Per il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni dell’Ucraina orientale

Oggi si è votato nel Donbass. Esattamente negli oblast’ (regioni) di Donetsk e Lugansk. Si tratta delle zone insorte contro il governo di estrema destra salito al potere a Kiev. E’ il secondo referendum, dopo quello svoltosi in Crimea lo scorso 16 marzo, per ottenere l’indipendenza dall’Ucraina.

Le popolazioni dell’est non si sentono più tutelate  dallo stato ucraino. Al contrario, esse si sentono minacciate e discriminate dal nuovo potere, oppressore e totalmente irrispettoso dei diritti della popolazione russofona e non solo.

La partecipazione al voto sembra molto alta, come dimostrano le code ai seggi (vedi foto) e l’esito abbastanza scontato. Certo non si può dire che le operazioni elettorali si svolgano in un contesto tranquillo. E come potrebbe essere, dopo che l’esercito e le squadracce di Kiev hanno attaccato militarmente queste regioni? E’ passata solo una settimana dalla tremenda strage di Odessa, che la stampa occidentale ha subito cancellato dalle sue pagine. E solo ieri l’altro – anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista – le truppe di Kiev hanno ucciso 21 filorussi a Mariupol, importante città portuale dell’oblast’ di Donetsk.

Qualche giorno fa Putin aveva chiesto agli insorti del Donbass di rinunciare al referendum, ma il governo della Repubblica popolare di Donetsk, che guida la rivolta, ha deciso di andare avanti. Ed è molto probabile che stasera i risultati gli diano ragione. «Se Putin ci chiede questo, vuol dire che non ha capito in che condizioni vive la nostra gente e quali sofferenze deve sopportare», aveva risposto il leader degli insorti, Denis Pushlin.

Sulla mossa di Putin si è molto discusso, ed in occidente si è teso a presentarla come un furbesco gioco della parti. Una specie di commedia con la quale il presidente russo avrebbe voluto separare le sue scelte da quelle degli insorti, obbligando in tal modo Kiev ad aprire una trattativa con i rappresentanti della rivolta, cosa che il governo Yatsenyuk non vuol fare in nessun modo. Per lui sono solo “terroristi” e così vanno trattati.

Al di là della discussione sulla tattica di Putin, quel che si vuol negare in occidente è la realtà della sollevazione popolare nelle regioni orientali dell’Ucraina. Gli insorti del Donbass non sono marionette in mano al Cremlino. La loro mobilitazione è una forma di resistenza. Il fatto è che non possono accettare di restare in un paese governato da forze che ne mettono in discussione diritti fondamentali come il bilinguismo.

Probabilmente la maggioranza della popolazione di queste regioni preferirebbe una soluzione basata su una maggiore autonomia, all’interno di un’Ucraina federale e rispettosa dei diritti di ogni componente. Ma è proprio questa soluzione che il governo di Kiev respinge sdegnosamente. E, d’altra parte, finché al potere ci saranno le forze ultra-nazionaliste quando non apertamente naziste che hanno preso in mano il cosiddetto “movimento Maidan”, non c’è nessuna possibilità di pacificazione nazionale.

Non solo. Da ormai 10 giorni la parola è passata alle armi, ed il diritto all’autodeterminazione per gli abitanti delle regioni orientali viene negato non solo da Kiev, ma pure dai suoi sostenitori a Washington e Bruxelles. La cosiddetta “Alta rappresentante” dell’UE, la signora Ashton ha detto che «il referendum non è stato autorizzato» e «non ha alcuna legittimità democratica», concludendo che «i referendum non dovrebbero tenersi né l’11 maggio né mai».

Inutile soffermarsi sull’arroganza e la presunzione di queste frasi, dato che esse si commentano da sole. E’ proprio questo atteggiamento, la totale chiusura ad ogni ipotesi federale, che ha portato l’Ucraina sull’orlo della guerra civile e le sue regioni orientali ad un passo dalla secessione.

A differenza di quello svoltosi in Crimea, il referendum del Donbass non chiede l’annessione alla Russia. Ma è probabile che la totale chiusura ed ostilità, che l’occidente oppone al semplice esercizio del diritto all’autodeterminazione, finisca per spingere proprio in quella direzione.

La popolazione del Donbass esercita oggi proprio quel diritto inalienabile, che è poi il modo concreto per sfuggire ad un futuro di oppressione. La “democratica” Europa, ed i suoi “democraticissimi” intellettuali, stanno invece dall’altra parte. Quella di chi non esita a sparare sul proprio stesso popolo. Ma non ci avevano detto che l’UE era se non altro un presidio di pace e di democrazia?