il protagonismo dei quali non c’è uscita dalla crisi. Così stanno le cose.

Allora un partito comunista responsabile si attrezza per un exit strategy. Prepara a questo evento i lavoratori, le classi popolari, i sinceri democratici che difendono la Costituzione. Solo dentro a questa rottura storica le nostre proposte potranno entrare in connessione con i conflitti sempre più duri che stanno nascendo e nasceranno. E la presenza nei conflitti, il radicamento, il partito sociale stanno in una prospettiva generale.

È in questa rottura che acquistano senso reale la difesa dei salari e delle pensioni, un nuovo e diverso intervento pubblico per un altro modello economico e sociale, la nazionalizzazione del credito, la difesa dei beni comuni, la democrazia partecipata. È una proposta politica, non solo una soluzione economica. Questo si fatica a capire. La sovranità popolare non può che essere riconquista del potere sulla moneta e sulle scelte economiche e politiche. Ma è anche la conquista di  uno spazio più alla portata dei conflitti.

L’uscita dall’euro è la fine degli alibi, fa tornare la politica e lo scontro chiaro fra opzioni ed interessi diversi. In questo modo si smascherano i poteri forti e la lumpenboghesia italiota che si nascondono dietro alla naturalità dell’euro. Solo così potremo cercare di contrastare il populismo di turno: Grillo ieri, Renzi oggi. Solo in questo modo la proposta di costruire un fronte popolare classista e democratico ed un soggetto politico plurale trova un bandolo, un filo rosso, un catalizzatore.

Il nostro posizionamento politico alternativo al centro-PD esce largamente vincente da questo congresso. Assurdo questo patetico continuare a rincorrere SEL, o il Civati di turno. Ma, come si vede, “via maestra” sembra essersi persa: del resto era solo un movimento d’opinione. Ross@ è ancora un’ipotesi. L’unità del 12 e del 18 e 19 ha tempi lunghi.

Il giorno dopo il congresso, dunque, rischiamo di non avere alcuna linea politica: debole la disobbedienza, debole per ora la prospettiva di creare un fronte ed un soggetto della sinistra. Dobbiamo allora conquistare centralità politica. Solo i ciechi non vedono lo scarto fra le proposte contenute nei documenti e le dimensioni della crisi del capitale, dell’Europa, dell’Italia. In tanta confusione abbiamo bisogno di proposte forti, chiare, semplici. Questo è il punto. Diceva Mandela: “il nostro giocare in piccolo non serve al mondo”.

Inoltre, solo in una prospettiva certo difficile ma chiara, il rinnovamento di cui tanto abbiamo bisogno acquista un senso. Altrimenti è come farsi belli per la festa e restare a casa a rimirarsi allo specchio.

Si dice che si deve ancora approfondire. Certo c’è tanto da approfondire. Ciò però dovrebbe valere anche per quella disobbedienza o rotture dei trattati quasi mai citate nei congressi: tanto non fanno danno. C’è da approfondire ma l’essenziale è noto. A breve ci sono le europee. Penso che il nostro slogan debba essere grosso modo: l’Europa non cambia, fuori dall’euro per un’altra Italia un’altra Europa.

Non ci sono più alibi. Nemmeno per noi. Avanziamo dunque con determinazione questa proposta. Solo cosi possiamo tentare di parlare alla testa ed alla pancia dei lavoratori, delle classi popolari, dei democratici, ad un paese esausto e di mobilitare un partito altrettanto esausto.

Siamo arrivati fin qui, contro tutto e contro tutti, per passione, per amore, per orgoglio. Ora usciamo dalla resistenza, usciamo dalle trincee. Facciamo sì che l’orgoglio comunista ritorni ad essere la forza che cambia il mondo.