Il regime settario di Maliki incita una risposta settaria

Il successo dell’ISIL è evidente. In meno di una settimana ha potuto conquistare metà del nord dell’Iraq quasi senza combattere. Ampie parti della popolazione sunnita considerano il governo sciita di Baghdad come nemico principale. In realtà è stata una coalizione sunnita a respingere il regime filo-iraniano, coalizione che in gran parte coincide con la resistenza irachena contro l’occupazione degli Stati Uniti di dieci anni fa. (in rosso le aree controllate dall’ISIL)

1. Non c’è solo l’ISIL

Mosul e Tikrit sono cadute senza lotta perché:  a)  l’esercito iracheno non era pronto a combattere;  b) perché la popolazione locale non ha opposto alcuna resistenza o ha addirittura sostenuto l’insurrezione. Diversamente non sarebbe stato possibile conquistare aree di territorio così vaste solo con alcune migliaia di combattenti privi di armamento pesante.

2. Vecchia resistenza e nuova rivolta popolare

Quali forze sono coinvolte? Accanto ai jihadisti  da una parte ci sono il vecchio esercito e il partito Baath. Izzat al Durri, l’ufficiale più alto in grado di Saddam, funge da simbolo. Egli guida l’ordine Naqshbandiya, scudo ideologico per colmare il divario tra nazionalismo arabo e islamismo. Dall’altra parte ci sono strutture tribali che hanno riguadagnato influenza in alcune regioni occidentali. Molto importante è lo sceicco Harith al Dari, presidente degli Ulema, che si è duramente opposto al regime sciita. All’interno del milieu sunnita ci sono pochissime persone che non sostengono la rivolta.

In una telefonata dello scorso 15 giugno Awni al Kalemji, il leader dell’Alleanza Patriottica Irachena (IPA), che ai tempi della resistenza irachena cercò di darle rappresentanza politica, ha chiamato gli eventi  “rivoluzione popolare”. “Certamente ci sono islamisti, ma sono solo una forza tra molte altre. Al centro si erge il vecchio esercito iracheno”.

3. La responsabilità di Maliki

A Maliki il potere era stato dato da Washington, affinchè domasse la resistenza irachena, in connivenza con Teheran. Egli ha edificato un sistema confessionale sciita. Ha anche liquidato il movimento Sahwa (Risveglio), promosso dagli Stati Uniti per  integrare una parte dei sunniti (tribù, milizie, élite sociali) nel nuovo regime o almeno tirarli fuori dalla resistenza. Le recenti proteste di questo stesso ambiente nelle città sunnite di Ramadi e Falluja sono state represse con bruta forza militare, ricreando così la coalizione fra loro e i jihadisti, che in gran parte hanno riconquistato questi luoghi già prima dell’avanzata a nord.

Le tensioni settarie non possono essere biasimate per una sola parte: entrambe hanno contribuito fortemente a guidare la spirale comunitarista, per non parlare poi degli Stati Uniti.

4. La divisione settaria e la fine del progetto Sykes – Picot

L’ISIL non sarà in grado di avanzare ulteriormente verso sud, in aree popolate da sciiti. Samarra, con il suo importante santuario sciita, rimarrà in prima linea. Al contrario, senza un massiccio sostegno estero, il regime sciita difficilmente potrà riconquistare i territori sunniti persi. Gli Stati Uniti, tuttavia, non avranno il coraggio di ripetere il loro fallimentare intervento. Solo l’Iran sarebbe in grado di farlo (magari con il supporto aereo di Washington). Ma questo susciterebbe la risposta dei regimi sunniti arabi, che sono già le basi dell’insurrezione siriana.

Nel contesto della guerra civile siriana e del consolidamento del potere curdo, i confini segnati dall’imperialismo europeo dopo la prima guerra mondiale sono di fatto annullati, anche se giuridicamente potrebbero rimanere invariati.

Baghdad e il Sud rimarranno sotto il controllo del regime sciita che gode di sufficiente sostegno popolare nelle sue circoscrizioni. Mentre il governo Maliki potrebbe cambiare presto, il sistema politico confessionale in quanto tale sembra essere più stabile.

E’ prevedibile che una continua mobilitazione settaria e uno scontro comporteranno stragi, rappresaglie e spostamenti, come accadde durante la guerra civile del 2006/2007. La lotta più importante sarà quella per il controllo della nevralgica capitale, Baghdad, dove sunniti e sciiti hanno vissuto separati l’uno dall’altro già fin dall’ultimo scontro confessionale.

5. La guerra civile interna ai sunniti

Come in Siria, l’ISIL cercherà, anche se non immediatamente, di far valere la sua esclusiva pretesa del  potere e la sua rigidità culturale. Ci si debbono aspettare lotte intestine pesanti. Nonostante il fatto che il sostegno al jihadismo sia cresciuto all’interno della popolazione, i jihadisti non sono strutturalmente in grado di costruire egemonia. E per la costruzione dello Stato mancano di sostegno internazionale. Il loro “alleato naturale”, la Turchia, non vuole cambiare le frontiere e favorire così rivendicazioni curde; l’AKP non ha il coraggio di confrontarsi con gli Stati Uniti, che temono un ulteriore consolidamento dell’ISIL.

6. L’impatto sulla Siria

La rivolta sunnita non solo evidenzia  il fallimento della strategia settaria di Maliki, ma dovrebbe anche essere letta come un ulteriore avvertimento da parte di Assad. Il suo regime celebra le vittorie militari contro i jihadisti che combattono tra di loro e perdono terreno anche fra i loro settori popolari. Il gruppo di Assad al potere crede di poter vincere con la sua linea dura dell’approccio militare confessionale. L’esempio iracheno dimostra allora che questo non funziona, anche se c’è voluto mezzo decennio perché questo venisse alla ribalta in modo così chiaro.

Gli eventi iracheni mostrano anche i limiti della strategia iraniana. Anche se pretendono di guidare l’”asse della resistenza” contro l’imperialismo, in realtà hanno costruito un asse sciita. Qua e là entrano in conflitto con l’Occidente. Ma in altri luoghi, come in Iraq, collaborano con l’imperialismo. In realtà il regime di Baghdad è stato sviluppato sulla base di un condominio iraniano-americano, nonostante il conflitto globale tra Washington e Teheran anche sulla Siria.


Traduzione di Maria Grazia Ardizzone