Con la caduta di Yanucovich l’occidente ha vinto la battaglia di Kiev, ma la guerra ucraina è probabilmente solo all’inizio. Sia gli Stati uniti che la Russia, come pure l’Europa, chiedono ora l’unità del Paese. Sembra un paradosso, ma non lo è, visto che da entrambe le parti (che sono due, anche se i soggetti sono tre) si mira all’egemonia sull’intera Ucraina.

Se una divisione consensuale – alla “cecoslovacca” – appare irrealizzabile, l’unità forzata tra le regioni dell’est e quelle dell’ovest ben difficilmente potrà reggere alle attuali tensioni. E dove andrebbe poi a posizionarsi il nuovo confine? Ecco una domanda già di per sé foriera di scenari di una guerra civile potenzialmente devastante.

Ora a Kiev regna la calma. Yanucovich è in fuga, inseguito perfino da un mandato di cattura internazionale. La stessa Russia, com’era prevedibile, lo ha scaricato al pari del suo “Partito delle Regioni“. Il suo autoritarismo e la corruzione del suo gruppo di potere sono stati l’arma utilizzata dall’occidente per rovesciarlo. Non che fosse peggiore di chi lo aveva preceduto, ma la sua impopolarità (vedi in proposito questo articolo del dirigente comunista Gueorgui Kriuchkov) è stato un fattore senz’altro decisivo nel favorire quello che a Mosca è considerato – non a torto – un golpe.  

L’Ucraina ha ora un nuovo presidente, Oleksandr Turchynov, noto più che altro come stretto compare di Yulia Tymoshenko, prontamente liberata con un provvedimento ad-personam dal carcere, dove si trovava peraltro solo per corruzione. Nuove elezioni dovrebbero tenersi (il condizionale in questi casi è d’obbligo) il prossimo 25 maggio.

Ma cosa potranno mai cambiare le elezioni? Probabilmente ben poco. Dalle elezioni non potrà che uscire di nuovo la fotografia di un paese spaccato in due, a meno che i vincitori della battaglia di Kiev non si spingano fino a mettere fuorilegge il Partito delle Regioni ed il Partito Comunista d’Ucraina. Alcuni settori dell’estrema destra lo chiedono, ma questa non sarebbe altro che una dichiarazione di guerra alla metà della popolazione che non accetta la svolta filo-occidentale.

Nelle elezioni presidenziali del febbraio 2010 Yanucovich aveva ottenuto al primo turno il 35,32%, contro il 25,05 della Tymoshenko. Al secondo turno aveva prevalso con il 51,84% dei voti, contro il 48,16% della rivale. Risultati confermati alle elezioni legislative del novembre 2012, nelle quali il Partito delle Regioni aveva raggiunto il 32% contro il 24% del “blocco Tymoshenko” Opposizione unita-Patria, mentre il Partito Comunista era arrivato quasi al 14%. Più sotto il partito dell’ex pugile Klitsckho (13,5%) e la formazione d’estrema destra Svoboda (10%).

La Timoshenko ha già incontrato, ieri, sia il capo-delegazione UE Jan Tombinski, sia l’ambasciatore USA a Kiev, Geoffrey Pyatt, quello della telefonata del “Fuck the EU“. Gli basteranno questi appoggi per essere lei la candidata del blocco di destra? Probabilmente sì, vista anche l’inconsistenza degli altri papabili. E tuttavia anche l’ex premier non è proprio popolarissima, vista la condanna per corruzione, che tra l’altro la renderebbe ineleggibile per legge. Ma le leggi in questi giorni vengono cambiate con una certa rapidità a Kiev….

Quale sia la parte trainante del blocco di destra lo vediamo in queste ore, con il manifestarsi di un nazionalismo ferocemente russofobo, accompagnato ad un violento anticomunismo che ha portato ad attaccare ed incendiare le sedi del Partito Comunista. Tutti aspetti che sembrano preoccupare ben poco gli euro-entusiasti di casa nostra, che sono di nuovo lì a gridare la loro soddisfazione per il nuovo possibile “allargamento dell’Europa”. Per la verità con un’eccezione, quella di Romano Prodi, che scrivendo sulle colonne del New York Times è apparso invece assai poco entusiasta delle vicende ucraine. Sarà solo per via del rapporto con Putin?

Ora che l’operazione americana è riuscita, sono già partiti gli ordini ai sottoposti: che L’Unione Europea ed il Fondo Monetario Internazionale si preoccupino di sostenere finanziariamente l’Ucraina. L’Europa, che a novembre aveva promesso solo 610 milioni di euro, contro i 15 miliardi di dollari di Putin, si spinge adesso ad offrire un paio di miliardi. Ben poca cosa comunque rispetto ai 35 miliardi che sarebbero necessari secondo il nuovo ministro delle finanze.

Toccherà quindi al Fmi intervenire con decisione, ma sappiamo bene a quali condizioni. Al popolo ucraino verranno chiesti sacrifici enormi, che se nell’ovest verranno forse visti come il prezzo del biglietto per l’agognato occidente, ad est risulteranno del tutto inaccettabili. Già ieri in diverse città si è manifestato, e nella sola Sebastopoli 10mila persone hanno marciato contro quello che hanno definito il “golpe fascista”.

Un’economia allo sfascio, condizioni di vita che si faranno ancora più dure, specie se il processo di integrazione nell’UE dovesse davvero iniziare a marciare, tensioni geopolitiche difficilmente componibili: può davvero l’Ucraina tirarsi fuori dalla traiettoria che la sta portando alla guerra civile? Difficile crederlo.