Il legame strettissimo tra la politica recessiva dell’Unione Europea e quella liberista, iniqua e inconcludente del governo Renzi sembra stranamente sfuggire alla sinistra italiana. Che sulla natura della UE si dimostra ancora illusa sul piano teorico e impotente sul piano politico.

Grazie alle istituzioni europee la destra neoliberista, amica intima della grande finanza, provoca continue e drammatiche crisi e, con la complicità (attiva o passiva) delle forze di centrosinistra, genera disoccupazione e povertà. L’Unione Europea svuota la democrazia e abbatte lo stato sociale. Il crollo dell’euro è tutt’altro che escluso. Ma sulla natura della UE gran parte della sinistra si dimostra illusa sul piano teorico e impotente sul piano politico.

Intendiamoci: la sinistra in Europa e in Italia esiste ancora, nonostante sia ormai estremamente minoritaria e confusa, e nonostante che molti credano che il concetto stesso di sinistra (associato a quello di giustizia ed eguaglianza sociale) sia superato e inutile. Purtroppo però la sinistra è imbelle di fronte a questa UE, anche se la UE persegue apertamente lo smantellamento di una qualsiasi cultura progressista e della stessa civiltà europea, storicamente fondata sul conflitto sociale, sui diritti democratici e sul welfare. Sembra insomma che la sinistra faccia di tutto per restare minoritaria e ininfluente.

La sinistra è incline a fare un’opposizione morbida e riverente a sua maestà la UE, considerata sempre e comunque come sacra in quanto supposta “patria dei popoli europei”. Ma questa UE non è la “casa dei popoli”, anzi, opprime i popoli d’Europa. La protesta verso l’Unione Europea – e verso la moneta unica che strangola le economie in tutta Europa e che è diventata il brand ufficiale della UE – cresce, anche se non è ancora diventata maggioritaria. Ma la sinistra europea e italiana (anche quella cosiddetta radicale) sembra troppo spesso fare come le tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano.

La sinistra sembra ammaliata dal bel sogno europeista dei tempi andati e della solidarietà europea (che non esiste). La realtà dei fatti europei è quasi sempre fraintesa dagli orfani del comunismo che hanno sostituito il sogno/incubo del Sol dell’Avvenire sovietico o cinese con l’utopia degli Stati Uniti d’Europa, il regno della pace perpetua. La sinistra di estrazione socialista-liberale riposa invece ancora sui nobili e generosi ideali spinelliani di cooperazione europea.

Spinelli, dopo la tragedia della guerra nazi-fascista, aveva tutte le ragioni e le motivazioni per promuovere gli Stati Uniti d’Europa. Ma già la sua politica si scontrò contro la realtà (incancellabile) degli Stati nazionali e fu bocciata almeno due volte: quando nel 1954 propose la Comunità Europea di Difesa, che fu però bloccata per l’opposizione della Francia. E quando nel 1984 propose al Parlamento Europeo un progetto costituzionale per gli Stati Uniti d’Europa; il progetto venne approvato dal Parlamento stesso ma poi bocciato dal Consiglio Europeo. Spinelli attaccava la legittimità del concetto di stato-nazione, ma evidentemente si sbagliava. Abbandonare lo stato nazionale in nome dell’Europa è un grave errore.

Per la sinistra proporre attualmente l’utopia spinelliana è più che una ingenuità infantile: progettare la federazione degli Stati Uniti d’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo la riunificazione tedesca, la fine della minaccia sovietica, l’inclusione degli stati ex sovietici nella UE, la bocciatura della Costituzione Europea nei referendum popolari tenuti in diverse nazioni, e il risorgere della potenza germanica su tutta l’Europa, è semplicemente un miraggio, o una follia ideologica.

