«Il capitalismo è come una trottola, può tenersi in equilibrio solo se gira vorticosamente attorno al proprio asse. Per ruotare ha bisogno di due fattori: una spinta che gli imprima movimento e una superficie perfettamente piana. Se viene a mancare anche solo uno di questi due fattori essa smette di ruotare, si accascia al suolo e si arresta». [Manifesto del MPL]
Obama si è l’altro ieri rivolto esultante al Congresso dicendo che gli USA sono definitivamente usciti dalla crisi. Dalla recessione, non dalla crisi. Il ciclo espansivo potrebbe essere solo momentaneo. L’economia-mondo resta infatti in pieno marasma, economico e geopolitico, senza contare che dopo anni di finanza allegra alta è la probabilità che sopraggiunga improvvisa una tempesta finanziaria ancor più devastante di quella del 2008. Un nuovo cataclisma globale che questa volta potrebbe però partire dall’Europa.
Solo in questo quadro generale, ritengo, può essere compresa la decisione della Banca centrale svizzera (Bns) di disancorare il franco dalla parità fissa con l’euro ad 1,20. Stupiscono i giudizi di certi cronisti economici. Sorvoliamo su quello sciatto e sconclusionato di Alberto Bagnai.
Riccardo Sorrentino, [1] prendendo sfacciatamente la difesa dei “mercati finanziari” — leggi gli hedge fund ed i vari squali della finanza predatoria — è giunto ad affermare che la decisione della Banca centrale elvetica “è priva di ogni razionalità”. Ma davvero?
(1) Per difendere la parità con l’euro, quindi tenere basso il valore del franco, la Banca centrale elvetica per tre anni si è svenata stampando franchi a gogò allo scopo acquistare ingenti quantità di titoli in euro e dollari, con la conseguenza, decisiva dato il costante deprezzamento dei titoli in valuta estera, della svalorizzazione dei suoi asset — si tenga conto che il bilancio della Bns ha raggiunto secondo Morgan Stanley l’85% del Pil svizzero: la più alta percentuale che si registri nel mondo.
(2) E perché questo è accaduto? Per la semplice ragione che malgrado la parità con l’euro e nonostante i tassi negativi sui depositi decisi dalla Bns per difendere quella parità, in un contesto di incontrollata mobilità dei capitali, il franco svizzero ha continuato ad essere considerato un “bene rifugio”, ovvero, sono continuati ad affluire in Svizzera, dall’Europa e da tutto il mondo, quantità enormi di capitali. Questo ci dice almeno due cose: (a) che malgrado l’eurozona abbia superato la tempesta del 2010-11, nonostante l’economia nord-americana sia uscita dalla recessione, continua a prevalere nei “mercati” il timore che il sistema finanziario mondiale collassi nuovamente e, (2) che prevale dunque, non solo tra i grandi operatori finanziari, la keynesiana preferenza per la liquidità, il detenere scorte monetarie altamente liquide — il denaro tenuto utilizzato come riserva di valore o, come diceva Marx, tesaurizzato.
(3) Ci dice Marco Valsania che la decisione improvvisa della Banca centrale svizzera “è stata come uno Tsunami”. [2]
La decisione della Bns ha infatti colto di sorpresa brokers, hedge fund e banche di mezzo mondo. In poche ore sono andati così in bancarotta decine di società di brokeraggio ed hedge fund, mentre anche grandi banche hanno perso centinaia di milioni di euro. Si tenga conto che (a) nelle bische del capitalismo-casinò il gioco d’azzardo riguarda anche le valute: si calcola che gli scambi quotidiani ammontino a circa 3.500 miliardi di dollari giornalieri, 275 dei quali in franchi svizzeri; (b) le scommesse sulle maggiori valute giocano su una leva che giunge fino a 400 volte, per cui bastano perdite minime per azzerare l’investimento. Da tempo diversi fondi hedge erano ribassisiti, scommettevano cioè sul ribasso del franco svizzero. Ecco spiegato perché ci hanno lasciato le penne.
La decisione della Banca centrale svizzera, semmai ce ne fosse stato bisogno, mette a nudo quanto perverse siano le dinamiche dei mercati finanziari e di quelli valutari in particolare, e come l’incondizionata libertà di movimento dei capitali e delle valute rischi di mettere in ginocchio anche uno stato “virtuoso” come la Svizzera — un sistema bancario potente, uno Stato noto per la sua efficienza, un debito pubblico che tende a zero, una solida struttura industriale.
(4) I pennivendoli de Il Sole dimenticano un quarto fattore: la modalità che sembra assumerà il cosiddetto “Quantitative easing” di Mario Draghi. L’ha spiegata Der Spiegel [3] dopo l’incontro semi-segreto tra la Merkel e Draghi. I tedeschi accetteranno l’allentamento monetario, ma a patto che non sia la Bce ad acquistare i titoli di debito dei paesi euro (pare sia escluso l’acquisto di altri strumenti finanziari), bensì le diverse banche centrali nazionali, ed a patto che i titoli del debito sovrano greco siano esclusi.
