A proposito del decalogo degli altreuristi

E’ già un po’ che non ci occupiamo degli altreuristi. Quelli che vorrebbero l’estate senza l’afa, la rosa senza spine, l’uovo senza colesterolo. E fin qui non ci sarebbe niente di male. Il fatto è che non si fermano a questo. Vorrebbero anche un’Europa che non c’è. E fino a lì ci arriviamo. Anzi, siamo proprio d’accordo. Apparteniamo infatti a quella specie di irriducibili che non si arrende all’orrido presente e che vorrebbe perfino un Mondo che non c’è.

Ma guarda un po’ che estremisti che siamo! Perché fermarsi all’Europa, forse che i popoli degli altri continenti sono inferiori? E, peggio, perché fermarsi all’UE (che di questo si parla), senza occuparci di russi, georgiani, norvegesi, islandesi e macedoni? A Strasburgo abbiamo già una venticinquina di lingue, perché non arrivare a trenta?

Ora qualcuno griderà alla provocazione. Che ci spieghino il perché. Se la sovranità nazionale è il male assoluto, perché attestarsi sull’Europa, o meglio sull’UE? Se il campo di gioco è quello della globalizzazione, perché non andare oltre? Sembrano domande assurde, ma più assurda ci pare la pretesa di fissare arbitrariamente una sorta di taglia idonea a vivere nella mondializzazione. E – peggio, molto peggio – farla corrispondere esattamente alla dimensione assunta nel tempo dall’Europa di lorsignori, quella delle banche e della finanza, dei vincoli e dei diktat, dei sacrifici e della distruzione della democrazia, dei tecnocrati e dei burocrati. Insomma, quella denominata Unione Europea.

Questa loro fissazione, che li porta ed essere più europeisti degli europeisti d’antan, ha veramente stufato. E – senza offesa per nessuno – è anche abbastanza patetica. Li capiremmo se il cosiddetto “processo di integrazione” avesse davvero fatto dei passi avanti. Ma così non è. In decenni di Comunità economica prima, e di Unione Europea poi, si sono visti solo norme e trattati a tutela delle oligarchie, niente che potesse davvero avvicinare le popolazioni dei diversi paesi.

Poi, a coronare il tutto, è arrivato l’euro, il metallo di cui è fatta la gabbia che rinchiude i popoli dell’Europa mediterranea dentro un recinto di povertà, disoccupazione ed assenza di futuro. Ci sarà pure un motivo se le cose sono andate in questo modo. Stiamo parlando ormai di un dato storico, un percorso durato decenni. Ed ora, nel momento in cui i nodi di questa folle costruzione stanno venendo al pettine, dovremmo credere alla riformabilità di questo mostro edificato con tanta pazienza in 57 anni?

Ecco, mettiamola così: il problema è il realismo. Che è la base di ogni azione politica. Sia chiaro, niente abbiamo contro il bisogno dell’utopia. Anzi. Ma l’utopia è una forza della storia solo quando dialoga ed ha confidenza con il realismo. Questi due termini, che intrecciandosi muovono gli uomini e le donne in carne ed ossa, devono incontrarsi e parlarsi tra loro.

Viceversa – e questo è il caso degli altreuristi – si finisce per percorrere un tracciato circolare che li porta nelle braccia del padrone di casa. Sì, lui è orribile. I suoi uomini ancor di più. La sua casa è governata come peggio non si potrebbe. Nelle stanze periferiche dell’edificio vecchi e malati sono condannati a morte. Ha dei cani da guardia che incutono terrore. Inoltre è avaro oltre ogni limite, e non ammette discussioni sui modi di farsi pagare i debiti. Una vera casa degli orrori, ma è (per gli altreuristi) l’unica casa possibile.

Come uscire da questo paradosso? Semplice, immaginandosi di riformarla. Ora, in astratto tutto è riformabile, pure la CIA e la P2. Ma è così anche nella pratica, o meglio nella storia?

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Fermiamoci qui, che sparare sulla Croce Rossa è cosa che un po’ ci addolora. Andiamo però a vedere cosa hanno scritto i quattro generali senza truppa (dei sei originari, due – Andrea Camilleri e Paolo Flores D’Arcais – hanno abbandonato per tempo il vascello), che si sono messi alla guida – sembrerebbe su divina indicazione – della lista L’altra Europa con Tsipras.

I quattro – Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale – hanno pubblicato nei giorni scorsi un incredibile decalogo. Nel quale, con rara modestia, ogni punto inizia sempre con: «Siamo la sola forza alternativa perché…».

