Ci siamo imbattuti quasi per caso in una severa critica alle posizioni e al programma di fase del Mpl e di sponda a quelle della sinistra sovranista. Si tratta di un intellettuale siciliano, tal Sebastiano Isaia. Egli ci disprezza, ma disprezza assieme a noi, come si evince dalla descrizione che s’è fatto su Wikipedia, [1] un bell’altro po’ di gente.

La critica di Isaia affonda le sue radici in quello che Lenin chiamò “estremismo”, parolaio prima ancora che dottrinario. Per Isaia ogni discorso sull’autodeterminazione nazionale è geneticamente reazionario;  ogni difesa della “democrazia” è reazionaria; ogni lotta per i diritti democratici è reazionaria.  

Qui ci preme sottolineare che un tale puritano internazionalismo rassomiglia come una goccia d’acqua a quello non meno fondamentalista delle classi dominanti globali. Pur muovendo da diverse sponde, medesimo è il cupio dissolvi del senso di appartenenza alle comunità nazionali così come son venute fuori dalla storia. Siamo alle prese con un vero e proprio isterico spirito anti-nazionale.
Oramai possiamo parlare di una vera e propria”sinistra anti-nazionale”. E’ meno buffo di quanto si pensi che tale sentimento accomuni estremisti ossificati alla sinistra sistemica (vedi Pd, Sel e frattaglie varie). Li unisce l’idea che dalla globalizzazione e dall’Unione europea non solo non si possa, ma non si debba “tornare indietro”.

Per collaudata esperienza sappiamo che sarebbe del tutto vano ingaggiare una lotta puramente dottrinaria con simili soggetti. Ci sarà sempre qualcuno che si considera più a sinistra di te. Approfittiamo invece dell’occasione per ricapitolare a grandi linee quella che per noi è “analisi concreta della situazione concreta”, poiché è da essa che ricaviamo, tenendo fermo l’orizzonte della fuoriuscita dal capitalismo, la nostra linea politica, tattica e strategica, quello che noi chiamiamo programma di fase — e quindi le ragioni che da anni ci hanno spinto ad abbracciare la causa sovranista.

Più in fondo vi alleghiamo l’intera filippica dell’Isaia, affinché ognuno possa farsi un’idea della posta in palio.

LA NOSTRA VISIONE DELLE COSE

(1) Dopo il lungo ciclo keynesiano, nell’arco dell’ultimo quarantennio, il sistema capitalistico dei paesi dominanti ha subito una profonda metamorfosi. La crisalide dell’imperialismo ha dischiuso l’insetto nella sua forma definitiva, che noi chiamiamo capitalismo-casinò o sistema di iper-finanziarizzazione.

(2) Non si è trattato solo di una mutamento di forma del sistema di dominio ma della sua stessa struttura economico-sociale e politico-isituzionale. Hanno preso il sopravvento, all’interno del sistema capitalistico, le frazioni della rendita, quelle che, attraverso il controllo di banche, fondi e consorterie varie, captano il plusvalore da ogni parte per tesaurizzarlo e reinvestirlo come capitale monetario. Un meccanismo di giugulazione finanziaria per cui il denaro è tenuto a creare più denaro a spese degli altri settori economici, senza passare direttamente per la via crucis del ciclo di produzione delle merci. Di qui il predominio di quelle entità e frazioni della classe dominante che posseggono il tesoro, ovvero la ricchezza sociale nella sua forma più astratta, cioè liquida.

(3) Questo sistema, per inesorabili passi successivi, ha dato vita ad una rete globale e integrata di dominio che ha finito per abbattere ogni ostacolo e scardinare quindi le difese degli stati-nazione, togliendo loro ogni autentica sovranità, facendone anzi organismi strumentali al predominio della nuova aristocrazia finanziaria globale. Questo processo di devoluzione di potere dagli stati-nazione ai centri nevralgici del capitalismo finanziario di ultima generazione è stato possibile grazie alla complicità dei settori di punta delle classi dominanti interne ai vari paesi, che hanno anzi assolto, mutatis mutandis, il ruolo che le potenze coloniali d’un tempo attribuivano alle borghesie compradore dei paesi che andavano a depredare. In questo contesto, approfittando del crollo dell’Urss, l’impero americano ha così potuto dispiegare tutta la sua trattenuta potenza.