Uno stato federato di 28 (per ora) paesi europei non esisterà mai, a meno che la Germania non riesca effettivamente a imporre completamente la sua egemonia, come però è estremamente improbabile. Nonostante quello che immagina Jurgen Habermas, gli stati e i governi europei non si suicideranno mai, e un popolo europeo sufficientemente omogeneo (per lingua, storia, istituzioni, ecc) per considerarsi tale e darsi una costituzione europea di tipo federalista, non esiste. Del resto la stessa Merkel si è ben guardata dall’avanzare ambiziosi progetti di Federazione Europea. E così pure la UE nei suoi documenti ufficiali da molti anni non cita più gli Stati Uniti d’Europa come meta da raggiungere.

Naturalmente non abbandonarsi a inutili sogni sulla federazione europea non significa essere anti-europeisti e non volere instaurare nuove forme di cooperazione tra i popoli e gli Stati Europei. Questa UE è nemica dei popoli: ma forme di cooperazione istituzionale tra gli stati in campo economico, sociale, giuridico e politico sono ovviamente necessarie e benvenute, purché siano positive per i popoli europei e siano rispettose delle sovranità nazionali e della sovranità democratica.

La sinistra europeista contro la sovranità nazionale

Il problema è di riconoscere che gli Stati nazionali svolgono ancora una funzione potenzialmente positiva. Massimo Pivetti lucidamente individua nello svuotamento delle sovranità nazionali lo strumento con cui si è esplicitato l’attacco ai diritti sociali in Europa[1]: “Mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti l’attacco alle conquiste del lavoro dipendente e alle sue condizioni materiali di vita è avvenuto apertamente e frontalmente tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta, nell’Europa continentale esso si è sviluppato in modo più graduale e indiretto, passando per il progressivo svuotamento delle sovranità nazionali”.

E’ stupefacente: la sinistra europea e italiana ha riconosciuto le politiche di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher come ferocemente antipopolari ma non riconosce come avversario politico questa Unione Europea che, cavalcando la crisi, attua una politica ancora più suicida e iniqua. Quasi tutta la sinistra (o quel che rimane) resta testardamente e aristocraticamente “fedele all’Europa”.

Spiega ancora (l’inascoltato) Pivetti: “Riformismo e socialdemocrazia… sono inconcepibili se alla forza del denaro non può essere contrapposta quella dello Stato, dunque se viene meno la sovranità dello Stato-nazione in campo economico, ed essa è sostituita da nuove forme di potere politico sovranazionale, capaci di regolare i processi produttivi e distributivi. Questo è proprio quello che è avvenuto con la costituzione dell’Unione Europea e dell’Eurosistema al suo interno … In tal modo non solo la democrazia economica interna ne esce mortificata, ma si trova anche ad essere alla mercé di interessi nazionali stranieri”. Il patrimonio politico ed economico degli stati nazionali non dovrebbe essere svenduto all’estero.

Secondo Pivetti “un paese intenzionato, o costretto, a fare i conti con gravi problemi di coesione sociale e/o territoriale non avrebbe oggi un’alternativa credibile rispetto a quella di cercare di recuperare la propria sovranità in campo economico e, con essa, la capacità di contenere le divisioni sociali e territoriali esistenti al suo interno”. Il tragico errore della sinistra italiana è stato dunque di avere ingenuamente, e perfino distrattamente, consegnato quasi completamente all’Europa la sovranità nazionale, e quindi la sovranità democratica, la democrazia.

A causa della costruzione di una Unione sovranazionale ma fondamentalmente intergovernativa, per Sergio Cesaratto “le classi lavoratrici sono state private della possibilità di condizionare le politiche distributive nazionali, e in particolare la politica monetaria che è una caratteristica indispensabile per la sovranità nazionale. Infatti dalla politica monetaria (più o meno espansiva, ndr) dipende il potere di spesa dello Stato e la possibilità di regolare i rapporti di cambio con le altre valute… La crisi della democrazia e l’anti-politica derivano anche e soprattutto dall’impossibilità dei politici democraticamente eletti di poter seriamente affrontare i maggiori problemi dei cittadini elettori[2]”

Del resto né la Germania né gli altri stati che contano nel mondo, come gli USA, la Cina o la Corea del sud, hanno mai ceduto la loro sovranità a favore di istituzioni sovranazionali.

