
E così siamo a 19!
Dopo l’Estonia nel 2011 e la Lettonia nel 2014, la Lituania è da oggi l’ultimo paese baltico ad entrare nella zona euro. Scompare dunque, la lita, la valuta che dopo il 1991, anno della separazione dall’URSS, era diventata il principale simulacro dell’indipendenza.
Si conclude così il processo d’integrazione e assimilazione della Lituania nella sfera imperialistica occidentale iniziato nel 2004 con l’ingresso simultaneo di Vilnius nella NATO e nell’Unione — a dimostrazione della sovrapponibilità e della corrispondenza tra i due blocchi.
«Tutto sarà più facile con l’euro: niente più problemi per pagare i miei fornitori italiani, nessun problema per viaggiare. E poi saremo un po’ più vicini all’Europa». Così la pensa la rachitica borghesia lituana. Da parte sua il primo ministro Algirdas Butkevicius afferma: “L’euro porterà stabilità e aumenterà la nostra attrattiva per gli investitori. Avremo crescita e creeremo nuovi posti di lavoro. La moneta unica ridurrà i tassi d’interesse ed i rischi di fare credito”.
Queste affermazioni vi ricordano qualcosa? Ma certo, sono dello stesso tono di quelle delle classi dominanti nostrane quando decisero di adottare la moneta unica. Con la differenza che per l’élite lituana l’adesione all’area euro, al di là della retorica, è una garanzia per tenere lontana Mosca, ovvero una consapevole accettazione dello status di protettorato, tedesco dal punto di vista economico e finanziario, americano dal punto di vista militare e geopolitico.
Oltre alle ragioni geopolitiche (fondamentali) l’ottimismo della classe dominante lituana è dettato dal fatto che malgrado la stagnazione europea e le ripercussioni della contro-sanzioni russe, la Lituania ha conosciuto una sensibile crescita del Pil negli ultimi anni. Una crescita avvenuta grazie a politiche di stampo neoliberista e mercantilista che ha tuttavia il fiato corto. E lo vedremo in futuro quando, diventata facile territorio di caccia dei capitali esteri, la Lituania, malgrado la benevolenza tedesca, non potrà che seguire il triste destino dei paesi cosiddetti “periferici”.
Nel frattempo, il 22 dicembre, poco lontano, il parlamento ucraino, sotto la pressione della maggioranza nazi-liberista, votava una risoluzione per abbandonare lo status di paese non allineato per entrare a far parte della NATO.
Dice l’adagio: “non è aria questa per andare in paradiso”.
da sollevAzione