Renzi torna a casa con la coda tra le gambe

NO pannicelli caldi, NO mille giorni
Il vertice europeo nulla concede al governo italiano. Una stangata di 25 miliardi è in arrivo in autunno.

Scrivevo il 25 giugno, alle porte del Consiglio Europeo, del “fiato corto di Matteo Renzi“.
Ricordate? Titoloni a tutta pagina che davano per scontato che la Merkel sarebbe andata incontro a “Mister 40%”, che la Germania avrebbe permesso all’Italia di aggirare le stringenti clausole previste dai Trattati, ed in particolare quelle del Patto di Stabilità e crescita. [Il Patto di stabilità venne sottoscritto nel 1997 e precisava le condizioni stringenti inerenti alle politiche di bilancio che i singoli stati avrebbero dovuto rispettare per dotarsi dell’euro, condizioni già scolpite nel Trattato di Maastricht. Ndr].

Partito per il vertice con la sua proverbiale baldanza, Renzi se ne è invece tornato a casa con la coda tra le gambe. Egli non ha ottenuto dalla Merkel nessuna della quattro briciole che era andato ad elemosinare. Ricordiamole: (1) scorporare le spese per investimenti dal calcolo del deficit; (2) scorporare dallo stesso calcolo i pagamenti arretrati della pubblica amministrazione; (3) far slittare di un anno il pareggio di bilancio nel 2016, non nel 2015 come concordato in precedenza; infine, (4) ammorbidire la clausola del Fiscal Compact e ribadita dal Two Pack, che prevede la riduzione annuale automatica di un ventesimo dell’eccesso di debito, i famigerati 50 miliardi l’anno di tagli alla spesa pubblica.

Avevamo visto giusto, la Merkel non si è fatta incantare dal pifferaio fiorentino ed ha ribadito che le regole vanno rispettate (stabilità) e che se Roma vuole fare più spesa pubblica reperisca eventualmente queste risorse aumentando il “denominatore”, ovvero il Pil (crescita), oppure aumentando le tasse.

La cancelliera, dopo aver  ribadito con forza che il “Patto va applicato pienamente”, ha ricordato, a chi si fosse eventualmente scordato a chi spetta nell’Unione la sovranità sulle politiche di bilancio, un principio fondamentale: ovvero che «il principio di flessibilità non è verificato dai singoli Stati, ma è la Commissione europea che decide». La Merkel, fedele al precisionismo maniacale tedesco ha affermato testualmente:
«Per i paesi con un deficit inferiore al 3% del Pil la Commissione può già dire che, per certi progetti di riforma il cofinanziamento dei singoli Stati non verrà aggiunto al deficit. Per i paesi vicini al limite del 3% di disavanzo, come l’Italia, il potere discrezionale della Commissione aumenta».[Ivo Caizzi, Corriere della Sera del 28 giugno]

La Merkel “ha ragione”, è la Commissione europea infatti, l’organismo politico decisionale di ultima istanza, quello che, in base ai Trattati, ha l’ultima parola in merito alle politiche economiche e di bilancio. Lo tengano a mente non solo i piddini, ma tutti coloro che cianciano di “riformabilità dell’Unione” e che fanno spallucce quando diciamo che la sola speranza per evitare l’abisso è riconquistare la piena sovranità nazionale, tra cui quella monetaria.

Si capisce dunque perché, al di la delle chiacchiere italiane, la Merkel abbia ottenuto la vittoria piena al recente Consiglio europeo, ovvero aver messo un suo fedele mastino, Jean-Claude Juncker, a capo della Commissione. E Renzi che ha fatto? In barba a tutti i suoi proclami di “cambiare verso all’Europa”, lasciando soli inglesi e ungheresi, si è adeguato, senza fiatare, ostentando anzi un significativo servilismo verso la cancelliera.

Ma quali sono le conseguenze di questa sconfitta renziana? E’ presto detto: non potendo tra l’altro nemmeno far slittare il pareggio di bilancio di un anno il governo sarà obbligato a correre ai ripari. Ad ottobre il governo dovrà presentare alle Camere la Legge di Bilancio. Come far tornare i conti? Come coprire il buco degli 80 euro visto che il Pil 2014 si attesterà vicino allo zero invece che all’1% com’era stato strombazzato? Federico Fubini su la Repubblica di ieri — dopo averci ricordato che il debito pubblico è cresciuto in un anno di 77miliardi e che nel 2013 solo di interessi l’Italia ha pagato ben 82 miliardi— conferma le indiscrezioni che già circolavano: c’è solo un modo, con una manovra correttiva di circa 25 miliardi, 50mila miliardi di vecchie lire, più di un punto e mezzo di Pil.

Nuova maxi-stangata in arrivo dunque. Al netto (modesto) degli incassi delle svendite delle aziende pubbliche (cosiddette privatizzazioni) si dovranno o aumentare le tasse o ridurre drasticamente la spesa pubblica. Avremo un mix di entrambi, i cui effetti depressivi sul ciclo economico saranno pesanti, col risultato di distruggere altre forze produttive, di far chiudere altri migliaia di aziende, di aumentare disoccupazione e miseria.

Alle porte del Consiglio europeo concludevo:
«Non è con i pannicelli caldi degli “allentamenti dei patti” che l’Italia potrà uscire dal marasma. Ci vorranno misure radicali, tra cui l’abbandono della moneta unica e la disdetta dei Trattati, e poi grandi trasformazioni sociali. Senza il paese procederà sulla via del collasso e dovrà necessariamente passare per un periodo di eccezionali turbolenze sociali. Si illude, il Renzi, che in queste condizioni abbia mille giorni a disposizione».

Tenete a mente: non avremo nemmeno i pannicelli caldi e Renzi non avrà mille giorni.

da sollevAzione