Riporto ancora alcune citazioni conclusive di Pivetti perché mi sembrano irrefutabili: “Nella sinistra continua a prevalere l’idea che non vi sia alcuna alternativa al continuare ad assumere fino in fondo l’orizzonte politico dell’Europa, coûte que coûte”. La sinistra si illude che l’influenza esercitata nell’ultimo trentennio da monetarismo e neoliberismo sul progetto d’integrazione europeo potrebbe alla fine dissolversi; dall’Europa dei vincoli si potrebbe finire per passare all’Europa della crescita e l’integrazione monetaria potrebbe dopo tutto finire per tradursi effettivamente in vera e propria integrazione politica. Eppure, i continui allargamenti dei ‘confini europei’ dovrebbero aver reso a tutti evidente come quello dell’unificazione politica sia sempre stato solo uno specchietto per le allodole, avente lo scopo di facilitare l’accettazione da parte dei popoli europei degli svantaggi derivanti dalla rinuncia alla sovranità monetaria e a buona parte di quella fiscale da parte dei rispettivi governi[3]”.

Di fronte all’abbaglio della sinistra occorre allora affermare una verità perfino banale: l’Unione Europea non è la patria dei cittadini europei – e certamente non diventerà mai l’Internazionale dei lavoratori, come vorrebbero alcuni marxisti (o presunti tali) – ma è un’istituzione fondata su trattati concepiti e approvati dai governi (e spesso respinti dai popoli, come la costituzione europea). La UE intergovernativa è quindi strutturalmente non democratica, perché per definizione le intese intergovernative – anche qualora siano molto positive, come per esempio nel caso dell’ONU, della FAO e dell’UNESCO – non sono ovviamente mai scritte dai popoli. I popoli contano nulla nella definizione delle politiche sovranazionali, non decidono né nel caso dell’ONU né nel caso della UE. Mentre a livello nazionale possono fare sentire la loro voce ed eleggere e controllare i loro rappresentanti, e mandarli a casa se fanno male.

Il governo Renzi e le direttive della UE e della BCE

Tutto il PD, compresa la minoranza salvo singole eccezioni, turandosi il naso ha votato la fiducia al governo Renzi. La sinistra invece ha votato contro il governo, ma tace sull’Europa. Tuttavia l’attacco frontale di Matteo Renzi al Senato eletto dai cittadini, all’articolo 18, allo Statuto dei Lavoratori, al sindacato e all’opposizione non è altro che l’omaggio del suo governo alle politiche imposte dalla destra europea. Nonostante le richieste e le proteste verbali di Renzi, la UE si è infatti dimostrata inflessibile nelle sue politiche liberiste e ha praticamente obbligato il premier/segretario del PD a attaccare apertamente lavoro e welfare, e a modificare la Costituzione.

Renzi può agitarsi finché vuole e chiedere più flessibilità. Ma, se non si sgancerà dai trattati UE, la politica che dovrà seguire è ormai scritta: era già illustrata nero su bianco nella famosa “lettera segreta” inviata al governo italiano dalla BCE all’inizio della crisi dell’euro (agosto 2011).

“Sarebbe appropriata una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio… e un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le province)… Sono necessari accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende, rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione (quello nazionale, ndr)… Il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi… È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali… Questa dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala…. . Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Firmato: Mario Draghi, Jean-Claude Trichet”.

