Con l’elezione di segretario, segreteria e direzione si è chiuso il IX congresso.
È dunque necessario farne un bilancio razionale, averne una visione critica e d’insieme. Doveva essere uno straordinario congresso e per questo lo si è pensato anche lungo. Ma se la necessità del termine straordinario rimandava alla crisi, alla situazione italiana ed al PRC, nulla di straordinario è avvenuto.

Sul piano politico ha ribadito la nostra collocazione indipendente dal centrosinistra: posizione decisa fin dal congresso della Federazione della Sinistra (motivo per cui Pdci e Lavoro e solidarietà se ne sono andati).

Questa tuttavia non è una linea politica ma un semplice posizionamento. Una linea politica avrebbe bisogno di un progetto, una teoria, un’analisi, un programma (non un piattaforma). Questo è il motivo per cui siamo sempre in ritardo e sfasati sugli eventi. Per questo le nostre proposte sono mute. Non abbiamo le parole perché non abbiamo elaborato i concetti per pensarle. Vediamo il capitalismo e la crisi nei suoi aspetti quantitativi più che qualitativi. C’è un problema enorme di dottrina e teoria politica di cui purtroppo molti, tanti, troppi compagni non si rendono conto. Abbiamo il grande problema di rivisitare i criteri, i paradigmi che ormai applichiamo acriticamente motivo per cui siamo finiti in una terra di nessuno.

Nel suo intervento al CPN Ferrero, riguardo alla vicenda dei Forconi, ha affermato che non abbiamo capito; che non comprendiamo le dinamiche del paese. Giusto ma questo significa che, appunto, non abbiamo una linea; che il continuismo ci ha portato in un vicolo cieco.

Il salto di qualità di cui abbiamo bisogno, e che continuamente scriviamo nei documenti, non avviene poiché il salto da fare è in primo luogo teorico, qualitativo. Un partito comunista, della e per la Rifondazione, che non è in grado di: andare oltre i miti dell’europeismo monetario, di una concezione astratta del Proletariato Europeo (concezione parallela all’universalismo e europeismo borghese); elaborare un’analisi concreta della situazione concreta e mettere a tema la crisi quasi organica del paese Italia, si condanna ad esistere come mero simulacro.

Ciò produce corto-circuiti. Abbiamo difeso e difendiamo tutte le lotte di liberazione nazionali, Resistenza compresa, ma siamo incapaci di distinguere fra nazionalismo e questione nazionale. Pensiamo che la Costituzione e l’obiettivo della sovranità popolare siano possibili fuori dalla questione nazionale. Così, mentre crediamo di avere un’idea dell’Europa, manca l’idea di una transizione democratica, un’idea dell’Italia. È il rovesciamento dell’apologo della volpe e l’uva. Scegliamo gli obiettivi fuori portata così possiamo continuare a guardarli senza doverli afferrare concretamente.

Siamo comunisti senza una proposta di transizione al socialismo pur essendo dentro l’enormità di questa crisi. Manca del tutto l’idea di un socialismo nuovo e diverso, concretamente innestato nella crisi e nelle vicende attuali.

A fronte di questi enormi e fondamentali problemi il congresso invece si è prodotto e protratto solo sulle questioni interne nella più tipica e mefitica tradizione del Prc. La segreteria non si è dimessa (compresi quelli di EC – Essere Comunisti, ndr) dopo la vicenda di Rivoluzione Civile. Si è rotta quella modalità, anch’essa mefitica, di una gestione pattizia che ha regolato in questi anni tutto. Per essere comunisti l’obiettivo era averne un’altra sempre in direzione moderata. Tutto ciò ha personalizzato lo scontro e fatto della questione del segretario una tema simbolico.

L’errore di Ferrero, e di altri compagni, è stato quello di essere subalterni a questa impostazione invece di capire che il problema era ben altro: la nostra storia era arrivata ad un capolinea e andava ripensata. Rifondata. La questione del rinnovamento riguardava anche la gestione ed il modello di partito. Un emendamento interno alla stessa area di maggioranza non può che rappresentare una critica al maggior responsabile: il segretario. È per liberare questa discussione che la segreteria doveva dimettersi ed era necessario il congresso lungo.

In questa scelta c’è tutta la debolezza di gran parte della maggioranza. Un’area “brontolosa” che brontola prima e diventa silenziosa al momento delle scelte. Avvalla l’idea che abbiamo solo un compagno che può rappresentare e reggere la barra della linea politica. Avvalla l’idea insana che tutto dipenda dal leader. Se avessimo fatto il congresso sul rinnovamento del partito e approfondito i motivi della nostra crisi, di come risalire la china della credibilità e dell’efficacia, la posizione di essere comunisti non sarebbe esistita. Avremmo discusso di radicamento, sindacato, di progetto. Non a caso, ad esempio, la serata dedicata allo Statuto (e quindi al rinnovamento) è avvilente. Per queste ragioni non ho votato il segretario.

Gli elementi negativi sono continuati fin dopo la fine del congresso. Inaccettabile è stato il comportamento della componente di Grassi (e falce e martello) per aver mandato una lettera come risposta alla consultazione. Avevamo deciso che la consultazione fosse individuale. È questo un comportamento lesivo del partito. È mancanza di senso del partito. È il correntismo giunto all’ostruzionismo. Essere Comunisti si è così collocata fuori dal doc 1, cui, per altro, aveva aderito in modo trasformista.

Ben diversamente si sono comportati i compagni del doc 3 dimostrando senso ed attaccamento al partito; pure consentendo il varo degli organismi dirigenti. Ed è del tutto evidente che per la prospettiva gli interlocutori si scelgono in base anche al comportamento.

In questo clima la vittima è stata la discussione politica, l’approfondimento. In questo clima è stato difficile ma produttivo avanzare l’unica proposta di cambiamento e di impostazione: euro-europa, questione nazionale, analisi della composizione di classe e sue dinamiche, blocco sociale, transizione democratica e socialismo.

Queste problematiche si stanno già proiettando sul tema delle elezioni europee e delle relative liste. Se per un verso è positivo l’interesse per Tsipras è però pericolosa la vicinanza di impostazione al PD ed alle cosiddette elite antipartito ed antipolitiche. Ciò che accomuna è la Natura dell’Europa: l’€uropa come stato europeo. È l’incomprensione di un euro camicia di forza per realtà diverse.

Certo Tsipras ha un grande valore simbolico e dobbiamo utilizzarlo fino in fondo, ma non possiamo certo fermarci a questo. Per un verso dovremo evitare una politica “moderata” sull’Europa inserendo il tema dell’euro accanto a quello della lotta all’austerità. L’Italia non è la Grecia.

Dall’altra è sì necessario allargare il fronte al massimo ma evitando la presenza di posizioni antipartito, e anticomuniste. O c’è riconoscimento reciproco o non c’è alleanza possibile. Ciò anche al fine di evitare che se andrà bene sarà merito di altri, se andrà male sarà al solito colpa nostra. Va anche ricordato che il documento n. 1 propone la consultazione degli iscritti sulla presentazione alle elezioni.

I lati positivi del congresso. 1) Una certa tenuta del partito nonostante il momento drammatico. 2) Il risultato complessivo delle posizioni noeuro-Europa che in pochi mesi sono giunte attorno al 30%, con una presenza in segreteria nazionale di compagne e compagni orientati variamente in questo modo.

Siamo dentro un’evidente fase di transizione. Sulla politica, la Rifondazione, dunque, il congresso è appena cominciato.

da sinistranoeuro