“Achtung: Bandera!”

Chi sono i fascisti ucraini?

E’ di queste ultime ore la notizia che tra il corrotto, oligarchico e presidenzialista regime guidato dal presidente Janukovic e alcuni leader dell’opposizione filo-occidentale, è stato raggiunta un’intesa politica. Non è detto che questa ponga fine alla rivolta. Le organizzazioni nazional-fasciste che sono diventate la testa d’ariete della sommossa di Kiev — molto forti in Ucraina occidentale, Galizia e Trascarpazia — hanno ribadito che la loro lotta sarebbe continuata fino alla cacciata di Janukovic e la definitiva rottura con la Russia putiniana.

Al primo punto dell’intesa  c’è la convocazione di elezioni presidenziali anticipate da tenersi entro dicembre, mentre nel giro di 10 giorni verrà formato un governo di unità nazionale.

I nazional-fascisti sono raggruppati in un blocco chiamato “Pravý Sektor” (settore destro). Ne fanno parte “Svoboda” (Partito della Libertà), i “Patrioti Ucraini”,” la “Assemblea Nazionale Ucraina – Difesa Nazionale Ucraina”(UNA-UNSO), e “Trizub”. Tutte queste organizzazioni condividono una ideologia comune violentemente anti russa, anticomunista, razzista, e antisemita. Tutte venerano la madre di tutti i nazisti ucraini, ovvero quella che fu la “Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini”, guidata da Stepan Bandera, la quale, col suo braccio armato (UPA, Organizzazione insorgente ucraina) si schierò a fianco dell’invasione nazista.

“Actung: Bandera!”
di Nello De Bellis

Ciò che sta accadendo da tempo e particolarmente in queste ultime ore in Ucraina nel silenzio complice dei mass-media occidentali è di una gravità inaudita. Il Paese è ormai sull’orlo di una vera e propria guerra civile.

Secondo quanto riportato dal notiziario “Russia 24” i morti ammontano ad un centinaio, parte della popolazione è in fuga da Kiev, in alcune zone della città i dimostranti filoeuropei aggrediscono i rappresentanti delle circoscrizioni amministrative in cui Kiev è divisa pretendendo le loro dimissioni dopo averli pubblicamente picchiati e umiliati, i voli dell’aeroporto internazionale sono fortemente limitati, così pure sono chiuse alcune vie d’accesso alla città, banche e supermercati sono pure chiusi. E’ stato proclamato un giorno di lutto nazionale, ma gli scontri continuano.

In tutto questo giunge la proposta formulata da un rappresentante dell’amministrazione USA in missione in Ucraina al Presidente legittimamente eletto Janukovic di rassegnare le proprie dimissioni “per il bene del Paese” e spianare così la via ad un Governo di emergenza, manco a dirlo, “rispettoso della democrazia e dei Diritti Umani”.

Fin qui la cronaca di queste ultime ore convulse e drammatiche. Sulla scorta di questi avvenimenti è bene che le forze antagoniste presenti nel nostro Paese alzino la soglia dell’attenzione su quanto sta avvenendo perché il teatro ucraino (o meglio russo-ucraino) è tutt’altro che periferico rispetto alle nostre lotte e alle nostre battaglie. Innanzi tutto si tratta di una crisi annunciata: stiamo assistendo al solito copione, al solito “format” che ormai immancabilmente si ripete ovunque l’imperialismo atlantico (in questo caso euro-atlantico) ritiene di difendere i propri interessi strategici.

Ieri in Jugoslavia, in Iraq, in Libia, oggi in Ucraina. La relativa novità è che le oligarchie euriste agiscono in questo caso in perfetto sincronia e tempismo con l’amministrazione statunitense. Esaurito lo slancio propagandistico e ideologico del pacifico allargamento a Est  verso i Paesi facenti un tempo parte del Patto di Varsavia, agitando il miraggio della prosperità e potenza dell’UE, si è scelta la strada dello scontro aperto e brutale con il potere soffiando abilmente sul mai sopito fuoco del nazionalismo occidentale ucraino contro l’altra metà del Paese e contro la Russia.

Va ricordato (perché le rappresentazioni mediatiche distorcono quasi sempre la realtà omettendo completamente i trascorsi storici) che l’Ucraina è geograficamente, linguisticamente e storicamente divisa in due grandi regioni, un po’ come la Gallia di Cesare lo era in tre. La parte occidentale, ad ovest del Dnjepr, è stata fino al 1918 sotto l’amministrazione austro-ungarica. Ne è prova il fatto che una delle più importanti città di quella regione, l’attuale L’vov (o in ucraino L’viv) si è chiamata anche Leonberg. L’altra parte, russofona, ha fatto invece organicamente parte del’Impero zarista. A Lugànsk (ex Voroscilovgrad), a Charkov, a Donjeck si parla infatti il russo. L’antico Stato russo, dai tempi di Rjurik il Grande, sorse a Kiev.

