Sempre più vicino lo spettro della guerra civile

Secondo alcuni geografi il centro (geografico, appunto) dell’Europa sarebbe in Ucraina. Per l’esattezza, esso si troverebbe nei pressi della cittadina di Rachiv, nell’Oblast’ (regione) della Transcarpazia, nella parte sud-occidentale del paese, vicino al confine con la Romania. Dunque, contrariamente a quanto saremmo portati a credere in base alla nostra visione occidentalo-centrica,  l’Ucraina è ben piantata nel cuore del continente.

Un dato quello della centralità e della “vicinanza” che viene richiamato anche da Lucio Caracciolo, che fa notare come la «frontiera occidentale (dell’Ucraina) è più vicina a Trieste di quanto la città giuliana sia prossima a Reggio Calabria».

Dal punto di vista geopolitico, insieme alla Bielorussia, ma ben più importante di questa, l’Ucraina appare – dopo gli sconquassi del 1989-91 – come un largo cuscinetto frapposto tra l’Unione Europea e la Russia. Ed in effetti le tensioni interne risentono indubbiamente dell’attrazione di questi due poli esterni. E’ così dal giorno dell’indipendenza seguita al disfacimento dell’Urss. Ed è così oggi, ma in termini ben più drammatici del passato, perché questo grande paese (45 milioni di abitanti su una superficie di 600mila kmq, il doppio dell’Italia) è ora sull’orlo della guerra civile.

Questa mattina è stata annunciata l’ennesima tregua, ma nessuno sa dire quanto resisterà. Quella precedente, dopo gli scontri di tre giorni fa, ha retto solo 24 ore. Dopo di che, ieri, i gruppi più agguerriti dell’opposizione filo-occidentale – tra i quali spiccano le formazioni di un’estrema destra che non esita a richiamarsi alle forze che si allearono con i nazisti durante l’aggressione all’Urss del 1941 – sono tornati a scontrarsi violentemente con la polizia. Da entrambe le parti si è sparato, ed il bilancio semi-ufficiale parla ormai di 100 vittime.

Quali le cause di questa precipitazione?
Siamo volutamente partiti da alcuni dati geografici per sottolineare la centralità degli aspetti geopolitici della crisi in corso. E tuttavia sbaglieremmo a pensare che essa sia solo il frutto di tensioni provenienti dall’esterno. Come sempre avviene in questi casi, basti pensare alla disgregazione della Jugoslavia, gli interessi geopolitici vengono calati in contesti già incandescenti al proprio interno, meglio se resi ancor più instabili da crisi economiche e finanziarie esplosive.

Concretamente, nell’Ucraina 2014, abbiamo in gioco esattamente questi tre fattori: una situazione economica disastrosa, una spaccatura interna mai sanata tra la parte orientale filo-russa e quella filo-occidentale ad ovest, una pesante ingerenza negli affari interni del Paese da parte americana, europea e russa.

Le casse dello Stato sono vuote, ed è proprio per evitare il default che il governo Yanucovich, nel novembre scorso, decise di accettare un prestito di 15 miliardi di dollari dalla Russia, a fronte del niente offerto dai vertici dell’UE. Da qui la decisione di sospendere il processo di integrazione dell’Ucraina nell’Unione. Ma è l’intera situazione economica ad essere disastrosa, con una disoccupazione elevata, una povertà diffusa, un forte calo demografico (5 milioni di abitanti in meno in 15 anni!), il tutto condito da un livello di corruzione altissimo.

Una corruzione, va detto, che caratterizza tutte le principali forze politiche del Paese. Se il gruppo di potere beneficiato dal governo Janucovich è noto come «la famiglia», non è che negli altri partiti le cose vadano diversamente. Basti pensare all’ex premier Julia Timoshenko, tanto amata dall’Europa, ma oggi in carcere solo perché condannata per le tangenti riscosse dal vecchio amico Putin in cambio di favori sul prezzo del gas.