Renzi è quindi obbligato a seguire le politiche dettate dalla UE. Il legame strettissimo tra le politiche recessive della UE e la politica governativa “decisionista” e anti-popolare del governo sembra però stranamente sfuggire alla sinistra italiana (ma non a Beppe Grillo). Renzi può anche illudersi che le sue “riforme” riescano a concedergli un po’ meno austerità da parte della Commissione UE, del governo tedesco e della BCE. Ma è ormai chiaro a chi ragiona senza bende negli occhi che le istituzioni europee non hanno mostrato e non mostreranno alcuna flessibilità, anche se l’euro dovesse crollare.


Il bluff del Parlamento Europeo: poca e inutile democrazia

L’Unione Europea si fonda su trattati miopi e ingiusti. Il Trattato di Maastricht ha creato l’euro-marco, cioè una politica monetaria geneticamente deflazionistica e una BCE costruita a immagine e somiglianza della Bundesbank, indipendente da ogni istituzione democratica. I trattati più recenti, il Fiscal Compact, Six Pack e Two Pack, sono ancora più rigidi e tolgono sovranità ai parlamenti nazionali.

La nostra legge finanziaria viene decisa prima a Bruxelles e a Francoforte e poi a Roma. Ma pochi sanno che i trattati europei possono essere cambiati solo all’unanimità e sono quindi in pratica irriformabili. Le regole stabilite dai trattati congelano la politica europea: il “pilota automatico” evocato da Mario Draghi è purtroppo già innestato e la flessibilità invocata ripetutamente da Renzi è una pura chimera.

La UE dei governi è solo molto pallidamente legittimata dal Parlamento Europeo; questo è stato eletto dal 43% degli europei aventi diritto al voto e non ha alcun potere autonomo. Alle elezioni europee solo in pochi paesi, come in Italia e in Grecia, è stata superata la soglia del 50% dei votanti. In Polonia l’afflusso è stato invece del 23%, in Gran Bretagna del 36%, in Francia del 43%, in Spagna del 46% e in Germania del 48%. Nei paesi dell’est, più interessati alla Nato che agli ideali europei, la percentuale dei votanti è stata tra il 20 e il 35%.

L’astensione ha stravinto e il Parlamento non può quindi dirsi effettivamente rappresentativo dei cittadini europei. Comunque, dominato com’è dall’alleanza apparentemente innaturale tra popolari, socialisti e liberali, il Parlamento è certamente ancora più a destra del precedente. In quella sede le forze della sinistra potranno fare solo una (indispensabile e preziosa) opera di testimonianza e di controinformazione. Ma è bene riconoscere che la loro influenza concreta sull’azione politica della UE sarà pari a zero.

Non solo la sinistra europea conterà poco nel Parlamento Europeo: anche lo stesso Parlamento Europeo conta poco o nulla nel governo dell’Europa, è un elemento quasi decorativo. Può solo eventualmente correggere le decisioni prese dalle altre istituzioni comunitarie. Formalmente la governance europea è attribuita alla Commissione UE nominata dai governi: nei fatti però le strategie e le linee guida sono definite dai capi di governo (Consiglio Europeo).

Tutti i commentatori politici di qualsiasi parte politica hanno confermato che l’egemonia tedesca sulla nomina dei Commissari Europei della Commissione UE e sui dirigenti e funzionari della burocrazia dell’Unione Europea è praticamente assoluta. I posti chiave della Commissione UE sono occupati da personalità inclini alle rovinose politiche deflazionistiche della Germania. Tuttavia il governo vero dell’Europa non è gestito neppure dalla Commissione Europea: è invece chiaramente in mano alla BCE – che tenta di dare ossigeno alla moribonda economia europea per non farla morire e per non suicidarsi essa stessa – e soprattutto alla Germania, principale azionista e garante della BCE e della UE.

La UE, la Troika, la Germania e la grande finanza

La preoccupazione dominante del governo tedesco, guidato dalla coalizione biancorosa della Merkel, è di non cooperare, ovvero di non pagare neppure un euro dei debiti degli altri paesi. In realtà la Germania è la principale beneficiaria dell’euro – una moneta più debole dell’ex marco, che quindi dà benzina alle esportazioni tedesche –. La UE e la Troika (BCE, UE, FMI) puntano soprattutto a garantire i debiti pubblici e privati dei paesi ai quali le banche tedesche e francesi hanno sconsideratamente dato troppo credito: in effetti la Troika non protegge i paesi debitori ma le banche.

