Dalle colonne del Telegraph, Ambrose Evans-Pritchard fa il punto sulla situazione greca. Il ritorno sul mercato dei bond è uno specchietto per le allodole: la situazione del paese è drammatica, la Grecia è stata la vittima sacrificale sull’altare della moneta unica e avrebbe retto molto meglio all’urto della crisi se avesse potuto immediatamente sganciarsi dall’euro.
La vendita trionfante delle obbligazioni Greche a cinque anni a fondi internazionali (1/3) e investitori globali – metà dei quali con sede a Londra – ci dice molto sullo stato mentale ed emotivo degli investitori.
Ci dice invece molto poco sullo stato dell’economia greca o della società greca. Non è certamente la prova che la Grecia sia tranquillamente fuori dai guai. Ed è ancor meno una conferma delle politiche della Troika UE/FMI, un fallimento epico che verrà studiato nelle scuole negli anni a venire.
In genere, quando un paese emerge dal trauma di un regime di austerità del FMI ha almeno un livello tollerabile di debito e, se necessario, una moneta svalutata per rispristinare la sua competitività. Dure riforme accompagnate da un adeguato sollievo. Il paese viene posto su un percorso praticabile verso la ripresa.
Ma questo in Grecia non è avvenuto. Il debito pubblico è ancora al 178% del PIL, nonostante un default parziale verso i creditori privati intorno al 70% in termini effettivi e nonostante (o proprio a causa di) una serie di pacchetti di prestiti UE-FMI – i “prestiti per l’occupazione”, come vengono chiamati in Grecia. Questo livello rimane insostenibile per un paese senza una banca centrale sovrana e una propria moneta.
I mercati lo sanno. Si stanno accaparrando le obbligazioni greche con rendimenti del 4,75% perché siamo tornati alla frenesia pre-Lehman, quando compravano qualsiasi cosa, e questo è tutto quel che c’è rimasto. Essi scommettono che le autorità europee manterranno in piedi la Grecia per i prossimi 5 anni, allungando le scadenze dei prestiti e offrendo interessi all’osso. Scommettono anche sul fatto che la situazione politica greca non salterà in aria.
Themistoklis Fiotakis di Goldman Sachs dice che i vari trucchi utilizzati hanno ridotto i rendimenti degli interessi sul debito greco al 4-4,5% del PIL, allo stesso livello pre-crisi, quindi il livello teorico di debito è (al momento) irrilevante. Più dell’80% del debito greco sarà nelle mani della EU/BCE e di creditori ufficiali entro il 2016. Il rischio di default è “basso”.
Tutto vero, anche se il tasso sui bond greci a 10 anni ieri è balzato di 32 punti base, quindi i compratori di ieri devono già assorbire una certa perdita.
Che poi gli investitori abbiano davvero un’idea attendibile della politica greca – o meglio della politica europea – è un’altra questione. La coalizione di Antonis Samaras ha ormai un margine di un solo voto nel Parlamento greco. Il movimento radicale Syriza si rifiuta di sparire. Secondo gli ultimi sondaggi, è in testa. Il partito neo-fascista Alba Dorata è ancora a doppia cifra.
Se pensate che siamo nelle prime fasi di un ciclo di liquidità globale e di una nuova espansione, allora una ripresa della crescita può essere sufficiente a portare la Grecia e i paesi mediterranei fuori dalle secche. Una cosa è se si ritiene che la stretta monetaria G2 di Cina e Stati Uniti suggerisca che potremmo essere più vicini alla fine di un ciclo ormai lungo cinque anni, altra cosa se si concorda con la teoria di Larry Summers della “secular stagnation” – un altro modo per dire che il risparmio globale è troppo alto e i consumi troppo bassi, come negli anni trenta.
Il professor Charles Wyplosz dell’Università di Ginevra dice che i leader dell’UEM hanno semplicemente nascosto sotto il tappeto la crisi del debito sovrano. I rapporti di debito sono cresciuti mentre prende piede una dinamica deflazionistica. Gli attuali livelli di debito in Grecia, Italia e Portogallo sono una “ricetta per il disastro” quando la prossima crisi colpirà, ha detto.
