M5S e il 9 dicembre: né di lotta né di governo

Merita attenta riflessione ciò che ha fatto, o meglio ciò che non ha fatto il Movimento 5 stelle in relazione all’ondata di proteste iniziata il 9 dicembre. Non c’è dubbio che nei diversi comitati e presidi che hanno scosso il paese numerosi sono stati non solo gli elettori di M5S ma anche suoi attivisti. Tuttavia M5S li ha lasciati soli e non ha proferito, com’era lecito attendersi, una sola parola di sostegno, né tantomeno compiuto gesti fattivi di solidarietà. I circoli di M5S delle diverse città coinvolte non hanno spinto i loro iscritti a raggiungere i presidi e se ne sono restati alla finestra.

Grillo, il 10 dicembre, si è limitato a commentare favorevolmente il fatto che alcuni poliziotti si siano tolti i loro caschi in segno di solidarietà coi manifestanti. Davvero pochino per un partito che dice di voler “mandare tutti a casa”. Invece di inviare militanti e parlamentari in mezzo a chi stava lottando per cacciare il governo e per la sovranità popolare, hanno deciso di stare alla finestra. I pentastellati hanno senza dubbio commesso un errore madornale nel rifiutare di dare sponda e rappresentanza al movimento di protesta.

Come spiegare questo autogol? Di sicuro la principale causa politica è il religioso legalitarismo, il rispetto di M5S delle leggi e delle autorità costituite, quindi il vero e proprio timor panico della lotta diretta e dell’azione di massa. Al fondo la spiegazione sta nella natura stessa del movimento “grillino”, che non è né cucca né noce, né di governo né tantomeno un movimento di lotta. Forte sul web, su facebook, non è minimamente in grado di stare nel sociale. I suoi attivisti sono in gran parte virtuali, impregnati oltretutto da una inguaribile mentalità elettoralistica.

Noi non siamo sorpresi. L’aveva segnalato Moreno Pasquinelli su questo blog il 21 aprile scorso, dopo la clamorosa marcia indietro di Beppe Grillo davanti alla rielezione di Napolitano al Quirinale. Cosa accadde? Nel primo pomeriggio del 20 aprile Beppe Grillo, dopo aver gridato al golpe, lanciò quest’appello:
«Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. E’ necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese».

Immediatamente, sotto Montecitorio, si ammassarono migliaia e migliaia di cittadini. Molti altri stavano sopraggiungendo da tutt’Italia. E che fece Grillo?  Appena giunto a Roma ordinò il dietrofront, lasciando soli e di stucco i dimostranti. “Perché me lo ha chiesto la Digos, che temeva incidenti”, dichiarò.

Si trattò di una decisiva lezione. Si capì che M5S non sarebbe stato in grado di mettersi alla testa della latente sollevazione popolare.

Gli eventi dell’ultima settimana hanno confermato quella premonizione.

Cambiare da cima a fondo il Paese è cosa troppo seria per lasciarla in mano ai “grillini”.

da sollevAzione