Ormai da una settimana la Bosnia Erzegovina è in rivolta. Il malessere sociale è enorme, e i punti che hanno mosso la protesta sono il no alle privatizzazioni e la cacciata della classe politica che le ha volute (come non vedere le analogie con la situazione italiana?). Per comprendere meglio le motivazioni e le rivendicazioni di questa autentica rivolta popolare, potete leggere sotto il Proclama dei lavoratori e dei cittadini di Tuzla. Per la cronaca degli avvenimenti, oltre a questo documento, pubblichiamo – riprendendoli dal sito balcanicaucaso.org/ – due articoli di Andrea Rossini, il primo del 7 ed il secondo del 12 febbraio.


Bosnia Erzegovina, la parola ai Plenum

(12 febbraio 2014)

I dimostranti si stanno organizzando in Forum civici nei diversi centri coinvolti dalle proteste. Contromanifestazioni in Republika Srpska. A Sarajevo oggi arriva il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu.

Centinaia di persone hanno bloccato anche ieri le strade principali di Sarajevo, mentre dimostrazioni si svolgevano a Tuzla, Zenica, Mostar, Brcko, Orašje, Bugojno, Zavidovici, Livno, e in altri centri minori. A Srebrenica una cinquantina di persone si è radunata di fronte al Comune in solidarietà con le manifestazioni nel resto del paese, incontrandosi con il sindaco, Camil Durakovic.

I manifestanti si stanno organizzando in assemblee di cittadini e cittadine (Plenum) nelle diverse città che partecipano alle proteste. A Sarajevo, dove nella giornata di ieri anche i lavoratori dei trasporti (GRAS) si sono uniti ai dimostranti, il primo Plenum è stato convocato per oggi pomeriggio presso il Centro per la Decontaminazione Culturale. Il punto più avanzato delle proteste sembra restare Tuzla, per la chiarezza delle richieste rivolte alle istituzioni e la concretezza delle proposte.

I social network stanno svolgendo in queste ore un ruolo decisivo nel sostenere le mobilitazioni e far circolare l’informazione. Alcuni portali, come Bosnia-Herzegovina Protest Files, sono stati creati ex novo per pubblicare le richieste dei dimostranti, i comunicati di sostegno che giungono dal resto della regione, analisi e in generale per far conoscere quanto sta avvenendo in Bosnia anche fuori dal paese.

I leader di alcuni fra i principali partiti della Federazione, in particolare il partito socialdemocratico SDP e l’SDA di Bakir Izetbegovic, stanno cercando di rispondere alle richieste di dimissioni avanzate dai manifestanti (in particolare di quelle del premier dell’entità, Nermin Nikšic, che rifiuta di andarsene) proponendo elezioni anticipate. La proposta però non sembra fare breccia tra i dimostranti, consci che difficilmente una nuova tornata elettorale potrebbe cambiare significativamente la situazione del paese.

Dopo le iniziative di Belgrado e Zagabria, ieri è arrivato nella capitale il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, che oggi incontrerà i rappresentanti della presidenza (Komšic, Izetbegovic e Radmanovic), il suo omologo Zlatko Lagumdžija e il capo della comunità islamica in Bosnia Erzegovina, il reis ulema Husein Kavazovic. Davutoglu incontrerà anche l’Alto Rappresentante della comunità internazionale, Valentin Inzko.

La situazione in RS (Republika Srpska)

A Prijedor e Bijeljina, in Republika Srpska (RS) le manifestazioni sono state accompagnate da contro manifestazioni, di sostegno al governo. I contro-manifestanti di Bijeljina hanno inneggiato a Ratko Mladic, ex generale dell’esercito serbo bosniaco sotto processo all’Aja per genocidio e crimini di guerra, incitando gli altri ad “andarsene a vivere a Sarajevo”.

Il presidente della RS, Milorad Dodik, continua a sostenere che le proteste sono un fenomeno bosniaco musulmano il cui vero obiettivo è quello di destabilizzare la parte serba del paese. I principali media dell’entità, incluso Glas Sprske, hanno ampiamente appoggiato questa tesi alimentando un generale sentimento di insicurezza.

Srdan Puhalo, un attivista che ha partecipato alle manifestazioni in RS, intervistato dal portale informativo BIRN ha dichiarato che “[in Republika Srpska] è più facile essere povero e affamato, piuttosto che essere considerato un traditore”, dando voce al sentimento di paranoia etnica diffuso per cercare di limitare il diffondersi delle proteste.