Il caso della Grecia è illuminante: la Troika è intervenuta per saldare il conto e salvare le banche creditrici (soprattutto tedesche e francesi) impegnando i soldi dei contribuenti europei. Ma la Grecia resta un paese fallito, con il 175% del debito sul PIL. Senza cambiamenti radicali non potrà mai risollevarsi (e l’Italia si trova in una condizione solo di poco migliore).

La UE germanizzata è ormai lontana da quella preconizzata dai padri fondatori e ha abbandonato ogni prospettiva di cooperazione e di benessere sociale. Purtroppo l’Unione Europea è ormai fondata non sugli ideali e sui diritti ma sulla moneta unica. L’integrazione europea ha come obiettivo ufficiale quello di aumentare la competitività del vecchio continente a favore della grande finanza e della grande industria privata, contro gli interessi delle piccole e medie aziende e del lavoro.

La UE mette i lavoratori europei in concorrenza tra di loro in una spietata corsa al ribasso. La politica sull’immigrazione della UE è omicida; e nei conflitti bellici che si annunciano l’Unione rischia di diventare un’appendice della Nato. Il trattato commerciale di libero scambio tra gli Usa e la UE promette di assoggettare l’Europa agli interessi statunitensi.

Gli Stati Uniti d’Europa – invocati in Italia da un ampio schieramento, da Matteo Renzi a Giorgio Squinzi, da Nichi Vendola a Barbara Spinelli – sono solo un ingannevole miraggio, e sotto l’egemonia tedesca sarebbero comunque un incubo. L’ulteriore centralizzazione delle politiche fiscali e di bilancio sotto l’egida della UE auspicata da Mario Draghi avverrebbe al di fuori di ogni controllo democratico e sarebbe diretta dalle tecnocrazie subordinate alla grande finanza.

Ma la UE detta già le regole alle nazioni europee: il Fiscal Compact voluto dalla Germania è stato perfino messo in Costituzione! Di fronte alle esplicite direttive neocolonialiste della UE e della BCE la sinistra è troppo spesso silente. Per fortuna che Grillo esiste: sbraita e spesso fa affermazioni fuori dal mondo ma almeno, a suo modo, si oppone frontalmente e denuncia la politica reazionaria della UE. Invece la sinistra protesta contro Renzi, si agita contro l’austerità e le politiche “sbagliate” della UE, ma non denuncia l’Unione come il vero avversario da battere, il burattinaio della politica renziana.

Contrastare la politica della moneta unica

In Europa le destre ex o semi-fasciste, come il Front National francese e l’Ukip britannico, come la Lega Nord in Italia avanzano paurosamente e guadagnano milioni di voti (soprattutto di lavoratori…) grazie a una opposizione dura e decisa a questa UE e all’euro-marco della BCE. Giustamente anche Beppe Grillo – purtroppo alleato dell’UKIP (anche a causa dell’europeismo miope della sinistra) – invoca un referendum consultivo per dibattere sull’euro e consultare i cittadini. Mentre la sinistra (soprattutto quella italiana) rimane straordinariamente al margine delle crescenti proteste anti-UE; e si limita a lamentarsi … dell’austerità!

