Nell’attuale conflitto che insanguina il Medio Oriente lo Yemen ha un peso ben superiore all’attenzione solitamente prestata dai mezzi di informazione. Sulla critica situazione del paese arabo ci sembra utile pubblicare questo articolo di Sonia Grieco, del quale però non condividiamo i toni, decisamente troppo tenui, sui bombardamenti dei droni USA. Bombardamenti da denunciare invece con forza, indipendentemente dalla loro “imprecisione”.
Yemen – Un pericoloso vuoto di potere
di Sonia Grieco
Una marcia anti-Houti a Sana’a è stata dispersa con la forza dai miliziani sciiti. Al Qaeda ha ucciso sei esponenti Houthi e due militari. Il vuoto politico rende sempre più fragile il Paese, sotto la pressione di spinte separatiste e interessi internazionali. Mentre proseguono le consultazioni per mettere fine alla crisi, gli Stati Uniti cercano di capire con chi coordinarsi per continuare a bombardare il Sud. Lunedì un drone Usa ha ucciso un ragazzo di 12 anni.
Una capitale occupata, un presidente dimissionario, un primo ministro rifugiatosi in un “luogo sicuro”. Sono questi gli ingredienti dello stallo politico in cui si trova lo Yemen. Ma non sono gli unici ingredienti di una crisi che rischia di spingere il poverissimo Paese del Medio Oriente a spaccarsi in due entità, com’era fino al 1990.
In Yemen c’è la potente Al Qaida nella Penisola arabica (Aqpa), l’affiliato più temibile – dicono gli analisti – della rete terroristica internazionale, che potrebbe approfittare del vuoto politico causato dalle dimissioni praticamente contemporanee del capo dello Stato, Rabbo Mansur Hadi, e del premier, Khaled Bahah. Inoltre, sul terreno yemenita si gioca la partita per la supremazia regionale tra l’Arabia Saudita e l’Iran, sostenitore degli Houthi. È stata Riad a “risolvere” la primavera yemenita, che ha messo fine al trentennale regime di Ali Abdullah Saleh, imponendo alla piazza un patto di élite e la presidenza Hadi, vice di Saleh.
Ieri i combattenti Houthi, che dallo scorso settembre occupano Sana’a, hanno usato la forza per disperdere i manifestanti radunatisi nelle strade della capitale per chiedere il loro ritiro. Dimostranti presi a manganellate, spari in aria, una decina di feriti e giornalisti fermati. Le proteste aumentano, alzando la tensione, mentre l’Onu preme per un negoziato che metta fine al caos e al momento è nella fase delle consultazioni.
Hadi e Bahah hanno gettato la spugna dopo essere stati messi agli arresti domiciliari dagli Houthi che dal Nord sono avanzati verso il Sud roccaforte dei qaedisti, senza peraltro trovare troppa resistenza da parte delle Forze armate. Ne è scaturito uno scontro tra il gruppo sciita guidato da Abdel-Malek al-Houthi e i miliziani dell’Aqpa. Questi ultimi ieri sera hanno messo a segno un agguato nella cittadina meridionale di Rada, uccidendo almeno sette combattenti sciiti che partecipavano a un incontro con i leader tribali locali loro alleati. Attaccano anche le forze di sicurezza e la loro capacità operativa non sembra fiaccata dai droni statunitensi.
Nel caos emergono istanze separatiste, mai sopite, settarismi e rivalità tribali. Mentre Abdel-Malek al-Houthi auspicava un incontro, già domani, per riprendere le fila del negoziato e invitava alla cooperazione, i gruppi armati pro-governativi dei Comitati popolari del Sud sono arrivati allo scontro con i combattenti Houthi nella città meridionale di Aden, l’approdo di centinaia di migranti dal Corno d’Africa, altra regione calda del pianeta. Inoltre, 57 deputati delle circoscrizioni del Sud hanno annunciato il boicottaggio dei lavori parlamenti in protesta contro il “golpe” del movimento sciita.
Un’iniziativa definita una “provocazione” dal leader al-Houthi che di recente in un discorso trasmesso in tv ha detto che il suo gruppo “vuole un pacifico trasferimento del potere” basato sulla cooperazione tra le parti, sotto l’ombrello delle Nazioni Unite. Ha aggiunto che le decisioni prese nel corso del dialogo nazionale iniziato da Hadi nel 2013 e l’accordo (partecipazione degli Houthi al potere e modifiche costituzionali) siglato con il presidente a settembre – sotto la pressione dell’occupazione di Sana’a – devono essere la base di un’intesa che metta fine alla crisi.
Alle consultazioni prende parte anche il Pentagono, preoccupato di capire con chi dovrà coordinarsi ora per proseguire la sua campagna militare contro Aqpa. Oggi funzionari Usa hanno incontrato i rappresentanti Houthi, ma il contrammiraglio John Kirby ha precisato che Washington si sta consultando con tutte le parti in causa e che con il gruppo sciita non si è parlato di accordi di intelligence per contrastare la presenza di al Qaeda nel Paese. Il nemico è comune, ma un forte sentimento anti-americano accomuna che le due forze più potenti del Paese: gli Houthi e al-Qaeda.
Senza una collaborazione di intelligence, però, i droni Usa potrebbero diventare ancora più imprecisi di quanto già non siano e a farne le spese sarà la popolazione civile. Martedì l’Organizzazione nazionale per le vittime dei droni (NODV) ha riferito della morte di un ragazzo di circa 12 anni nell’attacco di un drone. Saleh Qayed Taeiman è morto con altre due persone.
Suo padre e suo fratello prima di lui erano stati uccisi da droni nel 2011 e un altro fratello era rimasto ferito in uno di questi raid anti-al Qaeda che spesso colpiscono le case di persone innocenti. Sono le vittime collaterali di un campagna militare che non sembra scalfire il potente gruppo qaedista e di solito finisco nel computo dei “terroristi” eliminati.
Lo scorso settembre, una settimana prima che gli Houthi entrassero a Sana’a, Obama aveva parlato di “successo” in Yemen contro i terroristi. Un’affermazione che alla luce di quanto sta accadendo suona come una beffa.
da Nena News