In realtà la questione sociale, la svendita del patrimonio pubblico e la disoccupazione sono fenomeni altrettanto evidenti in RS che nella Federazione. Non tutti, infatti, sembrano condividere le parole di Dodik sulla natura delle manifestazioni. L’associazione dei veterani della RS, in particolare, ha rilasciato una dichiarazione nella quale si afferma che “il tono minaccioso del presidente della RS […] è diretto a preservare con ogni mezzo possibile uno Stato fondato sul crimine, la corruzione, il nepotismo e su di un disastroso sistema educativo”, e i veterani chiedono alle autorità di indagare “sulle privatizzazioni criminali e di portare alla sbarra i magnati che hanno creato imperi nel nostro paese al prezzo della sofferenza dei lavoratori, manipolando tutti noi.”

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Proclama dei lavoratori e dei cittadini del cantone di Tuzla

7 febbraio 2014. Oggi a Tuzla si crea un nuovo futuro! Il governo [cantonale] ha dato le dimissioni, col che è soddisfatta la prima richiesta dei dimostranti e si sono create le condizioni per risolvere i problemi esistenti. La rabbia e la collera accumulate sono la causa dei comportamenti violenti. L’atteggiamento delle autorità ha fatto sì che rabbia e frustrazione subissero un’escalation.

Ora, in questa nuova situazione, vogliamo che rabbia e collera si indirizzino verso la costruzione di un sistema di potere produttivo e utile. Ci appelliamo a tutti i cittadini perché appoggino la realizzazione delle seguenti richieste:

Mantenimento dell’ordine pubblico grazie alla collaborazione fra cittadini, polizia e protezione civile, così da evitare qualsiasi criminalizzazione, politicizzazione e qualsiasi manipolazione delle proteste.

Costituzione di un governo tecnico, composto da membri esperti, apartitici e non compromessi, che non abbiano finora ricoperto nessun mandato a qualsiasi livello di potere, che guidi il Cantone di Tuzla fino alle elezioni del 2014 [ottobre]. Questo governo avrà l’obbligo di sottomettere settimanalmente il suo piano di lavoro e una relazione sul lavoro svolto, e di realizzare gli scopi assegnati. Il lavoro del governo è seguito da tutti i cittadini interessati.

Soluzione, per via urgente, della questione della regolarità della privatizzazione delle ditte: „Dita“, „Polihem“, „Poliolhem“, „Gumara“ e „Konjuh“ così che:
Si coprano i contributi e si garantisca l’assicurazione sanitaria ai lavoratori
Si processino i crimini economici e tutti gli attori che vi hanno preso parte
Si requisisca tutta la proprietà acquisita illegalmente
Si annullino i contratti di privatizzazione
Si proceda alla revisione delle privatizzazioni
Si rendano le fabbriche ai lavoratori e si mettano sotto controllo degli organi pubblici al fine di preservare l’interesse pubblico, e si dia inizio alla produzione nelle fabbriche in cui ciò sia possibile.

Parificazione delle indennità dei rappresentanti delle autorità ai salari dei lavoratori del settore pubblico e privato.

Eliminazione dei benefici aggiuntivi per i rappresentanti delle autorità oltre allo stipendio, come i gettoni per la partecipazione a commissioni, consigli e altri organi, così come ogni altra indennità illogica e ingiustificata cui non abbiano diritto tutti i lavoratori.

Eliminazione delle indennità a ministri e ad altri eventuali funzionari all’espirare o all’interrompersi del loro mandato.

Questo Proclama è emanato dai lavoratori e cittadini del Cantone di Tuzla, per il bene di tutti noi.

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Bosnia Erzegovina: la rivolta

(7 febbraio 2014)

La protesta iniziata mercoledì dagli operai di Tuzla si è estesa a tutto il paese. A fuoco le sedi dei governi cantonali di Tuzla, Zenica e Sarajevo, dove è stata attaccata anche la Presidenza

Una protesta operaia iniziata con una manifestazione di alcune centinaia di persone mercoledì a Tuzla si è gradualmente estesa a tutti i principali centri del paese, trasformandosi nel maggiore movimento di protesta in Bosnia Erzegovina dalla fine della guerra. Migliaia di giovani e disoccupati hanno raccolto il segnale lanciato da Tuzla, un tempo importante polo produttivo e industriale, indirizzando la propria rabbia contro edifici e sedi istituzionali e contro le forze dell’ordine. Le dimostrazioni sembrano crescere di intensità con il passare delle ore, e sono forti in particolare nella Federazione di Bosnia Erzegovina, una delle due entità in cui il Paese è diviso dagli Accordi di Pace di Dayton del 1995. Anche in Republika Srpska tuttavia, l’entità a maggioranza serba, ci sono state manifestazioni di solidarietà con i dimostranti della Federazione.

