Ci sono stragi e stragi, morti e morti. Ci sono insomma due pesi e due misure. Non è una novità, ma non bisogna mai stancarsi di denunciarlo. La strage di migranti africani, ad opera della Guardia civil spagnola, avvenuta nell’enclave di Ceuta giovedì scorso, appartiene a quei massacri (13 morti, questo il bilancio) che l’Europa preferisce non vedere. Ben pochi i media che se ne sono occupati, ma riservandogli comunque ben poco spazio. Un’autentica vergogna. Su quanto accaduto a Ceuta pubblichiamo questo articolo di Sara Creta.


Fortezza Europa: morti e respingimenti a Ceuta e Melilla

di Sara Creta (Osservatorioiraq)

I giovani migranti aspettano nelle foreste adiacenti alle città autonome. Due roccaforti spagnole, pochi chilometri quadrati ben sorvegliati e protetti, in Africa settentrionale. Sono pronti a tutto, dal salto del triplo reticolato fino a sfidare le correnti dello stretto.

L’obiettivo è attraversare la frontiera ed essere ammessi nei Ceti, i centri di permanenza temporanei, dove insieme agli altri compagni d’avventura si attende il trasferimento nella penisola.
Negli ultimi anni, il numero di migranti sub-sahariani in transito in Marocco è aumentato notevolmente. Ceuta – insieme all’altra enclave spagnola di Melilla, entrambe situate nella costa mediterranea a nord del paese – è la sola porta d’ingresso terrestre per l’Europa.

Gli “attacchi” contro la tripla barriera alta 6 metri di Melilla sono intensi, a volte drammatici, e difficilmente garantiscono la riuscita. I tentativi di ingresso a Ceuta invece, meno numerosi, si concentrano sulla spiaggia di Tarajal. Dal lato del mare è più facile entrare, si arriva alla fine del reticolato e si attraversa a nuoto, oppure con l’aiuto di piccole imbarcazioni di fortuna.

Così è successo giovedì scorso, quando un gruppo di migranti, dopo aver provato a scavalcare la barriera, si è diretto verso il litorale gettandosi in acqua. Ma il tentativo di penetrare nella Fortezza Europa ha avuto un esito tragico. I corpi di nove persone sono stati trovati nella stessa giornata di giovedì, e altri quattro sono poi stati scoperti venerdì mattina. Morti invisibili, che dovrebbero attirare l’attenzione sulla gestione del fenomeno migratorio, che ormai da diversi anni interessa i territori del Nord Africa.

I muri della frontiera mediterranea d’Europa, invalicabili e assassini, sono tornati ad essere protagonisti. Si è trattato del primo tentativo massiccio del 2014 (almeno a Ceuta). Senza dubbio uno tra i più violenti degli ultimi anni.

Le circostanze hanno nuovamente messo in discussione l’efficacia delle politiche di contenimento, definite da più voci “criminali” e fortemente lesive del rispetto dei diritti umani. La dinamica che ha portato alla morte dei migranti sarà oggetto di investigazioni. Il difensore civico Soledad Becerril, infatti, ha chiesto di aprire un’inchiesta ufficiale per chiarire fatti e responsabilità.

“La Guardia civil spagnola ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeno mentre eravamo in acqua. Per questo alcuni di noi sono morti asfissiati”, raccontano alcuni dei sopravvissuti.

Alcune ong locali hanno ribadito l’uso di proiettili di gomma e del gas. Poi, è arrivata anche la conferma del delegato del governo di Ceuta, Francisco Antonio Gonzáles, che tuttavia ha tenuto a difendere il comportamento degli agenti, che avrebbero fatto ricorso agli equipaggiamenti antisommossa ad esclusivo scopo deterrente. “I proiettili di gomma sparati in aria servono per dissuadere i migranti ad attraversare, mentre le morti sono avvenute per affogamento”.

Due eventi distinti, dunque, per le autorità. Le organizzazioni spagnole aderenti alla rete Migreurop (CEAR, Sos Racismo, Andalucía Acoge, APDHA y Elin), intanto, hanno chiesto la creazione di una commissione parlamentare per indagare sulle pratiche abituali utilizzate nel controllo delle frontiere di Ceuta e Melilla.

Pratiche già oggetto di proteste e denunce nei mesi passati, seguite all’installazione di lamette in cima ai reticolati di confine che provocano ferite e gravi lacerazioni a chi – nella fretta di scavalcare – vi rimane intrappolato. Lamette o meno, la pressione migratoria che si vive in questa zona del Maghreb è costante. E la deterrenza non basta, almeno agli occhi delle autorità.

A Melilla, la scorsa settimana, la ong Prodein ha pubblicato alcuni filmati di denuncia per illustrare come la Guardia Civil stesse rimpatriando irregolarmente migranti arrivati nell’enclave. Utilizzando una porta nella recinzione, gli agenti hanno riconsegnato i sub-sahariani nelle mani dei vicini dall’altra parte del confine. Sotto pressione per il clamore suscitato dalle immagini, il ministro degli Interni Jorge Fernandez Diaz ha dovuto ammettere che “ci sono casi sporadici di respingimento”. Sullo sfondo restano le Politiche di vicinato e gli interessi comuni dei due paesi.

Nonostante si parli di un nuovo approccio marocchino al tema della regolarizzazione, la discussione sulle politiche migratorie nell’area del Mediterraneo non sembra voler abbandonare le strade già battute.

La lotta all’immigrazione continua anche in Marocco, grazie agli accordi di esternalizzazione, e di pari passo proseguono le violenze contro i sub-sahariani che tentano di scavalcare le recinzioni di confine. Brutalmente massacrati, arrivano negli ospedali delle città marocchine vicine al confine con i segni dei pestaggi e dei ferimenti causati dalle recinzioni. Per chi sopravvive ai terribili trattamenti di respingimento, c’è lo spettro della deportazione nella dura e inospitale area desertica tra l’Algeria e il Marocco.

Mentre il governo locale spagnolo cerca una mediazione sul tavolo delle accuse e le autorità marocchine si sforzano di parlare di “accoglienza”, sul monte Gurugu – accanto a Melilla – le comunità di migranti continuano a nascondersi. Non smettono di organizzarsi, di coltivare sogni e di aspettare il momento più adatto per un nuovo “salto”. Né le barriere né il riflesso della morte possono fermarli.

da Osservatorioiraq