Un commento a caldo sulle decisioni della Bce

Crescita o bolla? Prevedibilmente, la “seconda che hai detto”. Tutto lascia pensare che le decisioni della Bce avranno ben poco effetto sull’economia reale. D’altronde, l’opinione di molti economisti è che le bolle speculative siano assolutamente necessarie. Nelle parole di Larry Summers, che fu anche ministro di Clinton, si tratta sì di una droga, ma di una droga assolutamente necessaria. Senza di essa il sistema si inceppa. E proprio parafrasando un noto slogan clintoniano, potremmo dire che “è il capitalismo-casinò, bellezza!».

Fa un po’ sorridere, dunque, il trionfale commento di Padoan, che ha detto che «ora le famiglie possono cominciare a spendere». E perché mai? Il loro reddito è forse in risalita? Ma lasciamo perdere, che ad andar con gli zoppi si impara a zoppicare. Se poi lo zoppo è così ciarliero come il suo attuale principale, le conseguenze non possono essere che queste.

Ma vediamo, sinteticamente per punti, la sostanza delle decisioni prese dalla Banca Centrale Europea.

1. Il Quantitative easing europeo (QE) ha da ieri una forma.
Gli acquisti di titoli partiranno dal primo marzo e dureranno almeno fino a settembre 2016. Al ritmo di 60 miliardi al mese, per diciannove mesi, si arriverà così ad un totale di 1.140 miliardi. Gli acquisti non riguarderanno soltanto i titoli pubblici, ma anche gli Abs ed i covered bond (obbligazioni bancarie garantite). Gli Abs sono derivati che contengono i prestiti bancari, spesso potenzialmente rischiosi se non tossici.

Con questo programma di acquisti la Bce riporterà il proprio bilancio un po’ sopra ai 3mila miliardi, esattamente il livello raggiunto nel 2012 con il cosiddetto LTRO, il piano di finanziamento alle banche lanciato all’epoca affinché fossero queste ultime ad acquistare i titoli di stato dei rispettivi paesi. Ora, con la restituzione di quei prestiti, il bilancio della Bce è sui 2mila miliardi. Dunque, la manovra decisa da Draghi ha una sua consistenza, ma non nella misura che si vorrebbe far credere.

In peggio c’è che gli acquisti saranno rigorosamente in proporzione alle quote di capitale della Bce possedute dalle singole banche centrali nazionali. Nel caso dell’Italia la quota è del 17,5%, la Germania ha il 25,6%, la Francia il 20,1%. Anche se non ce ne sarebbe  alcun bisogno, avremo così più acquisti di titoli tedeschi che non italiani.

2. Primo: salvare le banche. E’ questo il principale scopo del QE. Il problema è che i portafogli delle banche dei cosiddetti “paesi periferici”, Italia in primis, si sono riempiti di titoli di stato. Quelle italiane, ad esempio, sono passate dai 251 miliardi del 2011 ai 443 del novembre scorso. Un’esposizione eccessiva. Potenzialmente assai pericolosa in vista del prevedibile deprezzamento dei titoli di più recente emissione. Il QE serve sostanzialmente a ridurre questo rischio, con un acquisto, nel caso italiano, di circa 140 miliardi al settembre 2016. Le banche dunque ringraziano, ma questa non ci sembra una grande novità.

3. Nessuna crescita con l’austerità.
Naturalmente, che il QE abbia in primo luogo una funzione salva-banche è un fatto che viene largamente sottaciuto. Si preferisce parlare invece della “crescita”, quel misterioso oggetto che tutti invocano, immaginandoselo ogni volta dietro l’angolo da almeno 7 anni. Teoricamente il meccanismo ci viene presentato in maniera assai semplice. Gli acquisti della Bce consentirebbero alle banche una maggiore liquidità, che verrebbe quindi utilizzata per aumentare il credito alle aziende ed alle famiglie. Da qui nuovi investimenti, ripresa produttiva e, in ultimo, lo Sbruffone di Pontassieve che si presenta in tv finalmente con un segno più davanti al Pil.

C’è però un piccolo particolare. Gli investimenti sono fermi non per mancanza di liquidità, quanto soprattutto per la ragionevole assenza di fiducia sulle prospettive economiche generali. E’ perciò prevedibile che i soldi incamerati dalle banche, anziché riversarsi in finanziamenti agli investimenti produttivi, rimangano nel circuito finanziario, dirigendosi più realisticamente verso attività ancor più speculative. Una nuova bolla, appunto; quella droga che Summers chiede per evitare la crisi di astinenza ad un sistema finanziario che senza doping si accascerebbe senza speranza.

Cosa c’entra la “crescita” con tutto ciò? C’entra ben poco, e non sono pochi gli studiosi che sottolineano che affinché un QE funzioni da stimolo all’economia, occorre che esso sia accompagnato da una forte espansione della spesa pubblica. Negli Usa il QE ha funzionato proprio per questo. Solo nei primi due anni della crisi (2007-2009) il rapporto deficit/pil venne spinto dal 2,9 al 12,4%. In Europa siamo al vincolo del 3%… E non basta ancora, dato che dovrà ridursi ulteriormente in virtù del fiscal compact.

Senza ripresa della spesa e degli investimenti pubblici la cosiddetta cinghia di trasmissione della politica monetaria ben difficilmente potrà funzionare. Ma il proseguimento delle politiche austeritarie, e dunque il taglio della spesa pubblica, è proprio una delle condizioni del QE all’europea. Dunque: crescita no, nuova bolla speculativa sì.