Cosa implichi questa modalità ce lo dice Federico Fubini:
«Ogni banca centrale pagherebbe per l’eventuale default dei titoli di Stato del proprio Paese. Il rischio che un’area euro così frammentata vada in pezzi al primo shock è evidente». [4]
Altro che coesione e solidarietà europea o mutualizzazione dei debiti! La linea che pare passare è chiara, “ognuno per sé, Dio per tutti”. Questo “dettaglio” contribuisce a spiegare la mossa a sorpresa della Bns e cosa ci sia dietro: stare appresso all’euro non solo era diventato troppo costoso, rappresentava un rischio troppo alto visto che la tendenza predominante è quella allo sfaldamento dell’eurozona. Meglio farsi trovare pronti per agganciarsi al futuro euro-marco tedesco, com’è del resto sempre stato per il franco svizzero.
(5) A corroborare quanto dico — che dietro alla decisione di Berna sia stata dettata dalla consapevolezza che il rischio della fine dell’eurozona è prossima — c’è forse anche la certezza che la Bce di Mario Draghi, non riuscendo a vincere i veti tedeschi, non sarà in grado di salvare la moneta unica. C’è da fidarsi di una Banca centrale che non riesce nemmeno a debellare la deflazione? C’è da fidarsi di una Bce che aveva puntato per il 2014 su un’inflazione all’1,4% mentre si è realizzato lo 0,3%? Come segnala Jean-Pierre Robin su Le Figaro, è come se un falegname consegna al cliente un tavolo più corto del 79% — lo scarto tra lo 0,3 e l’1,4%. [5]
(6) A questo aggiungiamo il fatto che domenica prossima, 25 gennaio, si vota in Grecia. L’alta probabilità che vinca SYRIZA rende possibile l’uscita della Grecia dall’euro, col terremoto che ognuno può immaginare. Tsipras molto difficilmente — salvo tradire ogni sua promessa — potrà accettare nuovi diktat della troika. Mentre ingenti capitali stanno da settimane fuggendo da Atene verso lidi più sicuri (tra cui il franco) e le banche elleniche sono con l’acqua alla gola, il nuovo governo greco sarà costretto a contrarre nuovi prestiti ma Berlino e Francoforte hanno già detto che li concederanno ma solo a patto di nuove strette di bilancio — Atene deve rinegoziare entro fine febbraio un accordo con la troika per sbloccare l’ultima tranche di 7 miliardi dei prestiti. [6]
Se Tsipras rifiuterà davvero di proseguire le politiche austeritarie saranno inevitabili un blocco alla fuga dei capitali, misure drastiche a spese del grande capitale e dei banchieri, quindi l’uscita dall’euro sarà nei fatti.
Qual è quindi la conclusione che dev’essere tirata dalla decisione svizzera di sganciare il franco dall’euro? Abbiamo una plateale nuova conferma che l’euro non è una “area valutaria ottimale” (l’OCA, ve la ricordate?), che tutti gli sforzi per tenere in vita la moneta unica si stanno rivelando vani.
Gli euristi ricavano una conclusione opposta:
«Così la lezione svizzera ci fa riscoprire la forza dell’unione monetaria europea: avrà mille difetti, ma in un mondo globale protegge un po’ più l’Europa dagli effetti collaterali delle scelte altrui. La domanda da porti è: se non riesce la Svizzera a difendersi, potrebbe riuscirci una Grecia fuori dall’euro? O l’Italia». [7]
Qui non solo abbiamo una sfrontata indulgenza verso la finanza predatoria e speculativa (le “scelte altrui”), qui abbiamo il rifiuto, tutto ideologico, di negare l’evidenza che l’euro si dimena in contraddizioni insolubili.
Il popolare settimanale tedesco Bild giorni addietro, a ragione, titolava “La settimana decisiva”, quella appunto che va da oggi, 22 gennaio, con la decisione della Bce sul Quantitative easing, alle elezioni greche. Ma non è solo Bild a suonare l’allarme. A conferma della brutta aria (per il destino dell’euro) che tira dalle parti di Berlino c’è l’editoriale del 19 gennaio dell’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il titolo (in italiano) è inequivocabile: “No, Dottore Draghi”. [8]
La grande borghesia tedesca, come sappiamo non vuole rinunciare all’euro, che tanti vantaggi gli ha portato. Ma questa difesa per il capitalismo imperialista tedesco si giustifica a patto che moneta e mercato unico continuino ad assicurarglieli, i vantaggi. Altrimenti, si pensa a Berlino, il male minore è procedere, onde evitare restare sotto le macerie dell’euro, ad una esplosione controllata dell’eurozona.
Vedremo di che qualità e consistenza saranno le decisioni della Bce, e come verranno lette dai “mercati” (se cioè saranno ritenute sufficienti a salvare l’eurozona). E vedremo cosa ci diranno le urne greche il 25 gennaio.
Sì, una settimana davvero decisiva.
NOTE
[1] Una scelta imprevedibile. Riccardo Sorrentino. Il Sole 24 Ore del 17 gennaio
[2] Scattano i primi default. Marco Valsania, Il Sole 24 Ore del 17 gennaio
[3] Bce, linea tedesca più forte. Federico Fubini. La Repubblica del 17 gennaio
[4] Ibidem
[5] Citato in Lotta Comunista del dicembre 2014
[6] Atene chiede aiuto per tamponare la fuga dei capitali. Ettore Livini. La Repubblica del 17 gennaio
[7] La lezione svizzera. Morya Longo. Il Sole 24 Ore del 17 gennaio
[8] Merkel: la Bce è un istituto indipendente. Alessandro Merli. Il Sole 24 Ore del 20 gennaio
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