Opponiamoci alla nuova aggressione americana in Medio Oriente

Dopo i bombardamenti sull’Iraq, gli Stati Uniti ed una minuscola pattuglia di alleati hanno iniziato a bombardare le postazioni dell’Isis in Siria (foto). Si tratta di una nuova violazione del diritto internazionale, dell’ennesima esibizione di muscoli della superpotenza americana, del tentativo di riprendere il controllo del Medio Oriente, accreditandosi ancora una volta come i poliziotti del mondo.

Si dirà che in Siria ed in Iraq la guerra c’era già. Vero, ma come non rendersi conto del salto di qualità rappresentato dall’intervento statunitense? Eppure, anche se tutto ciò dovrebbe essere chiaro, i bombardamenti a stelle e strisce non fanno notizia come dovrebbero. Tace il mondo che fu pacifista, tace rigorosamente quel che resta della sinistra, anche quella che a parole si definisce antimperialista.

Certo, vi sono diverse ragioni che spiegano questo silenzio, ed è giusto analizzarle e confrontarsi con esse. Ma prima di farlo dobbiamo dire che questo silenzio è indecente.

La ragione fondamentale di tutto ciò sta in una visione occidentalo-centrica che accetta la descrizione dell’Isis come il male assoluto, e che rinunciando a capire come si sia arrivati alla situazione attuale finisce per accettare nei fatti la più becera propaganda islamofoba.

Sia chiaro: la concezione settaria, takfirista, dell’Isis – che vede negli sciiti il primo nemico da abbattere –  rappresenta la parte peggiore dell’Islam. Quella che rinuncia ad una prospettiva universalista e che spinge invece, e non solo in teoria, alla fitna, la guerra di religione dentro lo stesso Islam. E’ in tutta evidenza una concezione assai utile alla tradizionale politica imperialista del divide et impera.

Detto questo, bisogna porsi subito una domanda: è l’Isis un Male assoluto di fronte al quale ogni alleanza è lecita?  

Settanta anni fa i comunisti e le forze partigiane, che pure lottavano per un’alternativa al capitalismo, accettarono di buon grado l’alleanza con le principali forze imperialiste: la Gran Bretagna in fase discendente,  e soprattutto gli Stati Uniti in procinto di diventare la prima potenza mondiale in assoluto. Lo fecero per resistere al nazifascismo, non solo perché aveva attaccato l’Urss ed invaso buona parte dell’Europa, ma per il modello sociale e per l’ideologia di cui era portatore.

Bene, andiamo subito al punto: possiamo paragonare – ovviamente mutatis mutandis – l’Isis al nazismo? Questa domanda è decisiva, perché solo un sì potrebbe giustificare il silenzio attuale. Ma, nel caso, questo sì andrebbe innanzitutto dichiarato e poi motivato.

Di tutto ciò non vi è traccia, segno di qualche opportunistico pudore oltre che delle evidenti difficoltà nell’argomentazione.

Di quel che pensiamo delle concezioni dell’Isis abbiamo già detto, ma che forse sono così diverse da quelle dei Taliban afghani? Eppure il movimento contro l’aggressione all’Afghanistan fu piuttosto ampio, e non solo in Italia. Ed abbiamo già detto di quanto sia grave la linea anti-sciita dell’Isis, ma che forse la politica anti-sciita di Saddam Hussein impedì la formazione di un vastissimo movimento contro l’aggressione all’Iraq?

Certo, va riconosciuto, nel caso dell’Isis c’è un’ulteriore differenza: i Taliban governavano l’Afghanistan e Saddam l’Iraq, dunque l’attacco nei loro confronti si configurava come un’aggressione plateale a due Paesi sovrani. Nel caso dell’Isis abbiamo invece qualcosa di nuovo: una formazione dagli incerti confini, che ha momentaneamente abbattuto quelli tra Siria ed Iraq in nome di uno Stato Islamico che intende rimettere in discussione le frontiere decise dai colonialisti francesi ed inglesi un secolo fa (accordo Sykes-Picot del 1916).

Questa differenza è evidente, anche se non dovrebbe scandalizzare i pacifisti del né né (ad esempio quelli del «né con gli Usa né con Saddam»), dei quali oggi non abbiamo notizia; ancora meno dovrebbe scandalizzare i sostenitori di un astratto internazionalismo senza confini, quelli per i quali il concetto di «sovranità» è del tutto privo di senso, se non semplicemente reazionario.

A noi invece questa differenza interessa, portandoci infatti a cercare di capire le ragioni della situazione attuale (leggi QUI e QUI). Ragioni complesse, che non si possono banalizzare in alcun modo. E la dimostrazione della complessità ci viene proprio dai bombardamenti sulla zona di Raqqa, in quel nord della Siria divenuto territorio dell’Isis. Un bombardamento – al quale fra l’altro hanno partecipato i nemici sauditi – di cui il governo siriano è stato semplicemente «informato», ma che ha di buon grado accettato. A protestare, sia pur blandamente, per una mera questione di immagine, sono rimaste solo la Russia e l’Iran. Il gioco delle alleanze, magari solo temporanee, è dunque in gran movimento

Ora, il fatto che la situazione sia appunto complicata giustifica in qualche modo il silenzio se non addirittura il sostegno alle azioni di guerra dell’imperialismo americano?

Questa è la vera domanda da porsi. Alla quale non abbiamo avuto finora grandi risposte. Ed è significativo che le uniche alternative al silenzio siano stati dei maldestri tentativi di consigliare Obama, al quale evidentemente si riconosce il diritto imperiale di essere il decisore d’ultima istanza. Di cosa stiamo parlando è leggibile QUI. Stendiamo un velo pietoso e tiriamo avanti.

Per cominciare ad orientarci nel complesso ginepraio mediorientale, una cosa, una almeno, bisogna dirla subito: il nemico principale resta ed è l’imperialismo, in primo luogo quello americano, ancora una volta primo attore indiscusso dell’aggressione in corso.

In ogni situazione vi è sempre un nemico principale, e rinunciare a vederlo e ad indicarlo è un virus opportunista che non può che portare all’impotenza. No dunque all’aggressione americana. Sì invece alla costruzione di un’opposizione alla guerra ed alla politica imperialista in Medio Oriente. Non sarà facile ma è questa la strada da seguire.