(4) Il pesce comincia a puzzare dalla testa. Il sistema, conservati i suoi centri nevralgici in Occidente, ha spostato gran parte dei luoghi di produzione di plusvalore nei paesi a più alto tasso di valorizzazione (capacità di sfruttamento del lavoro salariato) del capitale industriale, ha riplasmato la composizione sociale. Settori di lavoro improduttivo sono cresciuti a spese di quelli produttivi. Il parassitismo ha ammorbato trasversalmente le società, di qui la cetomedizzazione sociale (in altri tempi si sarebbe descritto il fenomeno come “imborghesimento”), la società liquida, il tramonto del tradizionale antagonismo di classe, quindi il tracollo del vecchio movimento operaio e la vittoria ideologica del neoliberismo. Il precipitato di questa metamorfosi è stata la crescita lenta ma abnorme di una proteiforne massa sociale plebea, diventata la base sociale dei regimi neoliberisti.

(5) Dopo due decenni di euforia, interrotti da alcuni infarti, il sistema di capitalismo-casinò, è collassato su sé steso nel 2008. L’intervento massiccio di Stati e banche centrali ha evitato il vero e proprio crollo sistemico. Per i paesi dell’Unione europea che venivano da un lungo ciclo di disinvestimenti e che avevano di converso accumulato forti debiti privati e pubblici, quel collasso ha avuto conseguenze devastanti. Questi scoprirono che la moneta unica era diventata un micidiale cappio al collo. Già privi di ogni sovranità monetaria, impossibilitati a seguire autonome politiche economiche e di bilancio anticicliche, questi paesi hanno dovuto cedere gli ultimi brandelli di sovranità politica ai centri oligarchici europei. Questi ultimi, decisi a contrastare la tendenza all’implosione dell’eurozona, hanno imposto ai paesi violente terapie austeritarie che hanno finito per spingerli nella più grave depressione della loro storia.

(6) L’Italia viene a trovarsi in questa drammatica situazione, con l’aggravante che attraverso il ricatto del debito “pubblico” è come se essa dovesse pagare colossali riparazioni di guerra, così che, per assicurarsi il rimborso dei crediti, il Paese è stato sottoposto (dominanti italiani consenzienti) ad un regime di protettorato di tipo sub-imperialista. La frazione globalista ed eurista della classe dominante, quella che controlla il sistema bancario e industriale, quello politico, istituzionale e mediatico, non vuole, e forse nemmeno può, fare marcia indietro, sposa consapevolmente la visione del “vincolo esterno” dell’aristocrazia finanziaria globale, per cui vanno evitati, anche a costo di gettare alla fame la popolazione, lo sfaldamento dell’Unione europea e la fine dell’euro.

(7) Il combinato disposto degli effetti della depressione e della protervia dei dominanti nel difendere un sistema destinato invece all’implosione, ha iniziato a spezzare il blocco tra patrizi e plebei e determinato una situazione sociale esplosiva, che in altri tempi si sarebbe definita “pre-rivoluzionaria”: “gran parte delle masse popolari non possono più vivere come prima, mentre i dominanti non riescono più a governare come prima” (Lenin). Si fa strada tra il popolo la consapevolezza che senza una radicale inversione di marcia non sarà possibile evitare il baratro.

(8) La tendenza allo scoppio dei conflitti sociali su larga scala, alla sollevazione popolare, è frenata e inibita, più che dal timore della reazione dei dominanti (deboli come non mai), da tre principali fattori: (a) dalla disabitudine all’azione sociale; (b) dall’assenza di organismi di lotta adeguati; (c) infine dall’assenza di una alternativa antisistemica condivisa.

Di questi tre fattori frenanti il principale è che le masse non vedono quale modello sociale possa rimpiazzare quello moribondo attuale, quindi non vedono una direzione politica che abbia la forza e la determinazione a salire al potere scalzando i parassiti attuali. La spinta socialmente traversale ad una svolta decisiva — che è cosa ben diversa dal mero difendere o rivendicare questo o quel diritto leso — si è materializzata nella folgorante avanzata elettorale del Movimento Cinque Stelle. Tuttavia la potenza di questa spinta è pari alla sua indeterminatezza politica. M5S cristallizza questa confusa volontà di cambiamento. La spinta che sorregge M5S non si è affatto esaurita e potrebbe anzi consolidarsi, fino a spingerlo, se non schianta prima, alle soglie del governo del Paese.

