Il carrozzone del «più Europa» prende forma

Alla fine Emiliano Brancaccio ha detto di no, mentre Barbara Spinelli si è detta di sì: sarà candidata alle prossime europee. Lei, che insieme agli altri 5 generali senza truppa, funge anche da “garante”. Ma garante di che cosa? Ecco una bella domanda da porsi mentre la lista del «più Europa» comincia a prendere forma.

I sei generali senza truppa che hanno preso in mano la «lista Tsipras» hanno sempre lasciato intendere che loro non si sarebbero candidati. Ed invece no. Come fossero un Renzi qualunque si sono subito smentiti. Barbara Spinelli ed Andrea Camilleri saranno infatti candidati, più esattamente – non lo hanno detto, ma si accettano scommesse – saranno capolista in qualche circoscrizione.

I due, insieme a Moni Ovadia ed Adriano Prosperi, annunciano che: «Se eletti, lasceremo il nostro posto al parlamento a candidati che più di noi hanno le energie e le competenze per portare a Bruxelles e Strasburgo la nostra voce e i nostri valori in un lavoro quotidiano che sarebbe al di sopra delle nostre forze».

Oh bella! E che giochetto è questo? E’ onesto mettere un nome per attrarre consensi e poi defilarsi? E poi, che presunzione! Quanti voti pensano di poter catturare in questo modo? E cosa direbbero costoro se ad usare i loro stessi metodi arroganti ed accentratori fossero sei “generali” di destra, anziché di sinistra?

Domande che non avranno mai una risposta, salvo quella che gli daranno gli elettori il 25 maggio. E sulla quale confidiamo. Ma andiamo ora al cuore del problema, che si chiama Barbara Spinelli. Perché è il suo il nome che conta. La ragione della candidatura della giornalista di “Repubblica” è piuttosto evidente.

Tralasciando qui ogni considerazione sulle ragioni dell’intenso attivismo del maneggione De Benedetti, che di quel giornale è comunque proprietario, chiara è la finalità politica della scelta annunciata ieri. A scanso di equivoci, e nonostante il gruppo dirigente del Prc gli abbia già baciato mani e piedi, ci vuole un’ulteriore garanzia sul fatto che quella in costruzione sia solo e soltanto la lista del «più Europa». Dunque, tradotto in soldoni, in Italia la «lista Tsipras» diventerà mediaticamente (e dunque nei fatti) la «lista Spinelli».

In fondo, per come l’operazione è partita, per come è stata gestita, per la totale subalternità di Rifondazione, per la stessa volontà del leader di Syriza, è giusto e naturale che sia così.

Alcune cose vanno però dette.
In primo luogo siamo di fronte ad un operazione di rara disonestà intellettuale. Si denunciano e si marginalizzano i partiti anche in quanto portatori di verticismo, e si da luogo ad un verticismo senza precedenti. Si denuncia l’attacco alla democrazia, e si attiva un meccanismo che più antidemocratico non si può. Si denunciano le élite proprio mentre si assume un atteggiamento elitario senza limiti.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, si vorrebbe illudere (poi vedremo quanti davvero abboccheranno) sulla riformabilità in senso solidaristico dell’Unione Europea, che sarebbe come pretendere di riformare in senso democratico il Ku Klux Klan.

I “sei” credono davvero a questa riformabilità? Non lo sappiamo. Di certo, se c’è un punto che promotori e sostenitori di questa lista non si scordano mai nei loro discorsi è il «più Europa». Lo dicono i quattro che ieri hanno annunciato la loro candidatura: «più Europa, non meno». Lo dice Rodotà in un’intervista alla Stampa dove auspica un raggruppamento con Sel, Civati e dissidenti del M5S, tanto per ribadire che l’operazione spinelliana è anche un modo per ricondurre un dissenso di sinistra verso il centrosinistra. Lo dice – con un articoletto scritto subito prima di andare ad applaudire Shultz – anche Vendola, per il quale l’importante è che il progetto sia «lontano da ogni ritorno all’idea di stato-nazione».

Insomma, lo dicono tutti: l’«altra Europa», altro non è che il «più Europa». E che questo venga rappresentato da una fondatrice di Repubblica è del tutto normale, come una ciliegina sulla torta. Meno normale è che qualche migliaio di militanti che si sentono comunisti gli vadano a raccogliere le firme ai tavoli. E’ vero che il comunismo è in crisi, ma rovesciare il tavolo a volte può far bene. Almeno alla salute.