Lo show del premier e i vincoli dell’euro

Com’è nello stile del personaggio, per ora siamo agli annunci, anzi allo show. Vedremo poi cosa seguirà. Occorre una certa prudenza nel giudicare il senso complessivo delle scelte comunicate ieri dal presidente del consiglio. Tanti gli interrogativi che non hanno ancora una risposta, dato che per ora si conoscono i titoli ma non il contenuto dei singoli provvedimenti. Limitiamoci dunque ad alcune considerazioni di carattere generale.

1. Il piccolo Berlusconi cresce

Lo stile non è tutto, ma ha la sua importanza. Dopo aver incassato alla Camera un sì assai risicato alla super-truffa della sua legge elettorale, Renzi ha deciso di giocare immediatamente all’attacco sul terreno fiscale e del lavoro. Lo ha fatto in maniera smaccatamente elettoralistica, promettendo mille euro di sgravi fiscali ai 10 milioni di lavoratori con un reddito netto inferiore ai 1.500 euro mensili. I primi effetti in busta paga dovrebbero arrivare a maggio, il mese delle elezioni europee…

Manterrà questa promessa? Non lo sappiamo, ma ancor meno sappiamo sui meccanismi tecnici che dovrebbero portare a questo risultato, probabilmente un mix di maggiori detrazioni e ricalibratura delle aliquote Irpef. Da dove arriveranno questi 10 miliardi ancora non si sa, ma di certo i tagli di spesa di Cottarelli non saranno sufficienti. L’imprecisione è tale che Berlusconi, quello vero, ha parlato di una manovra che fa apparire la famosa “finanza creativa” di Tremonti come una cosa da ragazzi. Una valutazione che probabilmente nasconde una certa invidia per il suo clone in salsa piddina…

2. La svolta che non c’è, ma sembra che ci sia

Attenzione, perché questo è un punto delicato. Se è vero che non c’è alcuna vera svolta di politica economica, né potremmo attendercela da un governo come questo, è altrettanto certo che l’illusione della svolta potrà in una certa misura affermarsi per qualche tempo.

E’ vero che gli italiani, al settimo anno di crisi, sono meno creduloni di quel che erano in tempi meno recenti, ma il segnale è chiaro: dopo anni di politiche austeritarie a senso unico, è arrivata una manovra in cui molti avranno un “avere” e non solo un “dare”. Naturalmente il “dare” arriverà, non fosse altro in materia di tagli, che certo non si esauriranno in una decurtazione delle auto blu e delle sedi Rai, le uniche e modestissime voci (insieme all’abolizione del Cnel) ad oggi enunciate da Cottarelli. E tuttavia, almeno sul piano propagandistico, un segnale di svolta è stato dato. Di fronte ad esso sarebbe sbagliato limitarsi a dire, in maniera altrettanto propagandistica, che nulla è cambiato.

Si dovrà dunque mettere in luce il vero costo della manovra fiscale per le classi popolari (ad esempio nei giorni scorsi si è parlato di interventi sulle pensioni di reversibilità e su quelle di accompagnamento), così come bisognerà ricordare che le riduzioni Irpef verranno in buona parte erose dall’aumento delle addizionali regionali e comunali, nonché dalle aliquote della nuova Tasi. Si dovrà denunciare tutto ciò, ma avendo ben chiaro – questo è il punto politico decisivo – che il governo Renzi non è la semplice continuazione dei governi Monti e Letta. Questi erano dei meri esecutori degli ordini di Bruxelles. Renzi è invece un concentrato di presunzione e sete di potere, una miscela esplosiva che lo rende meno affidabile agli occhi degli eurocrati che vigilano dalla Commissione Europea e dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Da qui gli avvertimenti, arrivati con la velocità di un fulmine, da Rehn e Draghi. Insomma, per costoro, Renzi è (almeno potenzialmente) il nuovo Berlusconi, un personaggio di cui possono fidarsi solo fino ad un certo punto. Ed è anche per questo che il testo dei provvedimenti ancora non c’è: evidentemente in queste ore qualcuno si sta consultando con i capoccioni dell’Europa, per attuare eventualmente qualche aggiustamento in corsa.

3. In termini macro-economici una manovra comunque modesta

Chiarito che non siamo di fronte ad una semplice continuità con i predecessori, va però detto che quella annunciata non è una manovra choc come qualcuno potrebbe pensare. In termini di crescita, dieci miliardi non sono una cifra enorme. Renzi spera che quella cifra (pari allo 0,6% del Pil) si trasformi totalmente in consumi, ma a parte il fatto che questo è altamente improbabile, quale sarà invece l’effetto negativo sull’economia dei tagli (teoricamente equivalenti) che verranno attuati?

Detto in altri termini, la manovra fiscale ha una sua forza propagandistica, ma non appare tale da poter determinare una svolta qualitativa nella recessione infinita che attanaglia l’economia italiana dal 2007-2008.

