Mentre rispunta la fatidica cifra dei 400 miliardi da tagliare

A proposito di un’analisi sul debito pubblico uscita sul Corriere della Sera del 4 agosto

Ieri, una volta tanto, il Corriere della Sera ci ha reso un bel servigio. Ovviamente del tutto involontario, anzi del tutto teso ad un obiettivo diametralmente opposto ai nostri: accelerare la privatizzazione di quel che resta del patrimonio pubblico. Ma, dovendo dimostrare la necessità di un intervento shock, il Corsera ha dovuto scrivere alcune verità. Cosa piuttosto rara di questi tempi, cosa assai utile in generale. Anche perché siamo di quelli che continuano a pensare che «la verità è sempre rivoluzionaria».

In realtà il giornale fa riferimento ad uno studio di un non meglio precisato gruppo di lavoro, coordinato dall’ex presidente dell’Eni Roberto Poli. Non penso che quel team abbia dovuto lavorare molto, dato che assiemare i dati resi noti nell’articolo di ieri non è certo impresa titanica. Impresa utile, invece sì.

Quei dati sono utili per due motivi: primo perché resi evidenti al grande pubblico, secondo perché rimettono al centro il tema dell’insostenibilità del debito sovrano. Insostenibilità che può essere affrontata in tanti modi diversi, ma che deve essere chiara a chiunque voglia davvero ragionare sui grandi temi della crisi italiana.

I dati di Roberto Poli

Partiamo allora dai dati principali dell’ex presidente dell’Eni, che ha preso in considerazione i 4 maggiori paesi dell’eurozona (Germania, Francia, Italia, Spagna) a partire dal trattato di Maastricht (1992).

Negli ultimi vent’anni l’Italia è, di gran lunga, il paese che ha accumulato il più grande avanzo primario. Leggiamo: «Qual è il Paese tra i principali europei con il saldo migliore tra entrate e spese (al netto degli interessi) delle amministrazioni pubbliche negli ultimi 20 anni? L’Italia, e con molto distacco, considerando che ha cumulato 585 miliardi di euro del cosiddetto avanzo primario (con un 20 per cento riferibile alle privatizzazioni), contro gli 80 miliardi della Germania (dal 1995) e saldi negativi per Francia (-479 miliardi) e Spagna (-270 miliardi)».

Ma l’Italia è anche il paese che ha accresciuto di meno lo stock del debito
, dato che «negli ultimi 20 anni… è cresciuto in termini percentuali sul Pil di 28 punti in Italia, 38 in Germania, 53 in Francia e 48 in Spagna».

E, nonostante questo, è quello che ha speso e continua a spendere di più per gli interessi. Qui i dati sono impressionanti. Nel periodo considerato l’Italia ha speso per il pagamento degli interessi 1.650 miliardi di euro, più del Pil di un intero anno. Per contro, la Germania ha speso 1.058 miliardi, la Francia 870, la Spagna 386. Nel 2013 la spesa per interessi in rapporto al Pil è stata del 5,3% per l’Italia, del 2,2% per la Germania, del 2,3% per la Francia, del 3,4% per la Spagna.


Cosa ci dicono questi numeri?

Credo che questi numeri ci dicano fondamentalmente tre cose: 1) che in Italia le politiche austeritarie sono state portate all’estremo, con le conseguenze economiche che sono sotto gli occhi di tutti, come ci confermeranno anche i dati Istat previsti per domani; 2) che il debito pubblico ha raggiunto la soglia dell’insostenibilità; 3) che una sua forte decurtazione è una necessità impellente.

Naturalmente la questione del debito pubblico non è separabile da quella della sovranità monetaria. Lo studio di Poli ce lo conferma nel raffronto con il Giappone. Questo paese, con un debito pari al 224,6% del Pil, sopporta un peso degli interessi che è meno della metà (2,1%) di quello dell’Italia. A dimostrazione di cosa significhi la possibilità di monetizzare il debito con una appropriata politica della Banca centrale. Cose che sappiamo, e che tuttavia vanno sempre ricordate a chi non capisce la necessità della piena sovranità nazionale, che ovviamente include anche quella monetaria.

Tuttavia il problema del debito rimane. Ed è esattamente questo che una parte dei sovranisti si rifiuta di capire. Anche lasciando perdere le tesi di un Bagnai, per il quale basta lasciare che si arrivi (in quale modo non conta) all’uscita dall’euro e tutto andrà a posto da se, l’idea che il debito non sia un problema è piuttosto diffusa. Diffusa, ma sbagliata, e ci permettiamo di dirlo proprio in qualità di sovranisti convinti. Del resto, se così non fosse non si capirebbero le difficoltà con il proprio debito di stati particolarmente gelosi della propria sovranità, come ad esempio il Venezuela chavista.

