Ci sono contributi che sono come certe uova di Pasqua. Dopo l’ottimo cioccolato ti aspetti una bella sorpresa invece…

Lo scorso 25 agosto è comparso un denso articolo di Mimmo Porcaro dal titolo Come unirsi contro l’Unione?

Tre le questioni che il Nostro affronta: le alleanze, la dicotomia destra-sinistra, il partito. Su queste ci soffermiamo, segnalando la patacca finale.

DELLE ALLEANZE

Porcaro esordisce subito con una tesi con cui, com’è noto, concordiamo: per far uscire il Paese dalla gabbia dell’euro e dal regime di protettorato esterno occorre dare vita ad “una grande alleanza sociale e politica”.

Nel tentativo di uscire dall’astrattezza del concetto di “alleanza”, il Nostro  precisa che non si tratterebbe solo di “convergenza tattica”, visto che la scelta di uscire dall’euro chiama in causa lo stesso modello di sviluppo e di idea di paese. Porcaro non lo dice apertamente, quindi lo diciamo noi: dato il contesto l’auspicata alleanza delle forze sovraniste, antiliberiste e costituzionali, non potrebbe non porsi l’obbiettivo di diventare maggioritaria, dunque candidarsi apertamente alla guida del Paese.

Un’alleanza che punti a governare il Paese sarebbe quindi strategica? Porcaro evita di metterlo in chiaro ma lascia intendere che in effetti lo sarebbe. Né l’una né l’altra cosa diciamo noi, chiamiamola, per capirci, “alleanza di fase”.  Che un’alleanza sia tattica o strategica, che viva sui tempi brevi o quelli lunghi, dipende da numerosi fattori, tra cui: la dinamica dello scontro sociale, il mutamento dei rapporti di forza tra gli opposti schieramenti, i mutamenti all’interno di essi. In questo senso noi, stabilito quale sia il fronte nemico (il blocco eurista del vincolo esterno) diamo a questa alleanza il nome di Comitato di liberazione nazionale. I compiti del Cln possono essere riassunti in due capitoli: (1) battere il blocco eurista promuovendo una grande mobilitazione popolare (sollevazione); (2) formare un governo d’emergenza che applichi misure eccezionali per riconsegnare al Paese la sua piena sovranità.

Una volta compiuti questi due passaggi saremo già entrati in una fase nuova, quella del processo costituente per una nuova Repubblica, col che il Cln avrebbe esaurito le sue funzioni, e le diverse forze che lo componevano, espressione di diversi e opposti interessi sociali e di visioni del mondo, andranno inevitabilmente per la loro strada.  

A chi non si accontenta di formulazioni algebriche, a chi ci chiede quali cifre esattamente corrispondano a certi segni, rispondiamo che in quest’alleanza di fase ci dev’essere posto anche per le forze antiliberiste, di matrice borghese, liberali o cattoliche, a patto che siano democratiche e antifasciste.

DELLA DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA

Porcaro ci trova d’accordo quando, con acume, scrive:
«In sintesi, io penso che l’idea secondo cui tale distinzione è “superata” sia da respingere, che però la distinzione debba essere ripensata e che, infine, pur mantenendo la distinzione, non si possano affatto escludere convergenze tra una ridefinita sinistra, un centro ed una destra costituzionale. Che la distinzione destra/sinistra sia ormai superata è tesi da respingere perché è stata una della condizioni culturali del trionfo del neoliberismo. Dire che il dividersi tra destra e sinistra è ideologismo passatista significa dire che di fronte alla presunta modernità dei mercati finanziari non c’è alternativa… Tengo dunque ferma la distinzione fra destra e sinistra. Ma per farlo utilmente devo modificare il termine “sinistra”. Non posso dichiararmi sostenitore di una “sinistra senza aggettivi… Io penso quindi che la distinzione fondamentale, oggi, sia di nuovo ed ancora (visti gli esiti del capitalismo reale) quella tra comunisti e no. E più precisamente, siccome per me il comunismo può esistere realmente solo come combinazione di diversi modi di produzione, quindi come socialismo, dico che la distinzione significativa è quella tra socialisti e no. Non certo nel senso che chi non è socialista è necessariamente un nemico del popolo, una canaglia ecc. . Ma nel senso che le scelte fondamentali, oggi più di ieri, riguardano i rapporti sociali di produzione, i rapporti di proprietà, e quindi non (o non semplicemente) i diritti civili, le forme della democrazia o la stessa politica economica. La distinzione tra socialisti e no ridefinisce, per quanto mi riguarda, la distinzione fra destra e sinistra. La sinistra è tutto ciò che si avvicina ad una prospettiva socialista, la implica o comunque non la ostacola radicalmente. Il centro e la destra sono definiti dalla minore o maggiore distanza dall’ipotesi socialista».

A noi non resta che aggiungere che il discorso sulla fine della dicotomia destra-sinistra, anche quando si manifesta nella sua vanitosa forma filosofica, per quanto metafisico, è più prosaicamente figlio legittimo del presente storico, ovvero dalla vittoria del “pensiero unico” il quale si manifesta in due forme: nella pretesa che la storia sia finita, o che la lotta di classe sia solo un bubbone del deprecabile novecento.

