Sullo spirito che è emerso dalla “Consultazione di tutte le Parti per una Soluzione Politica” a Vienna

Un resoconto di Wilhelm Langthaler, co-promotore dell’incontro – PeaceinSyria.org

Ora che la “Consultazione di tutte le Parti per una Soluzione Politica in Siria” si è conclusa e tutti i partecipanti l’hanno riconosciuta come un successo che merita continuità, è giunto il momento di tirare un bilancio non solo della conferenza stessa, ma anche del suo più ampio significato. Il fatto stesso che circa due dozzine di persone, provenienti dai più diversi e conflittuali settori della società siriana, si sono riunite e consultate su come superare la guerra civile che sta dilaniando il paese è straordinario. Ma lo spirito che sta emergendo dai dibattiti va ben oltre questo singolo evento, dando la speranza che un  movimento per una soluzione politica stia guadagnando slancio.

Non potere di intermediazione ma cambiamento fra il popolo

Prima di tutto, ricordiamo l’obiettivo della “Consultazione di tutte le Parti per una Soluzione Politica”, che si è svolta a Vienna nel “Castello della Pace di Schlaining” a marzo. L’idea era quella di dar voce alla società siriana in tutta la sua diversità, voci provenienti dal popolo, messo a tacere ed escluso dai potenti. La consultazione non intendeva tenere negoziati fra le parti in conflitto e i loro sostenitori globali e regionali, dato che un tale tentativo è fallito a Ginevra. Un forum di consultazione di personalità non direttamente rappresentative delle parti coinvolte, ma rappresentative invece della ricchezza della società, è stato chiamato ad esplorare le vie per fermare il catastrofico spargimento di sangue.

Quindi non stavamo cercando una sofisticata e ben equilibrata formula di compromesso gradita alle potenze straniere coinvolte (cosa che potrebbe esser comunque necessario raggiungere in altre sedi), ma di dare risposte su come i pieni diritti delle persone potrebbero essere garantiti. Si ritiene che l’aspirazione a questi diritti abbia scatenato il conflitto e che sia anche la chiave per far cessare quella che si è trasformata in una guerra fratricida fra le componenti della società, guerra ulteriormente alimentata dal pesante coinvolgimento internazionale. Come Al Naser al Ghazali, uno dei membri siriani del comitato preparatorio proveniente da Daraa, ha detto nella sua introduzione: “I diritti democratici non sono negoziabili. Sono come la gravidanza che non può esser dimezzata: non accetteremo nulla di meno che pieni diritti.”

Tutto l’incontro è stato finalizzato a capire le rimostranze delle diverse parti sociali, politiche, culturali e religiose e a sviluppare la reciproca fiducia, necessaria per giungere ad un cessate il fuoco e mantenerlo. “Stiamo riflettendo sugli elementi di un nuovo contratto sociale”, come ha commentato Serbest Nabi, professore di filosofia curdo che insegna a Erbil e a Mardin.

Segni di reciproca accettazione

“Una volta, quando mi sono dovuto trasferire, ho regalato la mia biblioteca per uso da parte della comunità, dandola alla locale moschea. Così insieme al mio pio amico ho controllato i libri uno per uno per vedere se fossero adatti oppure no.” Questa allegoria è stata raccontata durante la consultazione dal regista siriano Nidal al Dibs di Sweida, ricordandoci una versione contemporanea della parabola dell’anello di Lessing, cui tocca essere un simbolo dell’illuminismo europeo.

Questo messaggio cauto, ma tanto potente, è stato compreso e fatto proprio da tutte le parti e può esemplificare lo spirito dell’evento. Anche se differenti, i settori laici ed islamici si incontrano per esplorare i loro punti di convergenza. Il laico prende in considerazione le esigenze del buon musulmano, anche se può essere in disaccordo. Il pio amico, che magari è stato partigiano dell’Islam politico, da parte sua accetta che ci siano posizioni, ambienti e culture riconosciute che non fanno parte del regno della moschea.