Le vicende storiche legate alla sua decadenza spostarono nei secoli l’asse della potenza russa verso Mosca e dal XVII secolo la lingua cominciò internamente a differenziarsi, giungendo all’attuale diversa  configurazione. Per  arrivare  a tempi più recenti, diciamo che durante la guerra civile seguita alla Rivoluzione d’Ottobre le due regioni furono erette in due repubbliche distinte che si combatterono addirittura tra di loro. Il Potere sovietico unificò nuovamente il Paese, ma in una parte di esso l’opposizione antisovietica durante al guerra civile si innestò sul ceppo del nazionalismo antirusso delle regioni occidentali, alcune da poco annesse all’URSS.

Basti pensare che sempre  L’vov è appartenuta, dopo la fine della monarchia asburgica, nel periodo tra le due guerre mondiali, alla Polonia. Durante il periodo staliniano, all’epoca della collettivizzazione forzata delle campagne, i  ritmi e le modalità della stessa provocarono in Ucraina una spaventosa carestia che causò la morte di circa 4 milioni di persone detta in lingua ucraina “Holodomòr” (olocausto della fame).

Ciò rinfocolò ovviamente il risentimento contro il potere centrale, identificato con la Russia staliniana, e diede nuovo slancio al nazionalismo occidentale. All’epoca della guerra, nelle zone occupate dall’esercito tedesco, il movimento nazionalista ucraino col suo leader Stepan Bandera si schierò apertamente a favore dei nazisti. Questi si servirono  dei collaborazionisti ucraini creando una milizia odiata e temuta dalla popolazione addetta ai rastrellamenti e alla sorveglianza nei Lager e chiamata sprezzantemente dagli autoctoni Polizei.

Il movimento nazionalista e secessionista fu attivo, anche con azioni armate, fin quasi alla fine degli anni Cinquanta, quando Bandera fu eliminato da agenti sovietici nella Repubblica federale tedesca, dove si era rifugiato. E’ chiaro, sulla scorta di questi brevi cenni storici, che una frattura, una linea divisoria esiste e che le forze filoeuropeiste interne, ma soprattutto esterne, stanno facendo di tutto per allargarla. Del resto l’imperialismo non potrebbe attecchire se non lavorando con materiali storici reali. Esattamente come nella Federazione jugoslava dove una guerra civile a bassa intensità, determinata dal movimento separatista dell’UCK (finanziato dagli USA e da Bin Laden) e dalle sue mire sul Kossovo ha determinato la fine  dello stato federativo, frutto della resistenza antifascista.

Anche qui assistiamo più o meno, come già detto, alla stessa sceneggiatura: da una parte una popolazione virtuosa che vuole la democrazia, i diritti umani, la libertà, la modernità, l’integrazione europea e via dicendo e dall’altra parte o un dittatore corrotto e sanguinario (preventivamente demonizzato) o un despota forcaiolo e inetto. Ovviamente non è mai così, perché assieme al satrapo di turno, così dipinto dall’ossessiva propaganda occidentale, ci sta  per ragioni che i poteri forti del capitalismo predatorio globale e il pittoresco codazzo di ignorantissimi intellettuali e pagliacci umanitari preferiscono bellamente ignorare, quasi sempre  l’altra metà del popolo. Al di sopra di tutto le Organizzazioni Internazionali che agiscono per il ripristino della legalità, dell’ordine, della pace servendosi dei diritti umani come armatura ideologica dell’espansione dei mercati e dunque della globalizzazione.

Solo che stavolta la partita si va facendo più pericolosa ed impegnativa, non solo perché l’antagonista indiretto della contesa non è solo l’indebolito Presidente Janukovic e la metà russofona del Paese, ma perché il gioco mira ancora una volta ad accerchiare e ricattare la Russia, che però non è più, dopo la guerra alla Georgia del 2008, l’anatra zoppa dei tempi di El’cin. Al di là dello scacchiere in questione, che potrebbe preludere nel peggiore dei casi ad un conflitto armato tra Ucraina e Russia, il messaggio ai popoli che soffrono per le misure di massacro sociale prese dagli eurocrati è chiarissimo: non vi azzardate a ribellarvi altrimenti useremo il nostro potere per approfondire le divisioni esistenti in seno alle vostre compagini nazionali  fomentando  un po’ di guerra civile e così vedrete che cosa succede a disobbedire alla BCE, alla Troika e alla Commissione Europea…Immaginiamo infatti se  un movimento di segno opposto e infinitamente meno radicale di quello ucraino prendesse piede nella Ue e specificamente in Italia, dove il massimo dell’eversione è il movimento dei forconi o le proteste dei deputati del M5S in Parlamento.

Un’ultima breve, necessaria considerazione su quella parte di popolo ucraino che in questo momento sta mettendo a ferro e fuoco la propria capitale per entrare nell’Unione europea: al di là del loro ascarismo storico, frutto delle complesse vicende con la Russia, hanno tutti realmente capito che sgomitano per entrare in una zona praticamente  depressa?