Se neppure 529 condanne a morte fanno più notizia…
Gli occhi chiusi dell’occidente (e della sinistra) sulla repressione in Egitto

Dunque, 529 condanne a morte non fanno notizia. Specie se i condannati sono manifestanti islamici, ed i “giudici” sono solo gli esecutori della volontà politica di un governo amico. Ma amico di chi? Certamente dell’Arabia Saudita, che ha finanziato i militari golpisti che hanno deposto Morsi. E amico, naturalmente, degli Stati Uniti e di Israele.

Ma a considerarlo amico, il maresciallo al-Sisi, dev’essere evidentemente l’intero occidente: come spiegarsi altrimenti il sostanziale silenzio dei media occidentali? 529 persone sono state condannate a morte per le manifestazioni seguite alla repressione militare che il 14 agosto 2013 portò all’uccisione di almeno un migliaio di manifestanti da parte dell’esercito, gli accusati non hanno avuto la possibilità di difendersi, il processo è stato un’autentica farsa, nuove condanne si annunciano, mentre gli autori della strage di agosto sono tutti regolarmente impuniti. E nonostante tutto ciò il silenzio regna sovrano. A destra come a sinistra.

Anche qui nessuno stupore. Abbiamo già segnalato nei mesi scorsi come diversi ambienti della sinistra occidentale (leggi QUI), ma anche lo stesso Partito Comunista d’Egitto (leggi QUI), abbiano addirittura plaudito al golpe in nome di un’islamofobia inconfessata quanto manifesta. Ora, di fronte alle condanne a morte, si volge lo sguardo altrove. Dopo i militari ed i giudici “amici”, si aspetta ora che svolga il suo ruolo anche il boia “amico”?

Siamo di fronte ad un atteggiamento inqualificabile. L’enormità della condanna di 529 manifestanti, in buona parte sostenitori della Fratellanza Musulmana, è una mostruosità che non ha bisogno di troppi commenti: l’unica cosa da fare è mobilitarsi subito per l’annullamento di questa sentenza e per la fine del regime militare in Egitto.

Di seguito un articolo di Esam Al-Amin, scrittore e giornalista indipendente esperto del Medio Oriente e della politica estera statunitense. Un articolo, il suo, che si apre con il confronto statistico tra il processo di Norimberga (1945-1946) ed appunto quello consumatosi nei giorni scorsi ad al-Mynia.

Dati che dovrebbero far riflettere chiunque.


Confronto (in cifre) tra i processi di Norimberga e della “gloriosa” magistratura egiziana

di Esam Al-Amin

Siamo orgogliosi della gloriosa magistratura egiziana“, Maresciallo Abdelfatah Sisi, leader del colpo di stato militare in Egitto.

I PROCESSI DI NORIMBERGA (GERMANIA)

Accusa: guerra d’aggressione, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Numero di vittime dichiarate in giudizio dall’accusa:
almeno 40 milioni nella sola Europa.

Giudici (4): Un britannico, un americano, un francese e uno sovietico.

Durata del processo:
20 novembre 1945 – 1 ottobre 1946 (316 giorni).

Numero di udienze: 38 giorni pieni.

Numero di imputati: 23 (più di 200 dirigenti nazisti furono poi processati a Norimberga).

Numero di imputati condannati:
20.

Numero di imputati condannati a morte: 12.

******************

I PROCESSI DI MINYA (EGITTO)

Accusa: aggressione ad una stazione di polizia, uccisione di un agente di polizia, disordini e proteste di massa ad Al-Minya (circa 120 chilometri a sud del Cairo) dopo i massacri della moschea di Raba’a Al-Adawiya e di piazza Al-Nahda perpetrati al Cairo il 14 agosto 2013, in cui sono stati uccisi più di 1.000 manifestanti per il fuoco dei militari e degli agenti di sicurezza.

Numero di vittime dichiarate in giudizio dall’accusa:
1 (un poliziotto).

Giudici (3): presieduto dal giudice Said Yusef Sabri [Sabri è lo stesso giudice che ha assolto tutti gli ufficiali e gli agenti di polizia accusati di aver ucciso più di 20 manifestanti nella regione di Bani Swaif nell’Alto Egitto, durante i 18 giorni rivoluzionari che seguirono le proteste di massa del 25 gennaio 2011].

Durata del processo: 22-24 marzo 2014 (due giorni).

Numero di udienze: 2 (100 minuti totali) [La prima, tenutasi il 22 marzo e in cui sono state ufficialmente presentate le imputazioni, è durata 45 minuti. La seconda udienza, in cui sono stati condannati gli imputati, si è tenuta il 24 marzo ed è durata meno di un’ora].

Numero di persone accusate:
545.

Numero di imputati identificati come membri dei Fratelli musulmani: 122.

Numero di imputati non identificati come membri della Fratellanza musulmana: 423.

Numero di pagine sulle indagini di polizia consegnate dall’accusa e dal giudice agli avvocati difensori il primo giorno del processo, il 22 marzo: circa 14.000.

Numero di testimoni governativi sentiti dai giudici: 1 [un agente di polizia è stato l’unico testimone del governo ad offrire testimonianza al processo, ma non è stato consentito il suo contro interrogatorio].

Numero degli imputati presenti al processo:
128.