4. Sull’occupazione il nulla, o – peggio – l’aumento della precarietà

Che la manovra non abbia un vero respiro strategico è dimostrato dall’assenza di un qualsiasi piano anti-disoccupazione. Per Renzi la linea è comunque quella della riduzione dei diritti e dell’aumento della precarietà, con l’incremento da 1 a 3 anni del limite per i contratti a termine. Tutto ciò in base all’indimostrato assunto secondo cui solo con la più barbara deregulation le imprese torneranno ad assumere.

Si tratta della classica impostazione liberista, tanto utile a lorsignori per spremere fino all’ultima goccia i giovani lavoratori precari, quanto fallimentare non solo nella creazione di veri posti di lavoro (che a lorsignori non gliene può fregare di meno), ma anche dal punto di vista dell’agognata ripresa economica fondata sull’aumento della competitività e sulla riduzione del costo del lavoro.

5. Il liberismo in salsa renziana

Da ormai 35 anni tutti i politici ammessi nelle stanze dei bottoni del civilizzato occidente sono immancabilmente liberisti. Con diverse sfumature, ma tutti liberisti. Renzi non poteva fare eccezione. E la politica di diminuzione delle spese per ridurre le tasse è un cardine della visione liberista. Ma naturalmente esistono modi assai diversi di perseguire l’uno e l’altro risultato. Almeno in astratto si possono ridurre le spese sia tagliando le pensioni che riducendo le spese militari; così come si possono diminuire le tasse alle classi popolari piuttosto che ai percettori dei redditi più elevati.

In questo, se agli annunci seguiranno i fatti, Renzi sembra discostarsi dai suoi predecessori, almeno per quel che concerne l’aspetto fiscale, mentre sul lato dei tagli di spesa sarà verosimilmente più in linea con i governi precedenti. La sua è, per certi aspetti, una strada obbligata. Siccome, contrariamente alle apparenze, la politica dei sacrifici non è certo archiviata, essa potrà essere continuata solo con un deciso abbellimento.

E, d’altra parte, la spremitura dei ceti popolari è giunta ormai ad un punto insopportabile, tant’è che gli euristi più avvertiti riconoscono ormai l’inevitabilità – ai fini della permanenza dell’Italia nell’eurozona – di una patrimoniale di grandi dimensioni. Istruttiva a tal proposito la telefonata “estorta” all’ex ministro Fabrizio Barca.

Da questo, oltre che da considerazioni elettoralistiche, il “liberismo alla Renzi“. Un matrimonio, vedremo quanto riuscito, tra ortodossia liberista e populismo di necessità.


6. Ma chi glielo spiega all’Europa?

Il problema, per l’apprendista stregone fiorentino, sarà ora spiegarlo all’Europa. Entrano qui in ballo innumerevoli questioni, che non affronteremo nel dettaglio in questa sede. Certo, gli eurocrati saranno ben felici dell’ulteriore deregulation in materia di assunzioni, ma molto meno della manovra fiscale, per non parlare del crono-programma di pagamento dei debiti alle imprese e degli stanziamenti annunciati per l’edilizia scolastica, l’assetto idrogeologico, il piano casa.

Solo per il pagamento alle imprese, se i conti del governo (fonte Bankitalia) si riveleranno corretti, sono in gioco 68 miliardi di euro. Quattro punti di Pil che andranno ad appesantire in egual misura lo stock del debito, al di là del complicato meccanismo messo in piedi per mandare in porto l’operazione.

E’ vero che, prima o poi, questi debiti dovevano essere saldati, ma la tempistica potrebbe irritare non poco i controllori di Bruxelles. E non è impossibile che – anche in questo caso – vengano introdotte modifiche sostanziali a quanto annunciato da Renzi.

Ad ogni modo, pur scontando tutte queste incertezze, è probabile che un confronto con l’UE debba aprirsi. Vedremo con quale sviluppo e con quale esito. Fino a qualche tempo fa si poteva pensare ad un atteggiamento soft fino alle elezioni europee. L’avvertimento di Olli Rehn, scritto qualche giorno fa appositamente per l’Italia, pur facendo finta di parlare anche di Slovenia piuttosto che di Finlandia, lascia invece intendere una durezza maggiore.

Al di là di ogni altra considerazione, non è male che i veri nodi – quelli disegnati dai vincoli europei del “sistema euro” – vengano a galla al più presto. Un bel problema per il Berlusconi 2.0 attualmente al governo, un bel fascio di luce sulla sovranità, cancellata più che limitata, del nostro Paese.

7. Conclusioni

Comunque vada, le misure annunciate dal governo sono soltanto dei pannicelli caldi del tutto inefficaci di fronte alla portata ed alle ragioni di fondo della crisi. Se Renzi fosse coerente dovrebbe cancellare subito sia il pareggio di bilancio che il Fiscal Compact. Passi necessari per arrivare ad affrontare il decisivo nodo dell’euro.

Ma questo non lo farà di certo. L’autore di una legge elettorale che definire fascista è poco, visto che la famigerata legge Acerbo del 1923 era meno antidemocratica della sua, è deciso ad asfaltare la democrazia in compagnia del suo degno compare di Arcore, quanto pavido di fronte ai diktat delle oligarchie euriste dominanti.

E’ questo il punto decisivo, quello sul quale lo spaccone fiorentino andrà prima o poi a schiantarsi.