4. La clausola anti-Tsipras (ed anti Italia).
Attenzione, che questo è un punto politicamente assai importante. Abbiamo visto che ogni paese avrà acquisti dei propri titoli in rapporto alla propria quota nella Bce. C’è però una clausola d’esclusione: verranno acquistati solo quelli che hanno un rating che determini la classificazione come investment grade, cioè a minor rischio. Questa clausola escluderebbe i titoli di Grecia, Cipro e Portogallo. Tuttavia, ecco il ricatto, se questi paesi si trovano sotto un “programma di assistenza internazionale”, sono cioè commissariati dalla troika, anch’essi godrebbero degli acquisti della Bce.

Che questa sia una clausola pensata per il caso greco è evidente. Il piano imposto alla Grecia scade infatti a febbraio. Se il nuovo governo ne sottoscriverà uno nuovo con la troika bene, altrimenti niente acquisti. Una conferma assai plateale delle condizioni in cui si svolgerà l’eventuale negoziato tra Tsipras e la cosca eurocratica.

Ma il problema non è solo greco. L’Italia è solo un gradino sopra la soglia prevista dalla Bce. Basterebbe un nuovo declassamento per scivolare in zona “no acquisti”, a meno che si decida di far arrivare in pompa magna la troika anche nel Belpaese. Auguri…

5. La nazionalizzazione del rischio, altro che irreversibilità della moneta unica! Strani tempi, quelli attuali. Da una parte si strilla contro i nazionalismi, si dice che non può esservi politica efficace che non sia su scala europea, dall’altro si decide che il grosso del rischio (80%) legato all’acquisto dei titoli rimanga in capo alle singole banche centrali nazionali. Una chiara vittoria del blocco tedesco, un’evidente dimostrazione di sfiducia rispetto al futuro dell’eurozona.

Sul punto non sono ancora chiari i tecnicismi che verranno applicati. Le perdite di cui si parla sono solo quelle di eventuali default, oppure anche quelle legate alle probabili minusvalenze? Ad ogni modo diversi osservatori fanno notare come questo meccanismo possa diventare micidiale in caso di difficoltà finanziaria di un paese. Lo Stato, più precisamente Pantalone, dovrebbe ripianare le perdite della propria banca centrale con nuovi sacrifici. Sappiamo già a carico di chi.

Ma l’aspetto principale è un altro. Di natura squisitamente politica. Nazionalizzare il rischio su titoli che altri (cioè la Bce) hanno deciso di acquistare è il massimo che possa capitare. Quale migliore prova della mostruosità della costruzione europea? E quale migliore prova del suo progressivo disfacimento? Se davvero Draghi e soci credessero alla famosa “irreversibilità” dell’eurozona, perché mai dovrebbero architettare un simile marchingegno?

Ed infatti il punto è proprio questo: essi sono i primi a non crederci, a dispetto delle panzane che amano raccontarci. In quanto poi all’irreversibilità del processo politico, basta leggere la stampa tedesca. In Germania, la Bild titola: «Draghi distrugge i nostri soldi?». Segue a ruota la Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Draghi distrugge la fiducia». Ma non si tratta della sola Germania. Come riferisce il Sole 24 Ore di oggi: «Due giorni fa, il parlamento olandese ha espresso il parere che i contribuenti dovessero essere tenuti al riparo del debito italiano». Alla faccia dell’Europa e della sua unità.

Per l’economista francese Jacques Sapir, che definisce come “disperata” la mossa di Draghi: «Siamo tornati alla situazione del 1999, vale a dire alla fase di preparazione dell’euro». In altri termini, sempre per Sapir: «Con le sue misure Draghi ha aperto la porta ad una nuova nazionalizzazione della politica all’interno dei paesi membri». La sua conclusione è che: «Le politiche monetarie stanno tornando ad essere nazionali».

6. Acquistano titoli per acquistare tempo. Già in precedenti articoli avevamo sostenuto che il QE si sarebbe fatto, ma con vincoli estremamente rigidi. Lo si è fatto perché lo si doveva fare. Per salvare le banche, come già detto, ma anche per evitare il panico in mercati finanziari che ormai lo davano per scontato da mesi.

L’idea di fondo è sempre la solita: acquistare tempo pur in assenza di prospettive davvero credibili. La visione è di tipo quasi religioso: poiché il capitalismo è il miglior sistema possibile, poiché ha sempre risolto brillantemente le sue crisi, è sicuro che risolverà anche questa. In breve: non si sa come, non si sa quando, ma si sa che avverrà.

In questa prospettiva messianica il tempo è decisivo. Bisogna acquistarne di continuo per impedire che il tempo dell’attesa venga travolto dalla catastrofe. Dunque, tutto ciò che serve a prendere tempo è utile. Anche quando non si ha la più pallida idea di come le misure prese potrebbero spingere all’uscita dalla crisi. Sono anni che le classi dirigenti europee ragionano in questo modo. Ed il QE di Draghi non fa certo eccezione.

In conclusione,
le decisioni della Bce non risolvono la crisi dell’eurozona. Tanto meno rallentano il suo processo di disgregazione. Per i decisori di Bruxelles e Francoforte esse servono per tirare a campare. Ma dovranno fare i conti con una situazione sociale e politica sempre più esplosiva. Domenica tocca ai greci battere un colpo. Ci auguriamo che arrivi forte e chiaro in ogni angolo del continente.