Abbiamo perso il conto di quanti siano i parlamentari, i consiglieri regionali e comunali cacciati e/o fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle. L’ultima espulsione, in fretta e furia, è quella dei parlamentari Artini e Pinna.

Abbiamo l’impressione che questa volta, l’impatto su M5S di questo atto d’imperio della cupola che dirige il movimento, sarà molto più serio. Forse ci sbagliamo ma potremmo già essere davanti all’inizio di un veloce sfaldamento del movimento stesso.

Chi ci legge sa bene che, pur avendolo votato — allo scopo di “dare una spallata al regime bipartitico eurista”, proprio subito dopo la folgorante avanzata elettorale del febbraio 2013, noi scrivemmo che non avremmo scommesso un soldo bucato sul fatto che M5S avrebbe avuto vita lunga.

M5S, ha potuto raccogliere l’ondata di indignazione popolare contro la “casta” e contro le politiche austeritarie, grazie non solo al carisma dell’istrionico Grillo, ma in virtù dell’uso di alcuni slogan radicali, resi ancor più efficaci per la loro declinazione interclassista, spesso qualunquistica, “né di destra né di sinistra”.

La grande e inattesa vittoria elettorale del febbraio 2013, avendo posto M5S alle soglie del potere, ha messo in luce tutta la fragilità e l’inadeguatezza del movimento. Quell’enorme successo elettorale aveva un preciso segno: era un mandato ad andare al governo.

Il Porcellum, col suo meccanismo truffaldino del premio alla coalizione maggioritaria, diede a Napolitano l’alibi per non designare un “grillino” a formare il governo, che venne dato al piddino-zoppo Bersani. M5S non giocò la carta di essere il partito più votato, lungi dal rivendicare che a formare il governo fosse designato un suo esponente, si limitò ad una partita di rimessa, e respinse pure in modo maldestro e sempliciotto l’assist che gli venne offerto dall’assediato Bersani.

Limiti che emersero subito dopo, quando si trattava di far valere il proprio peso per l’elezione del Presidente della Repubblica. Senza dimenticare il voltafaccia subito dopo la rielezione di Napolitano: Grillo chiamò alla mobilitazione di piazza, che proprio perché rischiava di avere successo, castrò sul nascere.

Ci sono settimane che valgono anni, e quelle furono decisive.

Esse misero a nudo di che pasta fosse fatto il M5S. Non c’erano né un piano né un programma effettivo per governare, non c’era alcuna idea sulle alleanze plausibili di governo, non c’era nemmeno l’ombra di personale politico che avesse effettive capacità di governo.

Successivamente — sorvoliamo sulle diverse pisciate fuori dal vaso di Grillo e Casaleggio — invece di correre ai ripari, di adeguarsi in fretta alla bisogna, di indicare i punti di un governo d’emergenza, di dire parole chiare sull’uscita dall’euro, di fungere da perno di una grande alleanza popolare democratica e antiliberista, M5S si chiuse nella sua turris eburnea, nell’illusione che per tirare a campare sarebbe stato sufficiente strillare nelle aule parlamentari, senza mai invocare e/o promuovere, per carità di Dio!, una larga mobilitazione popolare.

Un altro errore madornale è stata la faciloneria con cui si è tentato di fare fronte al “rottamatore” Matteo Renzi. Non solo lo si è sottovalutato. Usando con lui lo stesso approccio che coi vecchi ittiosauri della “casta”, continuando a suonare la trombetta sfiatata che M5S avrebbe vinto e governato da solo, e senza mai indicare quali sarebbero state le misure d’emergenza che si sarebbero eventualmente prese, tra cui l’abbandono dell’euro, non si è agevolata la vittoria del piazzista fiorentino alle europee, ma pure l’affernazione della Lega di Salvini.

Queste sono, secondo noi, le ragioni di fondo delle recenti e cocenti sconfitte elettorali. E sono queste sconfitte, e la totale assenza di adeguata riflessione, che stanno causando la slavina in seno al movimento.

Che questa fatale crisi politica si manifesti, non sul piano squisitamente politico-programmatico, sulla visione di Paese che si vuole, sull’euro, ma sul regime interno, non deve stupire. Ciò è tipico di ogni setta. E M5S è, per quanto sembri paradossale, una grande setta. Così Casaleggio e Grillo l’hanno plasmata.

La contraddizione tra la forma-setta e le sfide che la crisi del Paese pone ad un movimento di massa dovevano prima o poi esplodere. E stanno ora esplodendo.

Tutte le principali e strampalate fisime del casaleggismo stanno facendo fiasco: l’atomismo autistico dei meet-up, uno vale uno, democrazia diretta digitale, statuto-non-statuto, movimento-non-partito, decisione attraverso i referendum degli attivisti, vincolo di mandato, ecc. ecc.

Ad ogni passo scopriamo in verità che tutte le decisioni più importanti vengono prese, quando non dai diarchi in persona, da una cupola di cui non si conosce la composizione. Stendiamo un pietoso velo sulla “trasparenza” della piattaforma web e del sistema operativo informatico con cui la Casaleggio Associati, gestisce, non solo modalità e risultati dei referendum interni, ma tutta la rete di meet-up e attivisti. Chi non si adegua, chi osa avanzare critiche, viene prima avvisato di stare zitto, infine buttato fuori.

Le espulsioni di Artini e Pinna confermano che M5S è un organismo che non riesce ad auto-riformarsi, né a correggere le sue deformazioni congenite, né a dialogare coi movimenti sociali di massa (com’è il caso di quello contro il Jobs Act).

In simili circostanze accade che l’organismo soccombe alle sue contraddizioni, andando in pezzi. Speriamo ne liberi anche verso il movimento dei sovranisti.

da sollevAzione