Questo principio costitutivo della Consultazione era stato già riconosciuto implicitamente dalla stessa composizione dei partecipanti. C’erano persone schierate con il governo o che lo considerano comunque il male minore, c’era quella che può esser chiamata opposizione morbida o dura all’interno del paese, c’erano personalità e organizzazioni islamiche, fra cui la Fratellanza Musulmana, c’erano personalità vicine alla coalizione e curdi di correnti diverse. Alcuni sono arrivati da zone controllate dal governo, altri da regioni sotto controllo dei ribelli, alcuni dal nord curdo e altri dall’estero. C’erano uomini e donne, vecchi e giovani, persone legate a tutti i gruppi confessionali come pure laici duri e puri, componenti del mosaico siriano. Erano presenti persone che svolgono professioni diverse: dai professori universitari agli operatori umanitari di base, dai medici e studenti agli scrittori e ai politici, molti dei quali ex prigionieri politici,  alcuni anche dopo esser stati per decenni dietro le sbarre.

La necessità di accettare e tollerare la diversificazione della società siriana è stata esplicitamente riconosciuta da tutti: è una precondizione decisiva per la fine della guerra civile.


Sulle minoranze, le maggioranze e i problemi con questi concetti

Alcuni appartenenti ai più piccoli gruppi religiosi hanno apertamente affrontato la loro paura dell’islamismo radicale e hanno insistito sul fatto che i loro diritti come minoranze debbono essere garantiti, come Otarde Haidar, uno studioso che insegna ad Oxford, con radici a Salamieh.

Monzer Halloum, un professore attivista di Latakia, ha avvertito comunque del pericolo del concetto stesso di minoranze, che oltre un certo punto potrebbe perfino rafforzare ancora di più le divisioni settarie. Egli ha detto: “La violenza e il settarismo non sono per noi, in quanto movimento democratico, un’opzione”, argomentando che essi sono il prodotto di un’escalation guidata dal regime e da alcuni gruppi ribelli. “Dovremmo stare attenti nell’associare la violenza nel suo complesso ai gruppi settari e, dunque, a compiere false generalizzazioni.” Anche Nawal al Yaziji, donna attivista di Damasco, come anche Tareq Aziziye, studioso di Homs, ha insistito sui diritti connessi al concetto di cittadinanza e non alle affiliazioni ai gruppi religiosi.

Samir Abulaban, membro dell’Ufficio Politico della Fratellanza Musulmana, ha approvato i diritti delle minoranze, con riferimento alla Dichiarazione di Damasco del 2005, e ha manifestato disponibilità al necessario dialogo, ammettendo anche che sono stati commessi degli errori.

Proveniente da Homs, una città molto mista, Samir Abulaban ha presentato la sua versione della parabola della tolleranza: quando l’ex Primo Ministro siriano Fares al Khoury, di famiglia cristiana, una volta apparve in pubblico senza cappello – all’epoca una grave violazione dei costumi – il Gran Mufti scelse di mettere il proprio cappello sul Primo Ministro, accettando di essere lui quello senza copricapo.

Il giro della metafora cambia se la si adatta alla reciproca questione: se queste minoranze a loro volta rispetterebbero la volontà della maggioranza. In questa fase la discussione non è potuta proseguire e ovviamente bisogna approfondire questi argomenti.


Fermare la violenza muovendo verso una transizione democratica

L’accordo forte e generale è stato sulla urgente necessità di metter fine alla violenza. Nidal al Debs è giunto perfino a dire che ora in Siria ci sono solo due partiti:”O contro la guerra o con la guerra”. Fateh Jamous di Latakia, che è stato a lungo prigioniero politico, proveniente dal Partito d’Azione Comunista e attualmente uno dei dirigenti della Coalizione per il Cambiamento Pacifico, ha detto che il partito per la pace sta crescendo. Ma come raggiungere la pace, una volta che sia raggiunto una accordo generale di reciproca accettazione? Come preparare politicamente la via per un cessate il fuoco duraturo?

C’è stato un consenso implicito sul fatto che la soddisfazione delle originarie istanze democratiche di liberazione dei prigionieri politici e ora anche degli ostaggi (da ambo le parti), di libertà politica e di organizzazione, e il consentire il necessario soccorso umanitario, faciliteranno la fine della violenza. Cioè qualcosa che potrebbe esser chiamato transizione democratica.