Nella giornata di oggi i manifestanti sono riusciti ad avere il sopravvento sulle forze di polizia e hanno dato alle fiamme prima la sede del governo cantonale a Tuzla, un edificio di 16 piani, poi quello di Sarajevo, dopo violenti scontri a Skenderija nel corso dei quali la polizia ha sparato proiettili di gomma e granate assordanti. La televisione bosniaca ha riferito anche di negozi saccheggiati, sempre a Sarajevo, dove sono anche state date alle fiamme diverse automobili della polizia e mezzi privati. Nella capitale bosniaca le proteste sono particolarmente forti e, al momento in cui scriviamo, giunge la notizia che anche la sede della Presidenza del paese sta andando a fuoco. Manifestazioni e proteste si sono tenute o sono state annunciate anche a Mostar, Kakanj, Brcko, Sanski Most, Prijedor, Banja Luka, Gracanica, Bihac, Zavidovici e in altri centri.

Il premier del cantone di Tuzla ha dato oggi le dimissioni mentre il Primo ministro della Federazione, Nermin Nikšic?, ha dichiarato al termine di una riunione di emergenza che “i lavoratori lasciati senza i diritti fondamentali, come la pensione e l’assicurazione sanitaria, vanno distinti dagli hooligan che usano questa situazione per creare il caos.” La presenza all’interno delle manifestazioni di gruppi di ultras non è tuttavia sufficiente per spiegare le dimensioni e la rabbia di una protesta che sta coinvolgendo diversi segmenti della società, in forme ancora contraddittorie. A Tuzla, ad esempio, diversi dimostranti hanno aiutato i pompieri nel cercare di spegnere l’incendio della sede del governo cantonale, diversamente da quanto avvenuto a Zenica. Anche la sede del governo del cantone di Zenica-Doboj, infatti, è stata incendiata. Qui però, come ha riferito l’agenzia di stampa Anadolija, i mezzi dei vigili del fuoco sono stati bloccati dai manifestanti.

Gli operai di Tuzla, mercoledì scorso, protestavano contro la chiusura di cinque grandi fabbriche, dichiarate fallite dopo essere state privatizzate, e chiedevano l’intervento delle istituzioni. La loro vicenda, però, è subito divenuta la scintilla che ha convogliato il malessere generale di un paese dove il tasso di disoccupazione ufficiale sfiora il 30%, ma quello giovanile sale al 60%. Una dimostrante di Tuzla, citata dai media locali, aveva subito dichiarato che “la gente non ha più da mangiare, ha fame, i giovani non hanno lavoro, non c’è più assicurazione medica, ai cittadini non sono garantiti i diritti elementari. Non può andare peggio di così.”

Zdravko Grebo, docente all’Università di Sarajevo e noto attivista per i diritti umani, ha dichiarato che spera che queste manifestazioni siano l’inizio di una “primavera bosniaca”. La nozione di primavera bosniaca si sta in effetti diffondendo. Anche Danis Tanovic, il noto regista bosniaco premio Oscar per il film “No man’s land”, ha postato su Instagram un breve messaggio che dichiara l’arrivo della primavera. È ancora presto tuttavia per dire se questa esplosione di rabbia verrà ricondotta ai recinti etnici che hanno dominato la politica della Bosnia Erzegovina negli ultimi 20 anni, oppure se stiamo davvero assistendo ad un cambiamento. Altri movimenti che avevano fatto sperare in un’evoluzione del dibattito politico bosniaco, fermo alle categorie imposte dai nazionalisti nella guerra degli anni ’90, sono rapidamente scomparsi dalla scena pubblica. È stato questo il caso ad esempio della cosiddetta “bebolucija”, la protesta diretta l’anno scorso contro la classe politica per la sua incapacità di tutelare i diritti dei nuovi nati, o di altri movimenti affacciatisi alla scena negli anni precedenti, come quello nato a seguito dell’uccisione di Denis, uno studente, avvenuta a Sarajevo nel 2008, o di Vedran, tifoso dell’FK Sarajevo, avvenuta a Široki Brijeg. In quel caso, però, si trattava di movimenti per lo più urbani, con una forte connotazione sarajevese. Ora tutto il Paese sembra in rivolta, e la rabbia più forte.

da http://www.balcanicaucaso.org/