Non a caso, tenere insieme gli obiettivi dell’uscita dall’euro, e quello di una forte decurtazione del debito, è uno degli elementi caratterizzanti del programma del Coordinamento della sinistra contro l’euro. D’altronde, chiunque voglia davvero indicare una strada credibile per l’uscita dalla crisi, non può non avere un capitolo dedicato alla questione della riduzione del debito. Ma se il suo abbattimento è una necessità, resta da vedere come verrà realizzato. In mezzo ci sono interessi enormi, nazionali ed internazionali, ma anche visioni opposte della società. E’ su questo che bisogna intervenire alla svelta. Il “Comitato No Debito”, di cui abbiamo fatto parte, aveva avuto il merito di porre come centrale la questione, ma poi si è arenato in un “nulla di fatto” piuttosto avvilente.


Le due alternative in campo: svendita del patrimonio pubblico o default controllato

Il disegno che va prendendo forma negli ambienti governativi è piuttosto evidente. Preso atto della necessità di misure straordinarie, ed avendo almeno per il momento abbandonato le ipotesi di maxi-patrimoniale, come quelle da 400 miliardi proposte a suo tempo da Profumo e Passera, il blocco dominante cerca di intraprendere un’altra strada, quella della (s)vendita di tutto quanto è (s)vendibile. Sempre però per un valore di 400 miliardi, che è evidentemente quel che si ritiene necessario quantomeno per attenuare l’emergenza.

E’ su questo progetto, già enunciato tempo fa da Delrio, che va a parare Poli. L’ex presidente dell’Eni, già amministratore in diverse aziende di Berlusconi, e soprattutto membro della Commissione Trilaterale, dice infatti che «bisogna convertire una parte significativa dello stock del debito pubblico in quote di un fondo del patrimonio pubblico immobiliare da valorizzare e rendere redditizio tramite una gestione professionale». Obiettivo: i soliti 400 miliardi.

Va detto che, visti i precedenti, si tratta di un obiettivo assai velleitario. Ma non per questo meno pericoloso. Anzi, molto probabilmente finirà per esserlo ancor di più proprio in virtù della sua difficile realizzazione. Il risultato potrebbe essere infatti quello di un’ulteriore svalorizzazione del patrimonio immobiliare, per la gioia dei pescecani già pronti ad approfittarne con tutta calma. Ma, soprattutto, siccome gli immobili di certo non basterebbero, al fondo potrebbero essere conferite cose assai più pregiate, come le quote di alcune grandi aziende che lo Stato possiede.

Questo progetto di mega-svendita ha una sola alternativa credibile, quella di un default controllato, del ripudio del debito, per essere più precisi di una sua quota consistente. Su come realizzare una simile operazione si può discutere, ma l’obiettivo deve essere chiaro. Chi scrive provò già tre anni fa ad entrare nei dettagli (leggi QUI), ma in ogni caso è più che sufficiente quanto scritto nel vademecum del Coordinamento della sinistra contro l’euro, laddove si afferma che: «Occorre una riduzione… che colpisca in particolar modo la finanza speculativa, salvaguardando il risparmio interno. Intanto si dovrebbe cominciare con il taglio del debito detenuto da banche e fondi di investimento stranieri, che ammonta a circa il 40% del totale».

La costruzione dell’alternativa qui delineata passa ovviamente dalla cacciata dell’attuale esecutivo. Solo un governo popolare d’emergenza, frutto di una vera sollevazione, potrà infatti produrre il cambio di rotta necessario. Ma intanto questa alternativa deve essere proposta, sostenuta, propagandata, messa in campo fin da adesso.

In conclusione, è giunta l’ora di riprendere in mano con forza la questione del debito. Viceversa ci sarà solo la proposta di lorsignori. Certo, ripudiare una parte significativa del debito vuol dire rompere con l’Unione Europea e con l’euro. E’ inevitabile che sia così. E’ giusto che sia così. Per i sovranisti questo dovrebbe essere un invito a nozze, per chiunque ha davvero a cuore gli interessi delle classi popolari pure. La lotta di classe oggi passa da questi snodi. Altrimenti la faranno solo (e la vinceranno) le stesse oligarchie che ci hanno portato fin qui. Questa volta gattopardescamente avvinghiate al cantore della rottamazione, che ha in realtà l’unico scopo di rottamare definitivamente la democrazia.