Numero di imputati chiamati a giudizio dal giudice che presiede il tribunale:
51 [i restanti 77 erano a giudizio con gli altri imputati in una gabbia, ma ancora non erano stati riconosciuti dal presidente del tribunale].

Numero di avvocati della difesa ammessi dal giudice-presidente del tribunale per tutti gli imputati:
meno di tre dozzine [la presenza di più avvocati non è stata permessa].

Numero di testimoni proposti dalle difese:
centinaia.

Numero di testimoni della difesa di cui il giudice-presidente del tribunale ha autorizzato la testimonianza: nessuno.

Numero di imputati condannati a morte: 529 [compresi tutti gli imputati presenti al processo].

Numero di imputati condannati a morte individuati dagli avvocati difensori, che erano già morti prima delle proteste di agosto:
almeno 3.

Numero di imputati condannati a morte identificati dagli avvocati della difesa, che erano fuori dall’Egitto durante le proteste nel mese di agosto:
almeno 5.

Numero di imputati condannati a morte, ma identificati come minori dagli avvocati della difesa, durante le proteste nel mese di agosto (in Egitto è incostituzionale condannare a morte un minore): almeno 2.

Le reazioni alle condanne a morte

(Si notino la debole reazione o mancanza di condanna o di sdegno da parte di Stati uniti e Unione europea)

Ministero degli Affari Esteri d’Egitto:
Le condanne a morte sono “solo il primo grado del processo… Sono giunte solo dopo un attento studio del caso”.

Marie Harf
, uno dei portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati uniti, “Semplicemente non sembra possibile che si possa raggiungere un riesame delle prove e delle testimonianze che sia coerente con gli standard internazionali. E’ un rapporto importante [quello con l’Egitto]… quindi non vogliamo tagliare completamente le relazioni… “

Catherine Ashton, Alto rappresentante dell’UE per la Politica estera: “Mi ha molto preoccupato apprendere che la corte di Minya, nel sud dell’Egitto, ha condannato a morte 529 sostenitori dei Fratelli musulmani. Nonostante la gravità dei crimini di cui erano accusati, la pena di morte non può mai essere giustificata”.

Sarah Leah Whitson, Direttrice per il Medio Oriente di Human Rights Watch: “E’ terribile che un tribunale abbia condannato 529 persone a morte senza dare loro la minima possibilità di difendersi, anche nel mezzo di una profonda repressione politica portata avanti in Egitto. Il tribunale di Minya non ha rispettato il suo dovere fondamentale, che è quello di valutare la colpa individuale di ciascun imputato, violando i più elementari diritti ad un equo processo. Queste condanne a morte devono essere immediatamente annullate”.

Hasiba Hadj Sahraoui
, Vicedirettore del Programma per il Nord Africa e il Medio Oriente di Amnesty International: “Questo è il più grande blocco di condanne a morte simultanee in un unico processo che si sia visto negli ultimi anni, non solo in Egitto, ma in tutto il mondo. I tribunali egiziani hanno molta fretta di punire i sostenitori di Mohamed Mursi, ma ignorano le gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza. Mentre migliaia di sostenitori di Mursi marciscono in carcere, non si è svolta alcuna indagine adeguata sulla morte di centinaia di manifestanti. E c’è solo un funzionario di polizia condannato all’ergastolo per la morte di 37 detenuti”.

Sahraoui si riferisce all’omicidio intenzionale di 37 persone durante la detenzione, che lo scorso agosto avevano manifestato contro il colpo di stato. Furono arrestati dopo il massacro di Raba’a e lasciati ammanettati e incatenati per sei ore in un furgone della prigione dalla capienza di 20 persone e con una temperatura di 43º. Quando cominciarono a gridare in segno di protesta, i poliziotti li gasarono bruciandone poi i corpi. All’inizio di questo mese, undici agenti sono stati perseguiti per tali fatti e dieci di loro sono stati assolti o il loro giudizio è stato sospeso.

Nel frattempo, oggi si apre nella stessa corte di Minya, e con lo stesso giudice a presiedere il tribunale, un’altra sentenza di massa contro chi si oppone al colpo di stato, tra cui alti dirigenti dei Fratelli musulmani, con 683 imputati che devono rispondere di accuse simili.

Mentre il regime militare golpista mostra la sua forza e il suo disprezzo per qualsiasi nozione di giustizia o di diritti umani, il mondo guarda lontano. Per molti governi è il momento di tornare a negoziare come sempre con regimi autoritari. Il presidente Barack Obama premierà questa settimana il re Abdullah dell’Arabia Saudita con una visita di stato.

Sono lontani i tempi in cui Obama nel 2009 dichiarava al Cairo che “… la capacità di esprimersi liberamente e di avere voce in capitolo sulla forma di governo, la fiducia nello stato di diritto e nella giustizia uguale per tutti, in un governo che sia trasparente e che non derubi il popolo, la libertà di scegliere come vivere non sono ideali solo americani: sono diritti umani, ed è per questo che li sosterremo ovunque”. Considerata la timida risposta della sua amministrazione alle gravi violazioni dei diritti umani in Egitto e il suo aperto sostegno ai regimi autoritari come quelli di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che hanno finanziato il golpe militare in Egitto, le parole del presidente Obama ora suonano completamente vuote.

da resistenze.org
fonte counterpunch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare