Un esempio che ci dice dove porteranno le contro-riforme di Renzi sul lavoro

“Flessibilità”. E’ questa la parola magica che secondo i liberisti aprirebbe le porte alla felicità. Secondo costoro le aziende non assumono solo perché la flessibilità dei neo-assunti sarebbe insufficiente. Provate a chiedere ai giovani che la sperimentano da anni sulla propria pelle ed avrete una risposta un po’ diversa. Ma a quelli come Renzi non è la faccia tosta che manca.

La tendenza alla crescente precarizzazione del lavoro ha ormai una storia lunga di almeno un quarto di secolo. In Italia, un passaggio decisivo fu rappresentato dal “Pacchetto Treu” del 1997, varato dal “governo amico” di Prodi. Ma come tutti sanno il fenomeno non è certo solo italiano, essendo invece uno dei marchi distintivi del “capitalismo reale” di questo inizio secolo. Un marchio particolarmente pesante quello impresso sulla pelle dei lavoratori dei paesi sud-europei, in nome dell’euro e di un’Europa sempre più disumana.
Di seguito un articolo di Vicente Navarro sul caso spagnolo.

Le riforme del lavoro in Spagna sono disastrose
di Vicente Navarro

La Spagna, sotto la spinta della Troika (FMI, Commissione Europea e BCE) ha implementato 3 importanti riforme del mercato del lavoro, presentate al pubblico come necessarie a ridurre il livello di disoccupazione scandalosamente alto: 25% in generale e 52% giovanile.

La Spagna (e la Grecia) sono in testa al campionato della disoccupazione. Fin dall’inizio della crisi, i governi, conservatori (PP) o socialisti (PSOE), hanno perseguito riforme volte a quella che chiamavano “la deregolamentazione del mercato del lavoro”, supponendo che il problema dell’alto tasso di disoccupazione fosse dovuto all’eccessiva rigidità del mercato di lavoro. Hanno sostenuto che i sindacati hanno protetto troppo i lavoratori a tempo indeterminato, al punto da rendere troppo rischioso per i datori di lavoro assumere nuovi lavoratori. Di conseguenza, è stato detto — i datori di lavoro hanno paura di rimanere incastrati con i nuovi assunti senza essere in grado di licenziarli nuovamente quando il carico di lavoro diminuisce.

Questo assunto è diventato un dogma e, come tutti i dogmi, è stato sostenuto dalla fede, piuttosto che da prove scientifiche. Con un piglio chiaramente apostolico, il governo Zapatero (socialista) e il governo Rajoy (conservatore) hanno reso sempre più facile per i datori di lavoro licenziare i lavoratori. E infatti migliaia e migliaia di lavoratori sono stati licenziati. Ma i datori di lavoro non hanno assunto lavoratori allo stesso ritmo in cui licenziavano. I risultati sono chiari per tutti coloro che sono disposti a vedere la realtà per quello che è,  piuttosto che per ciò che essi credono che sia.

La disoccupazione, anziché diminuire, ha iniziato ad aumentare più rapidamente, guarda caso, rispetto a prima delle riforme. Ad esempio, dall’ultimo trimestre del 2011 al quarto trimestre del 2013, sono stati distrutti 1.049.300 posti di lavoro, con un aumento della disoccupazione di 622.700 persone. Il numero di disoccupati è ora di 6 milioni di persone, il 47% dei quali non ricevono alcuna assicurazione contro la disoccupazione (in parte a causa dei tagli a questo tipo di assicurazione che hanno accompagnato l’ultima riforma del mercato del lavoro).

Oltre alla crescita della disoccupazione, un’altra conseguenza della riforma è stato un rapido deterioramento delle condizioni di lavoro. Il lavoro precario (che i sindacati chiamano “lavoro di merda”) sta aumentando molto rapidamente. In realtà, la maggior parte dei nuovi posti di lavoro appartengono a questa categoria. Il 92% dei nuovi contratti sono lavori temporanei, con solo l’8% di contratti a tempo indeterminato. Un altro risultato delle riforme è stato l’allungamento del periodo di disoccupazione. Sei disoccupati su dieci sono stati senza lavoro per più di un anno, un’autentica tragedia. Un altro record nel campionato della disoccupazione (a pari merito con la Grecia).

Questi sono infatti i risultati prevedibili delle riforme così applaudite dalla Troika. Riforme presentate come necessarie per ridurre la disoccupazione. E, con grande cinismo, anche adesso esse sono presentate come necessarie per risolvere l’alto tasso di disoccupazione, anche se il loro fallimento è così evidente. Queste riforme hanno raggiunto l’opposto di quello che, in teoria, avrebbero dovuto ottenere.