E’ in questo quadro di dissoluzione di un Paese in mano ai peggiori oligarchi – ecco dove hanno portato le privatizzazioni post-sovietiche; ecco il tipo di società che aveva lasciato concretamente in eredità il “socialismo irreale” del novecento! – che l’imperialismo americano prova a giocare la sua partita. L’obiettivo è chiaro: sottrarre l’Ucraina dalla sfera d’influenza del Cremlino per farla diventare l’avamposto orientale della NATO.

Questa è la vera posta in gioco. E per raggiungere questo obiettivo la Casa Bianca non esita ad appoggiare le peggiori formazioni neonaziste. Formazioni animate da un violento spirito russofobo, da un nazionalismo impressionante in un Paese dove sono presenti varie minoranze nazionali, in particolare quella russa, una minoranza che è maggioranza in diverse aree orientali a partire dalla Crimea.

Se intere zone dell’ovest sono ormai del tutto al di fuori del controllo di Kiev, è assolutamente impensabile che l’est russofilo possa accettare un governo filo-occidentale. Da qui la prospettiva di una divisione del Paese. Ma una divisione pacifica, alla “cecoslovacca”, od una divisione come risultante di una guerra civile come nel modello balcanico?

Tutto fa pensare che la risposta sia la seconda. Non solo per la violenza di questi giorni, ma per una ragione di carattere geopolitico: perché a Washington vogliono provare ad aggiudicarsi tutto il piatto, arrivando così al Mar Nero; mentre è assai comprensibile che Putin non abbia alcuna intenzione di concedere alla NATO un’ulteriore avanzata verso oriente.

La partita è dunque sì interna, con un governo in affanno e privo di qualsiasi credibilità, ma con due giocatori esterni assai determinati. Con la differenza che uno gioca il match a migliaia di chilometri dai propri confini, mentre l’altro si ritrova lo scontro sull’uscio di casa, in un Paese da sempre legato ai destini della Russia.

In questo scontro geograficamente asimmetrico, qual è il ruolo dell’Unione Europea? Contrariamente a quel che ritiene qualcuno non è un ruolo di primo piano. Certo, alla Germania piacerebbe molto un governo amico a Kiev. Ma, come ha detto un nostro compagno in una recente riunione, quello tedesco è un imperialismo “low cost“, troppo attento ai cordoni della borsa quando il gioco si fa serio. Inoltre, la signora Merkel non può permettersi di incrinare più di tanto i rapporti con Putin. Da qui un equilibrismo che rende assai improbabile – al di là della propaganda – un ruolo di primo piano dell’UE nella crisi.

Gli americani pretenderebbero invece un sostegno più deciso alle forze anti-russe, e sono evidentemente insoddisfatti della posizione europea. Solo così si spiega il «Fuck the EU» della gentilissima signora Victoria Nuland, vicesegretaria di Stato americana, nel corso di una conversazione telefonica con l’ambasciatore di Washington a Kiev, Geoffrey Pyatt, agli inizi del mese di febbraio.

Alla Casa Bianca sembra quasi che ci si voglia vendicare dello smacco subito in Georgia nell’estate del 2008. Allora, secondo la recente ricostruzione di Limes (Dario Fabbri – In Georgia si è rischiata la terza guerra mondiale), solo l’opposizione del capo degli Stati maggiori riuniti, il generale Mike Mullen, riuscì a fermare la fazione capeggiata da Dick Cheney, favorevole ad un intervento diretto contro le truppe russe. Alla fine Bush si schierò con il generale, ma il mondo aveva rischiato uno scontro diretto tra le due più importanti potenze nucleari. Una vicenda da tenere bene a mente, guardando oggi ad una crisi potenzialmente ben più grave come quella ucraina.

Tornando alla stretta attualità, vedremo adesso quanto durerà l’odierna tregua. Forse qualche giorno, forse solo lo spazio di un mattino. Se i manifestanti chiedono la cacciata di Yanucovich, neanche il Cremlino sembra prenderne troppo le difese. Ragionevole dunque attendersi novità a breve, ma poche sono le cose davvero prevedibili nel puzzle ucraino.

In ogni caso l’Ucraina è davvero sul baratro della guerra civile. Un dramma che potrebbe essere forse ancora evitato, ma solo ad una condizione: la fine delle ingerenze esterne, ed in particolare dell’ingerenza americana.