In passato alcuni di loro hanno scritto anche cose interessanti, ma nel cimentarsi con l’Europa mostrano un mix di superficialità ed alterigia che certo non gli fa onore. La loro proclamata «unicità» deriverebbe dal conservatorismo che unirebbe in qualche modo tutti gli altri concorrenti, per meglio dire tutte le altre liste. Curiosamente però, nell’elencarle, chiamano per nome solo la Lega ed il M5S. Anche Renzi viene etichettato come conservatore, ma non il Pd. Che sia un caso?

Ma passiamo oltre, andando subito al sodo. Leggiamo al punto 9:

«Siamo la sola forza alternativa a proposito dell’euro. Pur essendo critici radicali della sua gestione, e degli scarsi poteri di una Banca centrale cui viene proibito di essere prestatrice di ultima istanza, siamo contrari all’uscita dall’euro e non la riteniamo indolore. Uscire dall’euro è pericoloso economicamente (aumento del debito, dell’inflazione, dei costi delle importazioni, della povertà), e non restituirebbe ai paesi il governo della moneta, ma ci renderebbe più che mai dipendenti da mercati incontrollati, dalla potenza Usa o dal marco tedesco. Soprattutto segnerebbe una ricaduta nei nazionalismi autarchici, e in sovranità fasulle. Noi siamo per un’Europa politica e democratica che faccia argine ai mercati, alla potenza Usa, e alle nostre stesse tentazioni nazionaliste e xenofobe. Una moneta “senza Stato” è un controsenso politico, prima che economico».

Dunque, l’euro non si tocca, che con i dogmi non si scherza. Uscirne causerebbe povertà, rimanervi invece… Ma produrrebbe perfino «aumento del debito», quando tutti sanno che è vero esattamente il contrario.

Oh bella, non restituirebbe neppure il governo della moneta! Il perché non si dice, ma lo si lascia sottintendere: perché saremmo troppo piccoli. Ora, Svezia, Repubblica Ceca, Polonia sono ben più piccole dell’Italia – che, nonostante il disastro di questi anni dell’euro, rimane peraltro la seconda potenza industriale d’Europa – eppure con la loro piccola moneta nazionale hanno retto assai meglio alla crisi dei paesi eurizzati. Chissà perché.

Ma ai «professori» cosa gliene frega, mica si abbassano a guardare in faccia la realtà! Loro temono i «nazionalismi autarchici», che naturalmente vengono da Marte, mica dalle imposizioni autoritarie targate Bruxelles e Francoforte. E temono le «sovranità fasulle». Il perché le sovranità nazionali sarebbero fasulle, mentre solo quella europea potrebbe essere reale non ce lo spiegano. Forse perché è un po’ complicato.

Ora, su questo punto ci sia consentito un breve giro per il mondo. Perché di certi provincialismi sulla cosiddetta «italietta», cui corrisponderebbe una debolissima «liretta», proprio non se ne può più. Certo, si è più o meno sovrani in virtù di molteplici fattori. Tra di essi contano i fattori culturali, storici e soprattutto politici. Ma siccome quel che si lascia intendere è che l’Italia sarebbe comunque troppo piccola per fare da sola, proponiamo un quiz ai professori: prescindendo da considerazioni prettamente politiche, considerereste paesi non sovrani la Corea del Sud, il Sudafrica, l’Australia ed il Canada?

Probabilmente sareste un po’ in difficoltà. O forse provereste a sostenere una tesi così ardita, ma sta di fatto che tutti questi diversissimi paesi, scelti volutamente negli altri 4 continenti, si tengono ben stretta la propria moneta nazionale. Ora consideriamo due parametri, quello demografico e quello economico, per vedere la differenza di questi paesi rispetto all’Italia. Corea del Sud: abitanti 50 milioni, Pil 868 miliardi di euro; Sudafrica: abitanti 50 milioni, Pil 295 miliardi; Australia: abitanti 22 milioni, Pil 1.185 miliardi; Canada: abitanti 33 milioni, Pil 1.400 miliardi. Italia? Abitanti 60 milioni, Pil 1.560 miliardi.

Ora, premesso che sovrani del tutto non si potrà mai essere, vista la complessità delle relazioni politiche, economiche ed umane, perché negare all’Italia quel che è nella disponibilità dei paesi citati, demograficamente ed economicamente più piccoli del nostro? Con tutto ciò, ovviamente, non vogliamo certo togliere la sovranità ai popoli ed alle nazioni ancora più piccole, vogliamo solo sbugiardare le tesi di questi presuntuosi a corto di argomenti.

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Potremmo chiudere qui questo articolo, perché quel che c’era da dire sulla sostanza è stato detto. Ma nel decalogo ci sono altri punti troppo piccanti per essere tralasciati.

Dopo aver detto ogni male possibile sull’uscita dall’euro, la lunga citazione del punto 9 si concludeva con questa affermazione: «Una moneta “senza Stato” è un controsenso politico, prima che economico». Giusto. E allora? Allora, come gli ultimi giapponesi nella giungla di una guerra ormai persa, ecco cosa scrivono al punto 2: «Siamo la sola forza alternativa perché crediamo che solo un’Europa federale sia la via aurea, nella globalizzazione».