I fondi internazionali che detengono il debito greco pensano di essere abbastanza svegli per prevedere un’eventuale tempesta in arrivo ed essere quindi in grado di scaricare in tempo le loro nuove obbligazioni sui sonnolenti fondi pensione (il mio e il vostro). Senza dubbio hanno ragione.
L’economia greca ha riguadagnato un po’ di competitività con il doloroso metodo della “svalutazione interna”, che è quello di rompere la resistenza dei lavoratori ai tagli salariali facendo aumentare la disoccupazione a livelli criminali.
Il FMI ha detto nel suo quarto “Review” dell’anno scorso che il disavanzo delle partite correnti è stato in gran parte eliminato grazie alla “compressione delle importazioni”, non con l’aumento delle esportazioni. C’è ancora un “disavanzo strutturale delle partite correnti a circa il 6% del PIL” che implica una sopravvalutazione della moneta di circa il 10%.
In altre parole, la Grecia potrà anche essere vicina al pareggio della bilancia commerciale oggi (anche se ha ancora un deficit di partite correnti), ma lo ha ottenuto dopo sei anni di depressione. Ci vuole un tasso di disoccupazione del 27,5%, e uno giovanile del 58,3% , per raggiungere questo obiettivo. La conseguenza è che il deficit esploderà nuovamente se mai la Grecia dovesse avere una vera ripresa.
L’economia ha toccato il fondo dopo una caduta del 26% del PIL. Ma come si può vedere da questo grafico del FMI, gli investimenti sono crollati, così come le importazioni di beni strumentali necessari per ricostruire l’industria sconvolta del paese:
Come si può vedere, la depressione e la deflazione del debito hanno avuto un impatto devastante sui debiti delle famiglie.
La Grecia è stata sacrificata per la causa dell’euro, come i 300 spartani, Tebani e Tespiani tagliati a pezzi alle Termopili per salvare l’alleanza greca.
All’inizio gli è stata negata la ristrutturazione del debito – che è quello che voleva gran parte del consiglio del FMI, secondo le minute trapelate dei verbali delle riunioni – perché questo avrebbe violato la santità dell’Unione monetaria.
Gli è stato imposto un insieme di politiche (con la collusione dei loro leader) che hanno violato le stesse regole di prestito del FMI e che non hanno un senso economico. Principalmente l’obiettivo era quello di guadagnar tempo perché l’Eurozona potesse approntare le difese da altre parti e scongiurare il contagio. (Anche questo è stato ammesso dal FMI). I cinici direbbero anche che hanno guadagnato tempo perché le banche del nord riuscissero ad svincolarsi con destrezza e a scaricare il loro carico tossico sui contribuenti dell’UEM.
Tutte le stime originarie sui costi dall’austerità erano nettamente sbagliate. Le autorità dell’UE hanno sottostimato il moltiplicatore fiscale di un’ordine di grandezza importante. Non era 0,5 come previsto, ma vicino a 2,0.
Hanno continuamente incolpato i greci di mancare gli obiettivi di deficit, quando la causa principale di queste violazioni era la stessa ferocia della stretta fiscale: bruciante, pro-ciclica e controproducente (imposta senza prevedere un anestetico di tipo monetario), che ha causato il crollo delle entrate fiscali.
Hanno accusato le autorità greche di non riuscire a privatizzare abbastanza velocemente quando era in realtà impossibile vendere qualunque cosa mentre il mercato di asset e proprietà era in pieno crollo, soprattutto in un momento in cui i politici in Olanda, Finlandia, Austria e Germania parlavano apertamente di espellere la Grecia dall’euro, aggiungendo quindi il rischio valutario a tutto il resto.
Penso che la Grecia avrebbe recuperato molto più rapidamente, con meno danni economici e senza rovinare la metà di una generazione, se avesse lasciato l’euro immediatamente e adottato un classico pacchetto di misure del FMI. Ma non è possibile provarlo. Non lo sapremo mai.
Sarebbe un miracolo se la saga squallida e crudele non lasciasse un sapore molto amaro nella bocca del popolo greco, o se si concludesse alle condizioni politiche imposte dal blocco creditore UME nei prossimi cinque anni.
La Grecia è sopravvissuta al suo calvario senza rivoluzioni o guerre civili. Se questo è sufficiente a considerarla una rivincita della strategia europea per la crisi del debito e per l’intero progetto europeo, ci si accontenta proprio di poco.