Abdulmanem Harah, operatore del soccorso di Aleppo, ha detto che le componenti della sollevazione sarebbero pronte ad alzare bandiera bianca se l’altra parte facesse lo stesso. “Ma tocca al chirurgo concludere la sua operazione.”

Aziziye ha invitato l’Islam politico moderato a fare una ferma dichiarazione contro il terrorismo, parola problematica dato che viene impiegata da entrambe le parti, tenendo anche conto dell’uso improprio imposto da Washington. Ayman Kahef di Hama, editore dell’influente sito di notizie economiche syriandays.com, ha detto più arditamente:”Come possiamo accordare un cessate il fuoco all’Isis e a Nusra? Come possiamo evitare che continuino?”

A questo punto Vangelis Pissias, professore greco organizzatore della flottiglia per Gaza, è intervenuto a nome dell’Iniziativa. Obiettivo generale degli organizzatori non era quello di condizionare i siriani al di là dei principi generali – sì alla democrazia, no all’intervento straniero – ma di offrire una cornice in cui i siriani discutano liberamente fra loro. Il che non esclude comunque il dialogo e lo scambio con il movimento di solidarietà internazionale, altro importante obiettivo dell’evento. “Noi crediamo che le forze pronte ad una soluzione politica da ambo i lati debbano essere incoraggiate e rafforzate”, isolando così gradualmente gli estremisti. In tal modo si può costruire un blocco socio-politico che sia in grado di arrivare ad un durevole cessate il fuoco, privando le forze settarie violente di ambo i lati della loro base di sostegno popolare. Tanto più le sottostanti istanze democratiche possono essere realizzate, tanto meglio questo progetto politico si affermerà.


Il dramma dei rifugiati

Dato che il numero dei siriani che abbandonano le loro case sta rapidamente raggiungendo 10 milioni, quasi metà della popolazione, l’aiuto umanitario diviene fondamentale. Molti hanno criticato la gestione o addirittura l’uso improprio del problema dei rifugiati ad opera di tutte le parti in conflitto, compresi  i loro donatori stranieri, per i rispettivi fini politici.

Arif Dalila, ex Preside della Facoltà di Economia dell’Università di Damasco, ha commentato che l’apertura delle frontiere per i siriani che cercano rifugio all’estero non sarebbe una soluzione, perché prosciuga il paese delle sue risorse umane. Monzer Halloum ha insistito sul fatto che le rimanenti zone sicure del paese debbono essere preservate ed ampliate. Nawal al Yaziji ha sottolineato “Molte persone di Aleppo e Damasco sono fuggite verso le aree costiere, a prescindere dal loro ambiente religioso”, fornendo la prova che ci sono controtendenze al settarismo.

L’idea emergente è stata che la lotta per soddisfare gli immediati bisogni dei rifugiati debba venire trasformata in una leva per un cessate il fuoco e per una soluzione politica, permettendo davvero al soccorso di raggiungere la gente.

Convenzione nazionale per la pace

Tutti i partecipanti hanno espresso la loro ferma convinzione che questa positiva esperienza vada ripetuta in un palcoscenico molto più grande, il migliore è Damasco. Questa è stata la proposta di molti, fra cui Habib Issa, un dirigente dell’opposizione interna riconosciuta in ambienti diversi, che si è rivolto alla Consultazione per lettera, poiché non gli è stato permesso di lasciare il paese. Infatti quasi la metà degli invitati  che avevano già accettato non hanno potuto partecipare,  perché gli è stata negata l’uscita, non hanno avuto l’autorizzazione oppure non hanno avuto il coraggio di venire.

