A proposito del sondaggio dell’Istituto Demopolis

Secondo l’ultimo sondaggio in materia, pubblicato su l’Espresso della scorsa settimana, il consenso all’euro è ormai in picchiata. Naturalmente, i rilevamenti demoscopici vanno sempre presi con prudenza, ma qualche indicazione in genere la danno, specie se i dati ricavati si muovono con decisione in una direzione univoca. E’ questo il caso di quello effettuato da Demopolis, che merita dunque qualche commento.

Con il titolo «Quelli che l’euro NO», l’Espresso presenta questo sondaggio all’interno di un articolo che mette in luce la crescita delle forze anti-euro nei vari paesi europei in vista delle elezioni del prossimo 25 maggio. L’articolo ovviamente non è innocente, e punta anche ad identificare l’ondata contro l’euro esclusivamente con le forze di destra che hanno assunto una posizione contro la moneta unica. Operazione disonesta, ma purtroppo assai semplice visto il balbettio delle formazioni di sinistra, spesso duramente critiche verso la politica di Bruxelles, quanto reticenti nei confronti del «sistema euro» che le detta.

Ma veniamo ai dati più significativi del sondaggio.

Figura 1

Nella figura 1 si nota una curva ascendente senza soluzione di continuità. Se nel 2008 (anno di inizio della crisi) solo un italiano su otto diceva sì all’uscita dall’euro, nel 2010 (anno dello scoppio della crisi del debito in Grecia) si saliva ad uno su sette, per aumentare ad uno su 5 nel 2012 (anno delle politiche austeritarie del governo Monti), fino ad arrivare all’attuale uno su tre del sondaggio. Una bella progressione, con l’impennata più forte proprio nell’ultimo biennio.

Ora si dirà che il 33% è tanto, ma è pur sempre una minoranza. Vero. Ma a parte il fatto che il trend anti-euro appare difficilmente arrestabile, c’è un altro grafico (vedi la figura 2) su cui riflettere per comprendere meglio cosa pensino davvero gli italiani. Il passaggio dalla lira all’euro viene infatti giudicato negativo dal 58% degli intervistati, contro il 37% che lo considera invece positivo.

Figura 2

Come mai il 58% di giudizi negativi sull’introduzione dell’euro si traduce “soltanto” in un 33% di favorevoli all’uscita dalla moneta unica? Le ragioni di questo scarto sono due. La prima risiede nella campagna terroristica sui presunti effetti dell’uscita, che l’Espresso si premura di rinfocolare con un’intervista al bocconiano Tabellini, che straparla addirittura di una svalutazione del 50%. Boom! La seconda – ancora più importante – sta invece nel fatto che nessuna forza politica credibile (ogni riferimento alla Lega o a Fratelli d’Italia non è per niente casuale) ha per ora assunto con la dovuta chiarezza una linea anti-euro.

Se il giudizio sulla moneta unica appare comunque pesante, sbaglierebbe chi si aspettasse un’opinione più tenera nei confronti dell’Unione Europea. La figura n° 3, sulla “fiducia nell’UE” ce lo chiarisce.

Figura 3

Evidentemente i cittadini italiani hanno le idee più precise di tanti economisti, che magari criticano la moneta, ma vorrebbero in qualche modo salvare il mostro (l’Unione) che l’ha partorita. Anche in questo caso siamo di fronte ad una curva univoca, con una picchiata della “fiducia” in corrispondenza degli ultimi anni di crisi.

Ora qualcuno potrebbe pensare che questa sfiducia sia generica, se non addirittura qualunquistica. A giudicare dalla figura n° 4 non sembrerebbe che le cose stiano in questo modo.

Figura 4

In questo caso la domanda posta da Demopolis è assai discutibile, visto che si parla pudicamente di “equilibri” piuttosto che di “interessi” finanziari, e tuttavia non è difficile capire dalle risposte che la maggioranza degli intervistati ritiene giustamente l’UE come una struttura a tutela del dominio delle oligarchie finanziarie.

Figura 5

Che gli euristi, almeno in termini di consenso, siano ormai in grande affanno, ci viene confermato dal grafico sopra (figura 5). Infatti al 33% di persone che si dicono contro l’euro si affianca un 55%, che si dice «Favorevole a restare nell’euro, ma con un netto cambio di rotta rispetto all’austerity». Quante probabilità ci sono che un simile cambio possa verificarsi? La risposta è piuttosto semplice: possono esserci piccoli aggiustamenti, ma nessun cambio netto. Le botte sui denti già prese a Bruxelles dal berluschino fiorentino già ci dicono qualcosa in proposito. Dunque, a rigor di logica, il contenitore del 55% di chi ancora tentenna andrà a svuotarsi per rafforzare sempre più la spinta anti-euro.  

Figura 6

Ma naturalmente i processi politici non avvengono mai in maniera così meccanicistica. E molto dipende dalla soggettività politica. In questo senso ci è molto utile la figura n° 6, che ci mostra le percentuali dei favorevoli all’uscita dalla moneta unica nell’elettorato dei maggiori partiti. Come si vede, e come era praticamente scontato, il vero partito dell’euro è il Pd, mentre le cose stanno assai diversamente a destra.

Una situazione preoccupante, se non fosse per il dato del M5S, il cui elettorato si è espresso per l’uscita con un buon 45%. E’ questo un dato per noi decisivo. Pur con tutti i suoi limiti, se in Italia non vi fosse il M5S lo sfondamento della destra sarebbe già in qualche modo avvenuto.

E’ un fatto che assegna al Movimento cinque stelle una responsabilità enorme. Perché solo assumendo sempre più chiaramente una posizione anti-euro – risolvendo dunque le oscillazioni del recente passato – il M5S potrà andare ad occupare con decisione, su posizioni democratiche e favorevoli al popolo lavoratore, l’enorme spazio politico che si sta aprendo, sbarrando così la strada al duo Salvini-Meloni, anti-euro sì, quanto liberisti e reazionari.

In questo senso, la recente intervista televisiva di Beppe Grillo fa ben sperare. Speriamo che non ci siano ulteriori contorsioni, e che si sia imboccata finalmente la strada giusta. Per noi, che siamo per un’uscita da sinistra dall’euro, un posizionamento più netto del M5S segnerebbe un passo avanti non da poco.