Che dire? Qui tutti i torti non ce l’hanno. Non sono i soli a parlare di Europa federale, ma che siano rimasti gli unici a crederci davvero in effetti è possibile. Auguri.

Ma i nostri sono inarrestabili. Ecco come proseguono il punto precedente: «Se l’edificheremo (l’Europa federale, ndr), Grecia o Italia diverranno simili a quello che è la California per gli Usa. Nessuno parlerebbe di uscita della California dal dollaro: le strutture federali e un comune bilancio tengono gli Stati insieme e non colpevolizzano i più deboli».

I futuri greco-californiani ringraziano. Era un po’ che non andavano al cinema, e non sempre Hollywood ci impesta di pellicole così edificanti.

Se l’Europa è il bene, i «nazionalismi» sono naturalmente il male. Così inizia il punto 3: «Siamo la sola forza alternativa perché non pensiamo che prioritaria ed esclusiva sia la difesa dell’”interesse nazionale”». Ecco, qui che siano gli «unici» è un po’ dubbio. Dopo anni di governi asserviti all’Europa, con un parlamento che ha votato il fiscal compact quasi all’unanimità, tutti questi difensori degli interessi nazionali non li vediamo proprio.

E ancora, al punto 10: «Siamo la sola forza alternativa perché la nostra è l’Europa della Resistenza: contro il ritorno dei nazionalismi». Domandina semplice semplice: ma non sarà che certi nazionalismi aggressivi risorgono proprio perché è la costruzione oligarchica e tecnocratica dell’Unione Europea a produrli? Forse fino a qui anche i quattro sarebbero d’accordo. Facciamo allora una domanda più precisa: non sarà che le forze di destra si vanno rafforzando proprio perché la sinistra, quasi al completo, bistratta la questione nazionale?

Deridere gli «interessi nazionali» come un ferrovecchio del passato non fa a pugni con una sobria analisi del presente dell’Europa? Non c’è una questione nazionale in Grecia, in Italia, in Spagna, in Portogallo? In maniera solo apparentemente paradossale, la questione nazionale, che è parte decisiva della stessa questione di classe, viene negata sia dalle oligarchie dominanti (per loro natura transnazionali) che dalla sinistra che si vorrebbe alternativa. Si riproduce in questo modo il percorso circolare, di cui abbiamo già parlato, che riconduce inevitabilmente gli altreuristi nel cortile del padrone di casa.

Certo, ognuno è libero di rendersi subalterno come crede. Ma non deve pretendere di darcela a bere. Ora, nella Lista Tsipras ci sono certamente bravi compagni ed ottime persone. Ci sono infine preziosi militanti che non vogliamo certo disprezzare. E nel programma ci sono ovviamente anche cose buone, come la lotta al Fiscal compact.

Il problema, però, è la prospettiva politica. E qui i casi sono due: o, com’è estremamente probabile, la lista non raggiunge il 4%, ed energie potenzialmente preziose se ne saranno andate ancora una volta verso il nulla; oppure, ipotesi meno probabile, il 4% verrà raggiunto, aprendo uno scenario anche peggiore del primo. In quel caso, infatti, la vittoria verrebbe intascata da un lato dai quattro di cui ci siamo fin qui occupati – nulla di personale ovviamente, ma come abbiamo visto è la loro impostazione politica ad essere particolarmente perniciosa -, dall’altro da un certo Nichi Vendola, il capo di una corrente esterna del Pd che non nasconde i suoi obiettivi.

A questo proposito troviamo assai buffo che i quattro, in fondo al loro scritto, abbiano sentito il bisogno di precisare che: «al Parlamento europeo saremo con Tsipras, non con i socialisti che già pensano a Grandi Intese con i conservatori dello status quo». Ora, che una lista «con Tsipras» voglia stare a Strasburgo con Tsipras non dovrebbe essere una notizia. Sennonché, il governatore pugliese – che della Lista Tsipras è uno degli azionisti di riferimento – ha già annunciato con chi andranno eventualmente (molto eventualmente per la verità) a sedere i suoi: andrebbero con il Pse, insieme agli amici piddini.

Che dire? Beh, ci costa ammetterlo, ma in questo caso l’amico dei Riva è il più coerente. Se, come si ricava dal decalogo di cui ci siamo occupati, la questione è «o Europa o morte», il posto di combattimento più logico è quello indicato da Vendola. A dispetto del sincero impegno per la costruzione di un’alternativa all’Europa oligarchica profuso da qualche migliaio di militanti. Si stancheranno mai costoro di lavorare per il Re di Prussia?