Arif Dalila, il prigioniero politico più longevo della primavera di Damasco, ha fatto appello per una conferenza nazionale di pace con la partecipazione di tutte le parti. Un incontro del genere dovrebbe svolgersi preferibilmente nel paese, ma ciò richiede forti garanzie da parte del governo, ha affermato Dalila. “La società civile ha una grande responsabilità, ma per ora non ha alcun potere dato che è stata messa a tacere.” Egli ha ricordato Abdelaziz al Khayyer, un pacifico leader dell’opposizione che fu sequestrato nel 2012 quando aveva voluto partecipare ad una conferenza per la riconciliazione, destinata a diventare l’ultimo incontro pubblico dell’opposizione interna. Dalila ha esortato il movimento di solidarietà internazionale, la società civile e perfino le Nazioni Unite a fornire una protezione a questi sforzi,  in contrasto con le potenze mondiali e regionali, considerate da tutti i partecipanti come parte integrante del problema.

Questioni irrisolte

Mentre le deliberazioni riservate sono state contrassegnate dal descritto spirito di reciproca comprensione, le divergenze sono venute alla ribalta quando si è giunti ad affrontare pubblicamente le seguenti questioni:

In quale misura estendere la concessione di diritti al popolo curdo preservando l’unità della Siria? Un’ampia autonomia e il decentramento, come proposti da Xaled Issa, portavoce europeo del  Kurdish Democratic Union Party (PYD), sono rimasti controversi.
E’ possibile assicurare uguali diritti alle donne e i diritti civili in generale senza contraddire la Sharia, come ha chiesto Mohamad Alsayed, sceicco dei ribelli di Aleppo? Quale può essere il significato di uno stato che non è “né laico né islamico”?

Come promotori della Consultazione, abbiamo deliberatamente inteso porla come complementare ai negoziati o a qualsiasi altra iniziativa che coinvolga i massimi rappresentanti. Pertanto qualunque risultato in termini di organizzazione non dovrà investire la legittimazione delle parti in causa, materia ovviamente sensibile.

Mentre come organizzatori siamo convinti che la soluzione politica sia l’unica percorribile nell’interesse della stragrande maggioranza del popolo siriano, la formula consensuale emersa è stata “la soluzione politica è la migliore”. Dobbiamo riconoscere che entrambe le parti in guerra giustificano la loro azione militare (cosa in fin dei conti logica). Il passo positivo è che esse stanno seriamente considerando una soluzione politica e stanno tastando il terreno per le condizioni di un cessate il fuoco. La maggior parte dei partecipanti ha comunque ritenuto che sia suo dovere far pressione su tutte le parti, comprese le potenze straniere implicate, perché accettino e lavorino per una soluzione politica.

Considerazioni simili per le interferenze straniere, le sanzioni e l’intervento. Ognuno dichiara di difendere la sovranità del popolo siriano e di tener fuori gli interessi stranieri. Ma mentre le forze in posizione di terzietà definiscono questa come un’esigenza immediata e primordiale, precondizione per una soluzione, quelle più vicine alle parti in conflitto ritengono che l’espulsione delle forze straniere sia solo una opportunità per un cessate il fuoco.


Rete per la pace

Tutti hanno concordato di proseguire gli sforzi per una soluzione politica con il coinvolgimento della società civile con tutte le sue diversità. E’ comunque ovvio che ad un certo punto una soluzione può divenire praticabile solo con la presenza dei diretti rappresentanti. Questo passaggio non può venir escluso, ma va compiuto con cautela e gradualmente, e col tempo potrebbe essere affrontato in un altro più appropriato incontro.

Un risultato immediato è che i partecipanti, insieme all’Iniziativa, costruiranno una rete aperta a tutti i sostenitori di una soluzione politica, siriani o no. Inoltre si dovrebbe costituire un comitato con il compito di preparare il prossimo incontro.

La Casa della Pace (Beit al Salam), che è al tempo stesso un concetto politico astratto come pure un concreto spazio fisico, sarebbe la sede più appropriata per la succitata convenzione nazionale per la pace. La Beit al Salam è concepita come uno spazio all’interno del paese, preferibilmente a Damasco, dove un cessate il fuoco sia già in atto, in cui sia consentita la libera espressione politica e sia garantita la sicurezza per tutte le componenti della società civile.

Il movimento per la pace globale è chiamato ad agire al fianco delle Nazioni Unite come ombrello politico per questo processo di costruzione di una soluzione politica democratica.


Traduzione di Maria Grazia Ardizzone