I veri obiettivi delle riforme sociali e del lavoro

Ma queste riforme hanno avuto molto successo nel raggiungimento dei loro obiettivi nascosti (mai menzionati nei media o nelle discussioni politicamente corrette). Le riforme hanno avuto un enorme impatto sui salari: un calo del 10% in due anni. Nessun altro paese dell’UE-15 (oltre alla Grecia) ha visto una tale riduzione. Questa riduzione era in realtà quello che la Troika e i governi spagnoli avevano in mente quando hanno imposto tali riforme (e uso il termine imposto perché queste riforme non esistevano nelle piattaforme elettorali dei partiti di governo, sia socialista sia conservatore).

Come nel caso delle riforme di Schröder, ex cancelliere della Germania (portate a modello per il resto della UE-15), lo scopo delle ultime riforme era di ridurre il potere dei sindacati e di tagliare i salari, obiettivi entrambi percepiti come essenziali per accrescere la competitività (un altro elemento della riforma è di assumere che gli alti stipendi sono la causa del presunto declino della competitività dell’economia spagnola, anche se i dati mostrano che i salari spagnoli sono tra i più bassi dell’UE-15).

Nonostante la produttività del lavoro andasse aumentando prima della crisi ad un tasso molto più elevato rispetto all’aumento dei salari, la Troika e il governo spagnolo hanno continuato ad insistere sul fatto che gli stipendi sono ancora troppo alti. La quota dei redditi da lavoro sul reddito nazionale è diminuita drammaticamente durante il periodo 2009-2013, raggiungendo la percentuale più bassa mai registrata (52%). Nel frattempo, il reddito degli strati sociali più ricchi è aumentato enormemente. Oggi, la Spagna ha una delle più grandi disuguaglianze nell’OCSE. Il 20% della popolazione con il più alto reddito (i super-ricchi, i ricchi, i benestanti, e le classi professionali) guadagnano sette volte di più del 20% con il reddito più basso (per lo più lavoratori non qualificati). In questo ultimo gruppo, per 2 milioni di famiglie non c’è nessuno che abbia un lavoro. E tra le persone occupate, quasi il 15% sono poveri, poiché il livello dei salari è così basso che non è sufficiente per farli uscire dalla povertà.

Ma dove il dramma appare con brutale intensità è tra i bambini. La povertà in questo gruppo (tre volte superiore alla media UE) sta aumentando rapidamente dal 2011, colpendone quasi il 30% (2.500.329 bambini vivono in famiglie in stato di povertà). Il numero totale dei bambini in Spagna è 8.362.305. La Spagna, che ha una delle spese familiari più basse nell’UE-15, ha visto una riduzione di questo parametro del 18%, in un momento in cui la necessità è estrema. Il 24% di questi bambini di famiglie povere non può mangiare frutta o verdura ogni giorno. Il 42% non può partecipare a eventi speciali fuori di casa, il 38% non può avere una dieta normale e così via.

La distruzione dello stato sociale

Un’altra componente del dogma è la convinzione che lo stato sociale sia cresciuto fuori controllo e stia rovinando l’economia. Ancora una volta, i dati mostrano che la Spagna ha una delle spese sociali pro-capite più basse nell’UE-15. Nonostante questa realtà, i governi hanno tagliato sempre di più queste spese. Nei servizi di assistenza sanitaria (la Spagna ha un servizio sanitario nazionale), c’è stato un taglio di 12.832 milioni di euro. Questo ha significato una riduzione del 18.21% della spesa sanitaria, con una perdita di 55.000 posti di lavoro dal 2009, cosa che ha rappresentato un attacco frontale alla sostenibilità del sistema sanitario nazionale spagnolo.

Una conseguenza di questi enormi tagli è stata una crescita molto importante delle assicurazioni sanitarie private, aprendo il servizio sanitario nazionale a tutti i tipi di assicurazione, hedge fund e capitale di rischio. Tutti costoro, così come le banche, hanno un’enorme influenza sul governo spagnolo. Uno dei principali tagli si è avuto in Catalogna, dove il ministro della sanità, che in passato è stato Presidente dell’Associazione degli Ospedali Privati e della Health Association Society, ora ha l’incarico di smantellare il sistema della sanità pubblica.

Quello a cui stiamo assistendo in Spagna è un sogno per tutte le forze conservatrici (grandi imprese e banche) che sono state le forze dominanti dello stato spagnolo. Esse stanno realizzando quello che hanno sempre voluto: una riduzione dei salari, una forza lavoro molto spaventata, sindacati deboli e lo smantellamento dello stato sociale. E lo stanno facendo con la scusa che non c’è alternativa. Dicono perfino che a loro non piace fare le riforme, ma devono farle perché le autorità europee li costringono a farlo. Non stupisce perciò che la popolarità dell’Europa sta diminuendo rapidamente. L’82% degli spagnoli dice che questa Europa non gli piace. L’Europa, che per molti anni (specialmente durante la dittatura) è stata vista come un sogno (cioè un modello di democrazia e di benessere), ora è diventata un incubo.

da Voci dall’estero