– I numeri aggiornati della strage israeliana
– Gli obiettivi dello stato sionista
– I criminali (egiziani) del lato sud
– La Resistenza non si arrende

«Domenica di sangue», così l’hanno chiamata alcuni giornali stamattina. D’altronde, la fantasia dei titolisti non può essere di certo illimitata. E in effetti quella di ieri è stata la giornata più sanguinosa dall’inizio dell’attacco israeliano, avvenuto l’8 luglio. Ma non è che passata la domenica gli aggressori si siano fermati: secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza, aggiornati alle ore 13 di oggi, si contano già 37 vittime già identificate in questa giornata di lunedì.

Al termine della seconda settimana di bombardamenti, dal cielo, da terra e dal mare, Israele non sembra avere alcuna intenzione di fermarsi. Cerchiamo allora di fare il punto su alcuni aspetti della situazione.

I numeri aggiornati della strage israeliana
Che si tratti di un’autentica strage, con tutti i problemi umanitari connessi, lo si comprende dai dati che seguono. I morti tra i palestinesi di Gaza sono 508 (477 quelli identificati), 3.150 i feriti. Tra le vittime tantissimi donne e bambini. Dall’8 luglio fino a sabato scorso sono stati contati circa 6.500 raid israeliani, per l’esattezza 3.121 attacchi aerei, 1.545 navali, 1.923 di artiglieria. Gli sfollati sono 135mila, le case distrutte più di 2mila. Le perdite dell’agricoltura ammontano a 24 milioni di dollari.

Gli obiettivi dello stato sionista
Premesso che le pressioni internazionali affinché Israele ponga fine all’aggressione, da sempre normalmente assai fiacche ed ipocrite, sono questa volta perfino più deboli del solito, rimane la domanda sugli obiettivi del governo Netanyahu. La solita strage di palestinesi alla quale i sionisti non riescono proprio a rinunciare, o qualcosa di più?

Solo i fatti delle prossime settimane potranno dircelo. Ufficialmente lo scopo è la distruzione dei tunnel. Ma ovviamente c’è dell’altro. L’obiettivo politico resta quello della resa della Resistenza palestinese. Ma come conseguirlo? Un’ipotesi è quella dell’applicazione del modello West Bank anche nella Striscia di Gaza. In questo caso ottenendo lo scopo di frammentare il territorio palestinese non con nuove colonie, ma con una presenza permanente di truppe israeliane in diversi punti strategici della Striscia.

Come chiunque capisce, qualora questa ipotesi si avverasse le condizioni della popolazione di Gaza subirebbero un ulteriore e drammatico peggioramento.

I criminali (egiziani) del lato sud
Lo scrivemmo a caldo, giusto un anno fa, che uno degli effetti del golpe di al-Sisi in Egitto sarebbe stato l’inasprimento dell’assedio di Gaza. Lo scrivemmo contro tutti i sinistrati occidentali che festeggiavano irresponsabilmente la destituzione dell’islamico Morsi.

Oggi questa semplice verità dovrebbe essere chiara a tutti. L’Egitto di al-Sisi è attivo da tempo nella distruzione dei tunnel della speranza che collegano (o collegavano) Gaza con la penisola del Sinai. Tunnel da cui passano fondamentali generi di prima necessità per la popolazione assediata. Non solo: dal valico di Rafah possono uscire solo gli stranieri, non i palestinesi. In quanto ad entrare non se ne parla proprio, neppure per i convogli umanitari che vengono immancabilmente bloccati dall’esercito egiziano.

Inoltre, in questi giorni la zona di Rafah è intensamente presidiata dai militari di al-Sisi. Ma il massiccio utilizzo di droni e carri armati non va scambiato per una normale tutela del territorio nazionale a fronte dell’offensiva israeliana. No, questo schieramento è lì con ben altro scopo, quello di rendere ancora più impermeabile la gabbia che i sionisti hanno eretto attorno a Gaza. Bravi i sostenitori del “laico” al-Sisi!

La Resistenza non si arrende
Le formazioni della Resistenza palestinese a Gaza – Hamas, Jihad Islamica, Comitati di resistenza popolare, più altri gruppi jihadisti – non hanno alcuna intenzione di capitolare. Non potevano dunque che rifiutare la finta mediazione egiziana.

Certo, la sproporzione delle forze è quella che sappiamo. Tuttavia anche le perdite dell’esercito israeliano cominciano ad assumere una dimensione ben superiore rispetto a quelle del passato. Al momento le fonti israeliane ammettono la perdita di 18 soldati (30 secondo Hamas), mentre un soldato di Tel Aviv sarebbe stato fatto prigioniero dalla Resistenza.

Al di là di questi dati, ciò che conta è la tenuta politica delle formazioni della Resistenza, alle quali deve arrivare il sostegno di tutti quanti si riconoscono nella causa della lotta di liberazione del popolo palestinese. Un sostegno che porteremo in tutte le manifestazioni, piccole e grandi, in cui saremo presenti.