Ci vorrà tempo per svolgere un’analisi non grossolana delle elezioni del 25 maggio. Lo faremo, come siamo abituati a fare, quando disporremo di tutti i dati. Solo allora si potranno decodificare i segni che stanno dietro allo sfondamento del Pd di Matteo Renzi e al flop di M5S di Beppe Grillo.
Come c’era da aspettarsi, un simile responso delle urne, sta facendo esultare le classi dominanti e, in particolare, l’aristocrazia finanziaria.
Il Sole 24 ore per descrivere il clima euforico che regna a Piazza Affari, fa parlare i pescecani. Lo squalo n.1 esordisce:
«È il risultato migliore che si potesse ottenere per i mercati finanziari, l’Italia è stato l’unico Paese a esprimere un voto europeista fra i fondatori e, contemporaneamente, ha ottenuto dopo anni un risultato di stabilità politica».
Lo squalo n.2 precisa:
«L’euforia è giustificata dal fatto che il risultato italiano era una delle maggiori incognite, c’era il rischio di un’affermazione di Grillo in un Paese come l’Italia che pesa così tanto in Europa e questo aveva generato prese di beneficio notevoli sia sui Btp sia sulla Borsa italiana».
Lorsignori esultano, prima ancora che per la larga vittoria di Renzi, per la cocente debacle del Movimento 5 Stelle, considerato dai dominanti, al netto di tutti i suoi limiti, “la forza anti-sistema”. Essi sanno infatti meglio di noi che le bugie del piazzista fiorentino hanno le gambe corte, che non passerà molto tempo prima che le sue promesse sfracellino e il suo governo traballi, li conforta che il nemico pubblico numero uno non sia più alle soglie del potere.
Per la ragione specularmente opposta la parte viva e dinamica del popolo italiano, quella che la decomposizione del sistema ha spinto all’indignazione e alla protesta, dovendo ingoiare l’amaro boccone della sconfitta di M5S, è addolorata e triste.
Come siamo stati vicini a questa Italia della sofferenza e della rabbia nel momento in cui ha alzato la testa e ha cercato un canale per erompere, gli siamo accanto ora nell’ora dello sconforto. Con nessun altro ci sentiamo di condividere niente.
Non ce lo nascondiamo, quella dei 5 Stelle è anche una nostra sconfitta. Ma siamo stati battuti in battaglia, sostenendo a viso aperto chi solo poteva seminare il panico nel fronte nemico. Doppiamente sconfitti escono tuttavia coloro che si erano illusi che queste elezioni nulla contassero, che sono restati alla finestra non andando alle urne — peggio ancora è andata a quelli che hanno scelto di fare da reggicoda al berlusconismo in decomposizione.
Non abbiamo da spacciare consolanti messaggi di “mezza vittoria”, né possiamo cantare demagogici inni di riscossa. L’incrollabile ottimismo della volontà deve fare spazio al pessimismo dell’intelligenza, ovvero alla ragione analitica. Non ci sarebbe nulla di peggio che nascondersi la portata della sconfitta o, peggio, imprecare contro il “popolo bue”. Lo Stato maggiore che ha condotto l’esercito alla mezza disfatta è tenuto a dare spiegazioni. Noi diamo le nostre. Tre su tutte.
(1) L’anno scorso M5S poté diventare un fiume in piena perché seppe ricevere i mille rivoli di una eterogenea protesta sociale, tra cui quella morale contro la putrefatta “casta” politica di regime. E’ stato un errore gravissimo quello di non avere cambiato musica, il non avere compreso che non era su quel terreno che si poteva battere “Renzi il rottamatore”.
Come tutto il continente ha dimostrato, queste elezioni chiamavano in causa l’Unione europea, la moneta unica e quale doveva essere l’alternativa. M5S ha pagato a caro prezzo la sua ambiguità, il generico pressapochismo delle sue proposte, il suo dire e non dire.
Invece di strimpellare lo spartito “doroteo” di una “Europa migliore”, M5S avrebbe dovuto indicare con nettezza che solo l’uscita dalla gabbia dell’euro può far risorgere il Paese, riconsegnandogli democrazia e sovranità. Solo così non si sarebbero persi i voti di chi ha già capito che bisogna uscire dall’euro (verso l’astensione o verso la Lega e Fratelli d’Italia); né si sarebbero ceduti alla lista “Un’altra Europa con Tsipras” e soprattutto a Renzi, che del “cambiamo verso all’Europa” ha fatto il suo principale slogan elettorale.
(2) Lo Stato Maggiore di M5S, ha continuato a fare sermoni soporiferi sulla sacralità del rito elettorale, ha insistito nella sua pudica strategia legalitaria, si è dato ad una vera e propria idolatria delle procedure democratiche e della Costituzione. A maggior ragione si sarebbe dovuto chiamare alla rottura dell’euro-dittatura. Invece niente!
Ma come si fa a sostenere che sulla decisiva questione dell’euro decideranno gli elettori con un referendum, evitando poi di dire se M5S sia per l’uscita o meno? I cittadini, tanto più su temi tanto complicati e dirimenti, vogliono risposte chiare, non sentirsi ponziopilatescamente affermare che “decideranno loro”. Meglio non parlare, viste le deboli (è dire poco) candidature stellate alle europee, delle illusioni sulla “democrazia diretta” e sulle fantomatiche qualità della rete.
Non solo un metodo, ma il casaleggio-pensiero sulla “democrazia liquida” sono andati a sbattere contro il muro della solida realtà.
L’idea che da questo marasma si esce solo con una sollevazione popolare (idea che sta diventando senso comune) è stata respinta da M5S come un tabù. Placare, invece di stimolare, la spinta alla rivolta sociale, non paga una forza che dice di voler mandare “tutti a casa”.
(3) Infine M5S paga il suo settarismo autoreferenziale, la irresponsabile presunzione di autosufficienza, per cui “vinciamo noi”, che sta a dire: “bastiamo a noi stessi, non abbiamo bisogno di aiuto da parte di nessuno, non ci fidiamo di nessuno”. E’ finita l’illusione di una marcia rettilinea e trionfante a suon di voti. Questa roba qui non porta da nessuna parte se non all’irrilevanza. Non si conquista il potere (poiché di questo si tratta) se non essendo capaci di forgiare un blocco sociale e politico altrettanto forte e articolato di quello dominante, che abbia un baricentro della massima potenza politica.
Si aprirà questa riflessione in seno a M5S? Sarà in grado il suo Stato Maggiore di coinvolgere in una discussione aperta le sue migliaia di militanti? O li chiuderà nel recinto plastificato e asfittico della rete? Saprà riconoscere M5S i nemici dagli amici ed aprirsi all’ascolto di questi ultimi? Staremo a vedere.
Ci rapporteremo con modestia e rispetto al travaglio interno a M5S, ma andando per la nostra strada. Teniamo conto dell’umore delle masse, sapendo tuttavia che esso, più che mai in questa fase magmatica, è volubile, e può rovesciarsi nel suo contrario. La rassegnazione fa presto a lasciare il posto alla ribellione. Non sullo stato d’animo delle masse si deve anzitutto basare la linea politica e la prassi dei rivoluzionari, bensì sui fattori oggettivi. La crisi sistemica resta, e si aggraverà. Da essa non se ne esce coi pannicelli caldi della meteora Renzi, ma solo con terapie radicali. O la sollevazione democratica e popolare o la controrivoluzione liberista dispiegata.
da sollevAzione