(9) Tutto è possibile a questo punto, nel nostro Paese tranne, se guardiamo in faccia alla realtà, una rivoluzione socialista. Troppi sono i fattori mancanti affinché questa si faccia strada qui e ora. Il Movimento 9 dicembre mostra che la fase segnata dall’apatia delle masse sta finendo, che gli strati sociali più falcidiati dalla crisi sistemica e non tutelati (anzitutto i settori non-garantiti e vittime dell’esclusione sociale della piccola e media borghesia e del proletariato) tendono a mettersi in moto. Sono i primi vagiti della sollevazione generale. Da questi vagiti si possono già ricavare alcune prime indicazioni:

(a) la sollevazione generale sarà il punto d’arrivo di fiammate successive; (b) essa sprigionerà energie potenti e darà vita —siccome sarà espressione della mucillaggine sociale frutto della putrefazione del modello sociale neoliberista— ad un blocco sociale eterogeneo che combinerà e intreccerà gli interessi e le aspirazioni sociali di “chi sta in basso”; (c) pulsioni reazionarie e populiste coabiteranno in un primo momento con aspirazioni autenticamente democratiche e rivoluzionarie; (d) se sarà la comune disgrazia a sorreggere la coabitazione di tanto diversi interessi sociali, il collante politico imprescindibile sarà quello della riconquista della sovranità nazionale, politica e monetaria, quindi l’uscita dall’eurozona; (e) “Quale sovranità? e per che cosa?” Il segno del “sovranismo” è biunivoco, può alimentare un’uscita di destra (con le sue varianti) o di sinistra.
Nel fuoco della lotta si deciderà quali di queste due tendenze avrà l’egemonia; (f) compito dei socialisti rivoluzionari è quello di prendere parte alla sollevazione, anzi di occuparne la prima linea per trasformarla in una rivoluzione democratica, battendo così le tendenze che spingeranno in opposta direzione. Se essi ci riusciranno sarà possibile trascinare nella battaglia i settori di proletariato oggi dormienti, e senza i quali nessuna sollevazione rivoluzionaria potrà avere successo.

La società è destinata comunque ad entrare in uno Stato d’eccezione, dal quale emergerà un governo d’emergenza che sarà obbligato ad adottare provvedimenti radicali che avranno conseguenze durature non solo sulla vita del popolo ma sull’intero assetto sistemico.

La sinistra sovranista vuole diventare il lievito di un blocco sociale antioligarchico ampio che riesca a strappare il potere dalle mani di chi oggi lo detiene, in vista di un governo popolare d’emergenza che sia capace di attuare quelle grandi trasformazioni sociali necessarie al fine di ricostruire il Paese su nuove basi.

La storia ci insegna che sulle macerie di un paese non può essere costruito che un “socialismo da caserma”, destinato ad avere il fiato corto. L’edificazione del socialismo è una lunga marcia, un processo di rotture successive che conoscerà fasi alterne di avanzata e ritirata, una montagna che potrà essere scalata salendo dal basso verso l’alto, giammai con un singolo balzo.

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LE ECCITANTI AMBIZIONI DELLA SINISTRA SOVRANISTA

di Sebastiano Isaia

«Definire il Sovranismo come la malattia senile del Nazionalismo mi sembra ancora troppo poco.

Che cosa vuole l’italica Sinistra Sovranista? È presto detto: ripristinare il funzionamento del motore del Capitalismo italiano, «da tempo inceppato», e scongiurare alla Patria quel destino di servaggio economico e politico cui esso sembra inesorabilmente avviato dopo il suo inserimento organico nello spazio politico-economico europeo egemonizzato dalla Germania.

Si dirà che la Destra Sovranista coltiva gli stessi obiettivi. E difatti è proprio così, e basta leggere, ad esempio, i documenti prodotti da Casapound sulla necessità di difendere i «campioni nazionali» dell’industria tricolore dalla selvaggia ingordigia del «capitale straniero» (germanico e cinese, in primis) per averne piena contezza. Questo, fra l’altro, a ulteriore dimostrazione di quanto assimilabili a uno stesso ceppo ideologico (quello che ha nel Capitalismo di Stato e nella Nazione il suo riferimento materiale) siano lo stalinismo, di vecchio (quello che pregava con la faccia rivolta verso la Mecca del «socialismo reale») e di nuovo conio (quello che ha in Chávez il suo nuovo santino), e il fascismo, anche qui di vecchio (quello che sospirava nostalgicamente pensando alla Repubblica Sociale di Salò) e di nuovo conio (quello che guarda con simpatia alla Grecia di Alba Dorata).

