Seconda maxi-condanna nel laico Egitto del generale al-Sisi, il golpista applaudito dall’occidente e da buona parte della “sinistra”

Nella foto la protesta di un dimostrante davanti al tribunale di Minya

Ad un mese dalla prima maxi-condanna contro i manifestanti islamici (non tutti della Fratellanza), ieri è arrivata la seconda. Con un’udienza durata cinque minuti, tutti i 683 (seicentoottantatre) imputati sono stati condannati a morte. Tra di loro figura la guida spirituale della Fratellanza Musulmana, Mohammad Badie. Nella prima sentenza i condannati alla pena capitale erano stati 529. Ora, quasi a volersi dimostrare magnanimi,  per 492 di questi i giudici hanno commutato la pena nell’ergastolo, confermando invece la condanna a morte per gli altri 37.

Ma di cosa erano imputati i condannati sia del primo che del secondo processo? Secondo l’accusa essi sarebbero stati responsabili della morte di 1 poliziotto (uno), negli incidenti seguiti alle proteste per il golpe militare che aveva portato alla destituzione del presidente Morsi. Proteste, si badi bene, represse nel sangue dall’esercito, con un bilancio superiore ai 1.000 (mille) morti.

Già in questi numeri è scritta la mostruosità delle due sentenze. Evidentemente il governo non si sente tanto sicuro di avere davvero in pugno il paese ed ha scelto deliberatamente il terrore. Nelle carceri egiziane sono rinchiusi 16.000 prigionieri politici, tutti definiti “terroristi”. In maggioranza si tratta di militanti islamici, ma non solo.

In carcere – con l’accusa di “spionaggio” e “distorsione dell’immagine dell’Egitto” (sic!) si trovano anche tre esponenti del movimento laico e vagamente socialdemocratico “6 aprile”, che ebbe tanta importanza nella mobilitazione, soprattutto giovanile, che portò alle giornate di piazza Tahrir e che sfociarono nella cacciata del despota Mubarak.

Eravamo nel febbraio 2011, ma sembra passato mezzo secolo. I militari, che allora erano stati costretti a scaricare il loro uomo, sono di nuovo al potere. E lo esercitano in maniera ancora più brutale e sanguinaria del vecchio rais. La Fratellanza Musulmana è stata messa fuorilegge, e dichiarata “organizzazione terroristica”, le sue sedi sono state chiuse, tutti i suoi beni sequestrati.

Intanto, sullo scacchiere internazionale, il regime militare è sempre più un caposaldo degli interessi sauditi ed israeliani. I primi sono stati i veri sostenitori del golpe dell’estate 2013, tassello decisivo della loro strategia tesa ad indebolire la Fratellanza Musulmana; i secondi incassano la netta svolta anti-palestinese impressa da al-Sisi, di cui l’inasprimento totale dell’assedio di Gaza sul lato sud è la dimostrazione più evidente. Come premio per questo posizionamento l’Egitto avrà a breve i 10 elicotteri da guerra Apache, che Obama aveva fatto finta di congelare.

Così com’era avvenuto il mese scorso, anche questa volta l’occidente tace. I difensori dei diritti umani pure. Il grosso della sinistra idem.

In tanti, lo scorso anno, videro il golpe come il male minore, essendo quello maggiore ai loro occhi il governo della Fratellanza Musulmana. Neppure quest’ultima mostruosa sentenza sembra scuotere più di tanto la sinistra. Eppure, sempre nella giornata di ieri, mentre a Minya venivano pronunciate le condanne a morte, al Cairo un altro tribunale dichiarava fuorilegge il “movimento 6 aprile”.

Nessuna opposizione è consentita nell’Egitto dei militari. Ed è in queste condizioni che il 26 e 27 marzo eleggerà il nuovo presidente. Elezioni farsa che hanno già un vincitore annunciato nella persona del dittatore di fatto Abdelfattah al-Sisi.

A quando una mobilitazione internazionale contro il criminale regime che si è insediato al Cairo?