Adesso c’è già chi parla di “nuova Dc” e di un “altro ventennio”. Secondo molti gli italiani, come se lo avessero scritto nel loro Dna, avrebbero trovato il moderno “uomo del destino”. Si tratta, a mio modesto parere, di solenni sciocchezze. Sciocchezze che non è difficile confutare, senza per questo sottovalutare le gravi conseguenze immediate dell’indiscutibile vittoria del berluschino fiorentino.
Nel breve periodo Renzi potrà affondare con facilità i suoi colpi, accelerando ancor di più sulla legge elettorale, le controriforme costituzionali, le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro. Un bottino non da poco, che spiega l’entusiastico sostegno di tutti i principali centri del potere economico e finanziario.
Era questa la vera posta in gioco delle elezioni del 25 maggio in Italia, ed era principalmente per questa consapevolezza che ci siamo pronunciati per il voto al M5S. Non va dunque sottaciuta la portata della sconfitta subita: sconfitta politica con gravi conseguenze per la democrazia, che verrà pagata sul piano sociale dalle classi popolari.
Ma da questo a parlare di regime ce ne corre. Il consenso ottenuto da Renzi è tutt’altro che solido e verrà ben presto messo alla prova. Al pari di Monti e Letta, il segretario del Pd dovrà fare i conti con i vincoli europei, che si incaricheranno di spazzare via tutte le illusioni diffuse a piene mani in questi mesi.
Perché Renzi ha vinto?
Molti hanno già provato a dare una risposta a questo quesito. Io penso che abbia vinto per due motivi: perché ha indovinato i tempi, perché ha trasmesso due messaggi falsi ma efficaci.
I tempi sono stati importanti. La storia della “luna di miele” di cui godono normalmente i governi nei primi mesi di vita è assai stucchevole, ma non infondata. Avevamo già segnalato questo pericolo nel febbraio scorso, all’atto della pugnalata portata con determinazione ad Enrico Letta. Una mossa pressoché obbligata proprio per presentarsi alla scadenza elettorale con un’immagine completamente nuova.
Attenzione! Questa esigenza non era solo di Renzi e del Pd. Essa era condivisa dal blocco dominante, in Italia ed in Europa, perché questo era l’unico modo per evitare una debacle del governo e dell’UE. Da qui il pieno sostegno di Bruxelles, dei potentati economici, dei media al gran completo.
Questa mossa si è rivelata vincente perché abbinata ai due messaggi di cui abbiamo già detto. Il primo, veicolato attraverso i famosi 80 euro, è che “l’austerità starebbe finendo”. Messaggio falso come più non si potrebbe, messaggio del tutto contraddetto dal contenuto del DEF (Documento di economia e finanza), e tuttavia efficace perché ha consentito a Renzi di presentarsi con il volto della “speranza” anziché con quello (Monti, Letta) dei sacrifici.
Il secondo messaggio è stato per certi versi ancora più forte. Volete la fine della casta, volete una nuova classe politica? Bene, chi più di me, il rottamatore, merita il consenso? Ora, noi sappiamo benissimo che la nuova classe politica che sta emergendo attorno a Renzi è perfino peggiore della precedente, e soprattutto sappiamo benissimo che questo cambiamento è funzionale alla conservazione del potere e dei privilegi della vera Casta dominante, ma non è semplice andarlo a spiegare al famoso uomo della strada.
Questo secondo messaggio aveva anche l’obiettivo di recuperare una parte del voto andato al M5S nel 2013, ed ha funzionato. A dimostrazione di quanto sia pericoloso concentrarsi sulle persone, piuttosto che sul sistema di cui la “casta politica” è parte.
Tutto ciò ci spiega la cosiddetta “anomalia italiana”, il fatto cioè che, a differenza degli altri paesi maggiormente colpiti dalla crisi europea, gli italiani abbiano rafforzato anziché indebolito il proprio governo nazionale. Una anomalia che deriva proprio dall’essersi presentato come il “nuovo”, un “nuovo” che si vorrebbe in discontinuità con i governi precedenti, un “nuovo” appena insediatosi e come tale meritevole di fiducia.
Un consenso fragile
Se queste sono le ragioni del successo ottenuto da Renzi, vediamo ora quelle per cui il consenso raccolto è in realtà più fragile di quanto appaia. In primo luogo, si tratta fondamentalmente di un consenso personale più che al Pd. In secondo luogo, siamo di fronte ad un consenso meno grande di quel che sembra. In terzo luogo la crescita del Pd avviene in buona parte a spese degli alleati di governo, il che in un sistema che si vorrebbe bipolare può essere alla lunga un bel problema.
Che oggi il consenso si strutturi attorno al leader piuttosto che al partito non deve certo sorprendere. E’ questo uno dei frutti più velenosi della personalizzazione della politica prodotta dai meccanismi del maggioritario. Ma quel che qui ci interessa è la maggiore instabilità di questo tipo di consenso rispetto a quello delle forze organizzate. E che questo scarto esista è dimostrato dalle maggiori difficoltà incontrate dal Pd alle comunali. Difficoltà simboleggiate dai risultati di due vecchie roccaforti come Livorno e Modena, dove il Pd è stato costretto al ballottaggio. Quel che è certo è che così come il consenso personalizzato può esplodere più facilmente, altrettanto rapidamente esso può svanire.