Provoco? Nient’affatto! Mi limito a osservare la situazione del Bel Paese e del mondo da un punto di vista completamente estraneo e ostile tanto alla Sinistra Sovranista quanto alla sua degna e speculare controparte destrorsa. Si tratta del punto di vista che vede nello Stato nazionale, e in ogni forma di Stato (compreso l’ipotetico Stato sovranazionale europeo che tanto inquieta i Sovranisti d’ogni razza e colore), il Leviatano posto a guardia dei rapporti sociali capitalistici, non importa se orientati in direzione del Capitalismo di Stato, come sognano gli ultrareazionari di cui sopra, oppure in direzione del cosiddetto Capitalismo liberista-selvaggio, spauracchio di destri e sinistri. Come Marcello De Cecco, i Social-Sovranisti (acronimo SS) vedono nel nazionalismo, nel protezionismo e nella regolamentazione dei mercati, soprattutto di quelli finanziari, la via maestra per uscire dalla perdurante crisi, le sole reali soluzioni ai drammatici problemi posti da essa: «Averle screditate e messe da parte per più di un cinquantennio come se si trattasse di pulsioni peccaminose e indegne di una nuova e superiore organizzazione internazionale è stato colpevole e persino stupido, perché in forma blanda esse dovevano rimanere in voga, persino il nazionalismo» (M. De Cecco). Qui ogni gesto scaramantico, inteso a esorcizzare la stessa idea di un’infausta precipitazione bellica (si celebra pure il centenario della Grande Guerra!) è più che legittimo, secondo il detto non ci credo ma…

Per Sergio Cesaratto, sinistro critico dell’internazionalista Marx e ammiratore del nazionalista Friedrich List, «lo Stato nazionale costituisce il playing field in cui si articola la battaglia per la giustizia ed in questo senso l’autonomia nazionale è un obiettivo per la classe lavoratrice» (Fra Marx e List). È, con rispetto parlando, la stessa escrementizia tesi che sostenne alla fine degli anni Novanta Fausto Bertinotti contro il secessionismo leghista: la Nazione come indispensabile spazio di agibilità politica delle lotte operaie. Difendere l’unità della nazione, sostenne allora il teorico del kashmir in fatto di abbigliamento, significa difendere lo spazio all’interno del quale si dà ogni articolazione democratica della società civile. Con ciò veniva sdoganato persino lo sventolio – “da sinistra”: vedi la coppia Rame-Fo – del tricolore anche al di fuori delle competizioni sportive. Questo solo per dire che dal punto di vista “dottrinario” nulla di nuovo si muove sotto il cielo di questo sinistro Paese.

Secondo Cesaratto «La necessità del consenso della classe lavoratrice alla costruzione dello Stato nazionale ha storicamente portato le borghesie nazionali a prendere l’iniziativa nella creazione delle istituzioni dello stato sociale. Il caso di scuola è quello della Germania di Bismarck». Detto che «il caso di scuola» citato rappresenta un caso di successo per la classe dominante tedesca (e non solo), e non certo per la classe lavoratrice tedesca (e non solo), e che evocare oggi, nell’epoca della sussunzione totalitaria e planetaria degli individui agli interessi del Capitale, la «Germania di Bismarck» è quantomeno anacronistico (notare l’eufemismo), solo degli sprovveduti possono parlare ancora in termini lusinghieri del cosiddetto «stato sociale», la cui crisi non è imputabile alla «controrivoluzione liberista» (Carlo Formenti), bensì ai meccanismi interni che regolano l’accumulazione capitalistica, la creazione e la distribuzione della ricchezza sociale nella sua vigente forma storico-sociale. A proposito: la «controrivoluzione liberista» postula per il passato una «rivoluzione» che mi è passata sotto il naso senza che ne avessi alcuna contezza? Misteri del sinistrismo, nostalgico del mondo perduto caratterizzato dalla Guerra Fredda e dallo statalismo nelle sue diverse gradazioni e coloriture ideologiche: stalinista, cattocomunista, socialdemocratico, keynesiano.