La crisi sistemica ed epocale del capitalismo obbliga le civiltà, se non vogliono precipitare nella barbarie, a guardare oltre l’esistente, a porsi il problema dell’alternativa. In attesa di nuove e improbabili profezie, il socialismo, modernamente declinato, resta per noi la sola via d’uscita progressiva ragionevole. Di qui la nostra certezza che, la sinistra, certo in forme nuove, alimentata dalla lotta di classe e dalla imperitura aspirazione alla eguaglianza sociale, sia destinata a risorgere.

DEL PARTITO

All’inizio del suo articolo Porcaro ha esordito sostenendo che occorre:
«riunificare i diversi spezzoni del frammentato lavoro dipendente, e quindi  allearsi con quelle espressioni politiche delle classi di piccoli e medi capitalisti che “si pronunciano con durezza contro l’euro».
Ben detto!
Porcaro scrive quindi giustamente:
«Ma la condizione preliminare per un’alleanza seria è proprio il riconoscimento della specificità e dell’autonomia di tutti gli interessi in causa, quindi anche (e direi “soprattutto”, visto il clima culturale attuale) di quelli dei lavoratori dipendenti e subordinati. Nessuna alleanza è possibile se si presenta come illusoria cancellazione delle differenze di classe, piuttosto che come intelligente mediazione fra esse».

E precisa:
«… quando si parla della costruzione dell’unità tra la maggior parte dei cittadini italiani si parla in buona misura della riunificazione del lavoro dipendente, e quindi di un’operazione che non implica affatto l’attenuazione dell’autonomia culturale ed organizzativa dei lavoratori, ma il suo contrario». Noi vogliamo essere ancora più precisi: prima di tutto va fondato un partito che dia rappresentanza politica alla classe dei lavoratori salariati e subordinati, altrimenti, precisiamo noi, il popolo lavoratore sarà carne da macello nella lotta intestina tra frazioni del capitale. Ogni alleanza, infatti, ha una sua forza motrice, segue una direzione di marcia, quindi si dota di una direzione politica. Nel suo seno si svolge, e non può essere altrimenti, una lotta per l’egemonia, e chi la vince ne assume la guida. L’ala socialista rivoluzionaria dell’alleanza non dovrebbe andare al carro dell’ala destra, agirà affinché la forza motrice sia popolare e proletaria e sia dunque forza di direzione.

Fin qui quasi tutto bene. Non a caso, ci siamo detti, Mimmo Porcaro è stato tra i fondatori del Coordinamento della sinistra contro l’euro a cui abbiamo dato vita nel febbraio scorso.

Poi improvvisamente, proprio a chiusura dell’articolo, eccoti la spiacevole sorpresa . Sentiamo:
«Nulla vieta, nemmeno, di pensare che il soggetto politico di cui abbiamo disperatamente bisogno (quello capace di guidare il paese in un frangente così difficile verso un più dignitoso regime economico ed istituzionale) invece di nascere come unione di preesistenti soggetti organizzati di destra, centro o sinistra, debba presentarsi da subito come partito unitario democratico-costituzionale, fatto di persone di diversa cultura politica accomunate dalla scelta di ricollocare il paese nello spazio internazionale e di costruire rapporti sociali più coerenti con la Carta fondamentale. Ma tutto ciò è questione di valutazione concreta delle condizioni attuali, dei rapporti di forza, ecc. Quindi per ora mi fermo qui». [sottolineatura nostra]

Che guazzabuglio!
Ma come? prima si afferma che è necessaria l’autonomia politica del lavoro salariato; si precisa che questa non può che essere rappresentata politicamente da un soggetto politico socialista e anticapitalista; quindi si sostiene che tale indipendenza è la condizione per una larga alleanza sovranista; ma poi si avanza l’idea di un “partito unitario democratico-costituzionale”.

Di soppiatto quella che sopra era descritta come un’alleanza necessaria diventa, poche righe dopo, un partito. Non più un’alleanza di fase tra sinistre e destre democratiche, non un blocco necessariamente temporaneo tra anticapitalisti e capitalisti per battere il comune nemico dell’euro-dittatura, invece un vero e proprio sodalizio partitico.

Qui non siamo solo in presenza del Diavolo nascosto in un dettaglio, nemmeno soltanto di una plateale incongruenza, quanto di una bizzarra patacca ideologica. Ogni persona che sappia da dove veniamo, che sappia cosa sia un partito (ovvero un organismo che oltre ad un programma politico abbia una coerente visione della società e del mondo e radici storiche) sa che, portare a fusione  comunisti, liberali e cattolici non è solo una illusione, è una bestialità politica. Chi persegue questa chimera, si romperà la testa, non potrà che collezionare sconfitte e, quel che è peggio, far perdere tempo alle persone serie, rendendo quindi il processo di liberazione più accidentato.

Ora è forse chiaro perché Porcaro ha deciso di abbandonare il Coordinamento della sinistra contro l’euro. Ugo Boghetta l’ha spiegato a modo suo, s’è lasciato scappare che noi saremmo dei “settari” (sic!). E si spiega così perché certi nostalgici che vogliono riesumare la Democrazia cristiana hanno accolto con tanta benevolenza l’articolo di Mimmo Porcaro.