Le elezioni regionali svoltesi ieri in Emilia-Romagna sono state segnate dall’enorme calo della percentuale dei votanti e quindi dalla crescita degli astenuti. Come si evince dalla Tabella qui sotto, che confronta le regionali del 2014 con quelle del 2010, hanno perso tutti, ma proprio tutti.

Il Pd che ha dimezzato i voti. Forza Italia che ne ha persi i quattro quinti. Perde anche il M5S. E il cosiddetto sfondamento della Lega? Ha perso anche la Lega, per l’esattezza più di 50mila voti. Se facessimo il confronto con le politiche, europee comprese, la Lega in effetti è cresciuta, mentre hanno subito una sonora sconfitta i tre partiti principali delle politiche del 2013: Pd, M5S e Forza Italia.

Anche l’astro nascente Matteo Renzi ha subito uno schiaffo violento, talmente forte che lo sta facendo parlare a vanvera. “Non è un voto contro il governo… l’astensione è un fatto secondario”, ha detto Renzi (sic!). In verità il voto non è solo contro il governo e la sua politica, è stato un mezzo referendum contro di lui.

I 535mila voti presi dal Pd renzo-bersaniano sono il 15,7% degli aventi diritto. Una vera e propria Caporetto considerato che stiamo parlando della regione “rossa” per eccellenza.

Renzi esce dunque azzoppato dalle elezioni in Emilia-Romagna e dovrà correre ai ripari — il che, probabilmente, potrebbe spingerlo a decidersi per elezioni anticipate in primavera. Una volta messo il nuovo inquilino al Quirinale, ci sarebbe in effetti lo spazio per votare a maggio. Staremo a vedere.

Tab. 2: il boom delle astensioni

La Tabella 2 mostra la crescita delle astensioni (sono calcolate anche le bianche e le nulle), praticamente raddoppiate dal 2010. I non votanti sono stati quasi il doppio di coloro che si sono recati alle urne.

Tutti sono stati sonoramente puniti dall’astensione.
Ci pare che il risultato di Sel, alleata del Pd — l’endorsement di Guccini deve aver giovato —, non contraddica la tendenza, stiamo infatti parlando del 3% del 37%.

Che insegnamenti trarre da questa tornata elettorale? Che la più grave crisi economica e sociale del Paese, accelerando i cicli politici, divora presto tutti i cosiddetti “salvatori della patria”. Che Berlusconi fosse ormai in declino lo si sapeva. Pochi hanno immaginato che anche “grillismo” e “renzismo” avrebbero avuto vita difficile e forse breve. Noi, per la verità, lo avevamo detto e scritto. I nostri lettori più assidui potranno confermarlo, basta rileggere quanto scrivevamo su M5S. Basta rileggere quanto scrivevamo dopo la vittoria di Renzi alle europee della primavera scorsa, che giudicavamo effimera e fragile.

Su cosa ci basavamo? Ci basavamo su un principio: che la gravità della crisi economica era il fattore che avrebbe prevalso nel determinare il “senso comune”. La crisi è radicale e solo chi avanza misure radicali, sensate ma radicali, avrebbe potuto resistere alle tempeste ed avanzare.

La principale lezione che si deve trarre dal terremoto elettorale in Emila-Romagna è che tutti i partiti (tutti) rappresentano una minoranza del Paese, e le forze governative una minoranza ancor più esigua.

La seconda lezione è la conseguenza della prima: c’è uno spazio politico potenzialmente molto ampio, in prospettiva maggioritario, a favore di un nuovo movimento che dia testa, voce e rappresentanza a quella massa molto ampia di cittadini che hanno voltato le spalle ai partiti esistenti perché han compreso che sono del tutto inadeguati, e che occorre una svolta radicale per uscire dal marasma.

Il fenomeno dei Cinque stelle, la loro sorprendente avanzata elettorale del 2013 e la loro veloce debacle — causata dalla incapacità di dare corpo, sangue e testa alla diffusa protesta popolare, il mix di settarismo e cretinismo parlamentare —, ci dicono molto su quel che occorre e non occorre fare.

La grande crisi, con le sue accelerazioni e il suo avvitamento, apre lo spazio ad una grande opposizione democratica, sovranista e popolare. Ma quest’opposizione, se non vuole essere una meteora, deve avere non solo una grande testa politica, ma un corpo e una struttura solide.

Beninteso! Sempre crediamo che tutto congiura verso una generale sollevazione popolare. A maggior ragione occorre costruire una forza politica che gli dia uno sbocco strategico. Per costruirla occorre andare alle masse, ed il campo elettorale, di questi tempi più di ieri, è un importante banco di prova.

da sollevAzione