Scrive Antonio Pagliarone: «L’ideologia keynesiana dominante nel passato aveva generato l’illusione di un capitalismo in crescita permanente all’interno del quale i lavoratori avrebbero beneficiato del sostegno statale in eterno. In realtà i lavoratori lo stato sociale se lo sono pagato, eccome. Anzi attraverso la tassazione dei salari è stato possibile addirittura finanziare le avventure belliche del secondo dopoguerra. Anwar Shaikh arriva alla conclusione per gli Stati Uniti secondo la quale: “Nel complesso è la tassazione sulla popolazione lavorativa che essenzialmente finanzia le spese statali relative alla salute, all’istruzione, alla previdenza, alla disoccupazione, ai sussidi statali, alle abitazioni e a tutta una serie di programmi sociali”» (Introduzione a La crisi. Raccolta di saggi di Anwar Shaikh, Connessioni Ed., 2012).

Ma ritorniamo, per concludere rapidamente, ai militanti della Sinistra Sovranista di MPL, galvanizzati dal successo («oltre le nostre aspettative») di una loro recente iniziativa pubblica, il convegno di Chianciano Oltre l’Euro. La sinistra. La crisi. L’alternativa.

«Alle altre forze che vogliono ripristinare la sovranità popolare rivolgiamo un appello all’unità d’azione. Invitiamo tutte le forze democratiche e costituzionali a mettere da parte le diversità in questo momento di emergenza. Formiamo un Comitato di liberazione nazionale. La Costituzione italiana sia la cornice dell’unità, la sovranità politica e monetaria i suoi obbiettivi». Naturalmente chi scrive non si sente chiamato in causa da questo commovente appello. Di più: non posso che confermare l’abissale distanza che mi separa dalla concezione ideologica e politica che lo informa, essendo io un noto disfattista antinazionale “a 360 gradi” (nel campo degli interessi economici come in quello degli interessi politici del Paese, il quale effettivamente attraversa tempi molto tribolati; ma non abbastanza, per i miei rivoluzionari gusti…), nonché un nemico della democrazia costituzionale, la quale si è rivelata essere il migliore strumento di controllo politico-ideologico dei lavoratori ridotti a massa informe al servizio del Capitale, nazionale e internazionale, pubblico e privato, produttivo e speculativo – distinzioni, queste, che hanno un significato dirimente solo per chi non padroneggia la reale dinamica del processo sociale.

L’auspicato – da MPL, beninteso – Comitato di liberazione nazionale offre l’occasione per un’altra toccatina scaramantica, che in ogni caso male non fa, anzi!

«Una volta riconquistata la leva della sovranità e messo in sicurezza il Paese, il Cln avrà compiuto il suo compito, e quindi i cittadini potranno liberamente scegliere il loro futuro, quale tipo di società essi riterranno più giusta». Siamo ancora allo schema resistenziale: ma questi personaggi ci fanno o ci sono? Che cosa? Fate un po’ voi: usate la definizione che riterrete più giusta. Do il mio piccolo contributo alla causa rimandando il lettore al post della scorsa settimana, che a ben considerare ha molto a che vedere con quanto appena scritto.

Definire il Sovranismo come la malattia senile del Nazionalismo mi sembra ancora troppo poco. Anche perché esso, soprattutto nella sua variante sinistrorsa, ha ancora molto da dare al Dominio sociale, tanto più quando la crisi economica rischia di spingere i dannati della terra (coloro che vivono di salario) oltre i confini dello status quo».

NOTE
[1] Sebastiano Isaia (Catania, 17 Dicembre 1962) è un ricercatore sociale indipendente.
Il suo pensiero è radicalmente anticapitalista, e la sua originalità consiste soprattutto nella negazione di qualsiasi «socialismo reale» passato (Russia, Cina, ecc.) e presente.
Fin da giovanissimo ha attinto al pensiero e alla storia della Sinistra Comunista europea (da Amadeo Bordigaa Karl Korsch, da Anton Pannekoek a Herman Gorter). Ciò ne ha fatto un antistalinista e antimaoista convinto che non si è mai stancato di criticare il Partito Comunista Italiano in tutte le sue incarnazioni (da Gramsci a Togliatti, da Longo a Berlinguer, fino a includere quelle neo-comuniste e post-comuniste), considerandolo un’espressione politica della classe dominante italiana, oltre che dello stalinismo internazionale e dello statalismo.