Maurizio Landini da segretario della FIOM a leader del nuovo partito a sinistra del Pdr (Partito democratico renziano)?

La tracotanza con cui Matteo Renzi sta procedendo verso la demolizione definitiva dell’Art.18 ha rianimato la sinistra tradizionale. Non c’è dubbio che esista in questo Paese lo spazio politico per una forza antiliberista di sinistra. Renzi non solo l’ha messo nel conto, sembra addirittura auspicare questa nascita, poiché lo aiuterebbe a purgare il suo partito dai dissidenti. Tanto poi, pensa Renzi, con la nuova legge elettorale, chiuderò questo eventuale partito in una riserva indiana, che sarà quindi del tutto residuale e innocuo.

È vero che esiste in Italia (come del resto negli altri paesi europei) un ragguardevole spazio politico per un partito della sinistra antiliberista. Tanto più vista la deriva del Pd e le grandi difficoltà in cui versa M5S e l’evaporazione della Lista Tsipras. Esiste, più in generale, perché la crisi sociale accresce la polarizzazione sociale e politica. Quale funzione potrà avare questo eventuale nuovo partito?

C’è da soffermarsi sul gravissimo monito di Napolitano. In forma solenne ha affermato ieri (4/11) che il rischio che nel prossimo futuro avvengano disordini e scontri sociali è altissimo, e che essi saranno di un’intensità senza precedenti, e quindi il sistema sarebbe messo a rischio. Forse siamo prevenuti, ma noi sospettiamo che l’eventuale partito di Landini (che si chiami Partito del lavoro o altro) potrebbe essere perfettamente funzionale al disegno dei dominanti.

Perché? Esso sarebbe, in ultima istanza, uno strumento (qualcuno direbbe socialdemocratico) per incanalare la protesta sociale, per evitare che debordi, per riportarla nel perimetro delle compatibilità sistemiche. Da un altro punto di vista Landini è per il potere, un leader affidabile. Landini non è solo un fervente europeista, ebbe modo di dire che “Non sarei contento se l’Italia uscisse dall’euro”:

«Dopo 20 anni di un’Europa fondata solo sulla moneta senza avere lavorato per costruire una Europa vera, sociale e del lavoro, fondata su regole fiscali comuni, l’Europa rischia semplicemente di esplodere. Io non sono tra quelli che sarebbero contenti se l’Italia uscisse dall’euro. Forse sbaglierò, ma continuo a pensare che ci sarebbe il rischio di pagare un prezzo troppo alto per le persone che noi rappresentiamo se tale questione non si affronta in modo diverso, ma è indubbio che la situazione come oggi rischia di esplodere anche noi non lo vogliamo». (Maurizio Landini, 26 novembre 2011)

Affermava questo concetto nel momento più critico della vita della moneta unica, ciò che suonava quasi come un endorsement per Mario Monti, che infatti rimpiazzò Berlusconi per mettere in atto il più tragico salasso ai danni del popolo lavoratore.

Sono passati due anni e Landini non ha fatto cenno di autocritica, o anche solo di aggiustare il tiro. Si dice, allo scopo di assolverlo, che Landini era operaio, che non ha chissà quali conoscenze nel campo macroeconomico. Che dire? A noi non pare ammissibile che un importante leader sindacale possa trincerarsi dietro alla “ignoranza” su una questione di vita o di morte come la natura dell’Unione europea. Ancor meno lo sarebbe per un capo partito. Quello della “ignoranza” è tuttavia un alibi. Landini ha avuto negli ultimi anni tutte le possibilità per erudirsi. Se ancora adesso difende l’Unione e tace sull’euro è perché, come del resto quasi tutta la sinistra “radicale” (vedi Lista Tsipras), considera l’Unione e la moneta unica come conquiste da difendere.

La prova? Landini sa bene che la riforma del mercato del lavoro, tra cui l’abolizione dell’Art.18, non se l’è inventata Renzi, queste misure erano prescritte nella famigerata lettera della Bce e (di Bankitalia di Draghi) del 5 agosto 2011. Ma Landini continua a sostenere viva l’Europa.

Come non vedere poi i limiti politici del leader Landini? Privo di una visione strategica, procede empiricamente, naviga a vista, va di qua e di là, e spesso commette errori pacchiani. L’ultimo? Che ci faceva Landini, poche ore dopo le cariche della Polizia contro gli operai ternani, a fianco di Del Rio e della Federica Guidi in una conferenza stampa nel palazzo del Governo? La sua presenza in conferenza stampa era un assist quasi pornografico al governo che se ne frega dei sindacati (e che in nome del decisionismo governativo) rifiuta addirittura di discutere con loro della finanziaria.

Landini vittima della sindrome del presenzialismo mediatico? No, c’è di più.
Fino a poche settimane fa Landini, pur di fare le scarpe alla Camusso in CGIL, si sbaciucchiava con Renzi il quale non perdeva occasione per ostentare la sua stima e amicizia con Landini stesso (vedi l’incontro riservato con Renzi del 27 agosto scorso) Un errore, quello di aver dato spago e legittimità a Renzi, clamoroso, imperdonabile: Renzi si è servito di Landini per ingannare l’elettorato di sinistra, preparando il terreno all’attacco in corso. Anche in questo caso nessun accenno di autocritica.

Vediamo il caso del TFR in busta paga. La maggior parte dei sindacalisti, come numerosi economisti, hanno dimostrato quanti danni possa fare la decisione del governo Renzi-Padoan (Bankitalia dichiara che in caso il Tfr venga messo in busta paga le stesse pensioni sarebbero a rischio).

Ebbene, ecco quanto dichiarava Landini, non anni fa, ma il 1 ottobre scorso: «Il Tfr è salario dei lavoratori e io penso che si possa fare una cosa molto semplice: mettere in condizione ogni lavoratore di scegliere quello che vuol farne» (l’Espresso, 2 ottobre 2014).
Errare è umano, perseverare è diabolico.