Tuttavia non si può fare una battaglia efficace contro la politica liberista, iniqua e inconcludente del governo senza denunciare apertamente l’euro. Una moneta unica per 18 paesi estremamente diversi sul piano competitivo, dell’inflazione, del livello tecnologico e del costo del lavoro è, secondo i migliori premi Nobel dell’economia, un insulto al buon senso. Invece per gli economisti di sinistra del Manifesto e di Sbilanciamoci l’euro resta un tabù. Secondo gli economisti nostalgici dell’alleanza (notoriamente fallita) tra Vendola e Bersani, basterebbero un po’ di eurobond, la mutualizzazione dei debiti pubblici nazionali, un po’ di Tobin Tax, un po’ di spesa pubblica in più per risolvere la crisi. Le proposte sono senz’altro teoricamente corrette. Peccato però che le soluzioni per salvare l’euro e l’economia europea siano note e discusse da anni, ma che non verranno mai realizzate perché la Germania ha costruito l’euro a sua immagine e somiglianza e non accetterà di cooperare e di condividere il debito europeo.

L’euro-marco è una moneta strutturalmente rigida, una moneta straniera sostanzialmente insostenibile, una trappola che provoca crisi e instabilità non solo perché non può adattarsi alle differenti esigenze dei singoli paesi ma perché è nata per restare inesorabilmente deflattiva. Tutti nel mondo discutono apertamente della crisi dell’euro, da Le Monde al Financial Times, e molti parlano di un possibile crollo, ma perfino un giornale intelligente e aperto, sempre “dalla parte del torto” come il Manifesto finora ha praticamente taciuto.

La sinistra ha paura di discutere di sovranità monetaria: ma è chiaro che senza moneta nazionale non c’è sovranità politica né tanto meno sovranità democratica. Non si può rifondare nessuna Europa della cooperazione schiacciando le economie e le democrazie nazionali. Eppure esistono già proposte da discutere per tentare di recuperare almeno parzialmente forme di sovranità monetaria. Esistono progetti di “moneta fiscale” e di moneta comune (non unica!) europea[4]. Ma sono sottovalutati o ignorati. Sinistra svegliati: il tetto crolla e l’intera casa europea sta andando in rovina!

NOTE

[1] Massimo Pivetti, Le strategie dell’integrazione europea e il loro impatto sull’Italia, in Un’altra Italia in un’altra Europa – Mercato e interesse nazionale, a cura di L.Paggi, Carocci, Firenze (2011).Citato da S. Cesaratto in un intervento al Convegno di Chianciano, gennaio 2014

[2] Sergio Cesaratto, intervento al Convegno di Chianciano “OLTRE L’EURO. La sinistra, la crisi, l’alternativa”, gennaio 2014, riportato anche da http://www.sinistrainrete.info/

[3] Cito di seguito il commento di Sergio Cesaratto a queste considerazioni di Pivetti nel suo ottimo intervento al Convegno di Chianciano, gennaio 2014: “Eppure versioni “di sinistra” dell’europeismo sopravvivono in (rari) economisti radicali secondo i quali: “Più facile, senz’altro, sognare il mondo di ieri: il discorso della svalutazione dentro un ritorno all’economia nazionale … Quello di cui vi sarebbe bisogno sono piuttosto lotte coordinate e proposte politiche uniche della sinistra su scala europea, a partire dai conflitti del lavoro e dei soggetti sociali, una spinta dal basso che c’è ma non è adeguatamente organizzata e neanche pensata, nell’orizzonte o di un drastico cambio del disegno della moneta unica … (Bellofiore e Garibaldo 2013)“. Lotte transazionali dunque. A me sembra che tale volonteroso internazionalismo pan-europeo faccia da contraltare all’europeismo volenteroso di alcuni economisti vicini al PD (Cesaratto 2013): entrambi utopistici e forse pericolosi proprio in quanto disconoscono il ruolo di tutela degli spazi democratici costituito dalla piena sovranità nazionale”.

[4] Vedi le proposte di autorevoli economisti critici da me riportate su Micromegaonline “Come uscire dalla crisi senza uscire dall’euro”, 30 settembre 2014; e “Da moneta unica a valuta comune: una terza via per superare l’Euro”, 27 dicembre 2013

da Sinistra contro l’euro
fonte: Micromega