Secondo punto: è così grande il consenso raccolto? E’ stato già messo in evidenza come, in valori assoluti, i voti raccolti dal Pd siano stati meno di quelli incassati da Veltroni nelle elezioni politiche (peraltro perse) del 2008. Ma volendo restare alle percentuali, che dire del quasi 50% dell’Unione che portò alla vittoria di Prodi nel 2006? Certo, si dirà, in quel caso si trattava di una coalizione e non di un singolo partito. Giusto, ma senza coalizioni anche Renzi non potrebbe restare in sella. A meno che si creda ad una riedizione del progetto bipartitista. Progetto ben visibile dietro la super-truffa della nuova legge elettorale, ma che in Italia è sempre miseramente fallito.
Arriviamo così al terzo punto. Il Pd ha avuto un aumento percentuale che nessuno immaginava, ma in buona parte lo ha ottenuto a spese degli alleati. Consideriamo la coalizione di governo (Pd, Ncd, Scelta Civica) e ci accorgiamo che non arriva al 46%. Sinceramente più di quel che pensavamo, ma sempre ben al di sotto del 50%. Non solo, è assai probabile che in futuro Ncd torni alla vecchia alleanza con le forze di destra. Chiediamoci dunque cosa rimarrebbe del vecchio schieramento del centrosinistra. Anche in questo caso, sommando Pd, Lista Tsipras (almeno nella sua componente maggioritaria) e Verdi, non si arriva al 46%. Dunque il Pd a trazione renziana ha fatto sì un gran risultato, ma facendo terra bruciata attorno a sé, basti pensare all’annientamento dei resti dell’ambizioso progetto montiano.
Il nodo dell’Europa
Fin qui alcune delle ragioni della fragilità del consenso a Renzi. Ma queste sarebbero niente se non vi fosse il nodo dell’Europa. Alcuni credono che siamo arrivati ad un punto di svolta, che la Merkel di fronte ai risultati francesi e britannici dovrà pure mollare qualcosa. Penso che si tratti di un errore clamoroso. Certo, tutti vogliono far credere che è arrivato il momento del cambiamento, che crescita ed occupazione verranno messe al primo posto, ma all’orizzonte non c’è alcuna vera riforma né dell’UE né del mostruoso sistema dell’euro.
Si profila dunque una situazione nella quale viaggeranno in parallelo la perdurante crisi economica ed una crisi politica aggravata dai risultati elettorali di domenica scorsa. L’asse Parigi-Berlino non esiste più, e l’ipotesi dell’Europa federale, degli Stati Uniti d’Europa che piacciono a tanta parte della sinistra è ormai su un binario morto. E’ impensabile che la Francia possa accettare nuove cessioni di sovranità, per non parlare di un Cameron che a questo punto ben difficilmente potrà evitare il referendum in qualche modo già annunciato per il 2017. Questo mentre nell’Europa meridionale gli euristi hanno perso vistosamente terreno in Spagna ed in Grecia.
Più che una Germania indebolita, dalle elezioni è uscita un’Europa incasinata, incapace di esprimere una leadership davvero autorevole, come confermato dalle prime scaramucce attorno alla nomina della nuova Commissione Europea. Sosteniamo da tempo che l’UE è per sua natura irriformabile, ma anche se non la volessimo considerare tale è evidente che oggi non esistono comunque le condizioni politiche per una qualsiasi riforma.
Dunque di cosa stanno parlando? Stanno parlando solo di propaganda. E su questo concentreranno la loro azione nei prossimi mesi, a partire dal semestre europeo di Renzi, che nell’occasione venderà certamente più fumo del solito. Attenzione dunque a distinguere bene la propaganda dalla realtà. In ogni caso, al di là di tutto parleranno i fatti, un quadro economico senza veri miglioramenti, una disoccupazione ancora in crescita.
Del grande consenso di Renzi riparleremo dunque tra qualche mese… Allora sarà chiaro quanto sia resistibile la sua ascesa. Nel frattempo, però, sarà necessario che un progetto di alternativa (a lui e all’Europa) cominci a prendere forma. E’ questa la sfida decisiva non solo per noi. Anche il M5S dovrà porsi a questo livello. Il risultato di domenica, negativo ma non drammatico, dovrebbe facilitare una vera riflessione. I primi segnali in proposito non sono però incoraggianti, ma è presto per esprimere giudizi definitivi. In ogni caso approfondiremo il tema delle prospettive del M5S in un prossimo articolo.
Adesso torniamo a bomba, o meglio al “bomba”. La mia opinione è che il momento magico dello sbruffone di Palazzo Chigi non potrà durare a lungo. Beninteso, sottovalutarlo sarebbe un grave errore (e questo lo diciamo da sempre), ma non meno pericoloso è il pessimismo diffuso a piene mani da chi parla di un nuovo “ventennio”. Non abbiamo la sfera di cristallo, ma nessuna vera stabilizzazione è alle porte. Dunque, non cadiamo nella trappola e prepariamoci piuttosto ai grandi sconvolgimenti che molti segnali già ci annunciano.