Il golpista al Sisi, in visita a Roma, si propone come il carceriere del popolo palestinese per conto di Israele.
Non solo: c’è anche la sua richiesta di «completare la missione della Nato in Libia»

Oggi e domani il generale al Sisi, presidente egiziano dopo il golpe dell’estate 2013, sarà a Roma, prima tappa del suo primo viaggio in Europa. Nell’occasione ha pensato di farsi precedere da un’intervista al Corriere della Sera, per la cronaca la prima rilasciata ad un quotidiano occidentale. Intervista che contiene affermazioni assai gravi, che dovrebbero suscitare qualche reazione in più, o quantomeno far riflettere quanti, a sinistra, applaudirono il suo sanguinosissimo colpo di stato.

L’importanza di questa intervista, realizzata da Franco Venturini, è testimoniata dalla partecipazione, nel palazzo presidenziale di Heliopolis, del direttore del quotidiano milanese (da sempre su posizioni smaccatamente filo-sioniste), Ferruccio de Bortoli.

Il titolo dato dal Corsera di ieri non lascia adito a dubbi: «“Truppe egiziane per la Palestina” – Al Sisi: “Aiuteremo la polizia del futuro Stato. E vogliamo garantire la sicurezza di Israele”».

Il golpista del Cairo si propone dunque come il cane da guardia di Israele. Certo, questa non è una novità, basti pensare al ruolo avuto durante i bombardamenti di Gaza della scorsa estate, alla chiusura ermetica del lato sud della Striscia, od anche soltanto alla distruzione sistematica dei tunnel della speranza tra Gaza ed il territorio egiziano.

Ora, però, c’è un salto di qualità, visto che al Sisi si propone non solo come guardiano esterno, ma direttamente come poliziotto interno di un futuro “stato palestinese”, che se mai avrà vita, di certo nell’idea di al Sisi e del suo degno compare Netanyahu altro non potrà essere che un insieme di piccoli bantustan per sempre schiacciati da Israele.

Con questo annuncio, al Sisi va ben oltre l’opera svolta dal despota filo-americano Hosni Mubarak, costretto a lasciare il potere dalla rivolta di piazza dell’inverno 2011. Il ruolo di fiancheggiatore dei sionisti che egli innanzitutto si auto-assegna è chiarissimo. Leggiamo questa sua affermazione:

«Bisogna garantire la sicurezza agli israeliani ma contemporaneamente restituire la speranza ai palestinesi e la creazione di uno Stato palestinese è lo strumento migliore per alimentare questa speranza. Poi, dopo la creazione di uno Stato palestinese, si aprirà un lungo processo, ci vorrà tempo per ristabilire la fiducia tra le parti, ma non è forse accaduto lo stesso tra Egitto e Israele dopo che abbiamo fatto la pace? Il periodo di transizione iniziale sarà determinante, perché gli israeliani non possono rischiare la loro sicurezza e i palestinesi non devono più compiere atti gravi e sconsiderati che sarebbero, a quel punto, anche autolesionisti. L’Egitto è pronto ad aiutare».

Già, «aiutare», ma come?

«Le dirò una cosa: noi siamo pronti a inviare forze militari all’interno di uno Stato palestinese. Aiuterebbero la polizia locale e rassicurerebbero gli israeliani con il loro ruolo di garanzia. Non per sempre, s’intende. Per il tempo necessario a ristabilire la fiducia. Ma prima deve esistere lo Stato palestinese dove inviare le truppe».

Chiunque è in grado di capire che razza di stato sarebbe quello che dovesse nascere sotto la tutela del golpista del Cairo. Il quale, comunque, ha in realtà l’obiettivo principale di mandare all’occidente un altro messaggio, quello che si legge chiaramente nella priorità assegnata alla «sicurezza degli israeliani». Un modo, che più esplicito non si potrebbe, per dichiarare al mondo da che parte sta l’uomo che ha cacciato dal potere la Fratellanza Musulmana, oggi sottoposta alla repressione più dura.

Repressione sulla quale, nell’intervista, al Sisi glissa negando l’evidenza. Del resto non si può certo dire che gli intervistatori volessero metterlo alle strette…

Il presidente egiziano sarà a Roma anche per due altri motivi: i rapporti economici tra i due paesi e la situazione in Libia. I rapporti economici sono già piuttosto intensi. L’interscambio commerciale è pari a 4,7 miliardi di euro (dati 2013) e viene dato in crescita. Domani, 25 novembre, si terrà il Business Council con la partecipazione di imprenditori italiani ed egiziani. Molti i progetti in campo, riguardanti fra l’altro l’energia, l’alta velocità ferroviaria (linea Alessandria-Il Cairo-Assuan), l’espansione dei porti mediterranei di Damietta, Alessandria e Port Said. Ma si parlerà anche dei settori del turismo, dell’agricoltura e del tessile.

Fin qui normale amministrazione. Ma siamo certi che al Sisi, che incontrerà Renzi, Napolitano e Gentiloni, insisterà molto sulla situazione in Libia. E qui, se esiste ancora un qualcosa che assomigli in qualche modo ad un movimento contro la guerra, dovrebbe scattare l’allarme rosso.

Leggiamo cosa dice il golpista del Cairo nell’intervista:
«Stabilizzare la Libia è una priorità per tutti, non soltanto per i nostri due Paesi. Lì regna il caos, ma soprattutto lì si stanno creando basi jihadiste di estrema pericolosità. La Nato non ha completato la sua missione. Perché dopo la guerra che ha eliminato Gheddafi la Libia è stata abbandonata? Non credo a nuovi interventi militari e l’Egitto non ne ha compiuti e non ne compie. Invece la Comunità internazionale deve fare una scelta molto chiara e collettiva a favore dell’esercito nazionale libico e di nessun altro. Aiuti, equipaggiamenti, addestramento devono andare esclusivamente all’esercito regolare che nel tempo avrà i mezzi per riportare l’ordine».

Se lasciamo da parte i naturali abbellimenti diplomatici, il succo è tutto in questa frase: «La Nato non ha completato la sua missione», ergo la deve completare. Anche per questo al Sisi è da oggi a Roma. Ed anche per questo ci aspetteremmo qualche reazione in più.